La cassaforte europea

Ma qual è la vera posta in gioco delle elezioni europee? Fino ad ora si è – sin troppo – parlato della girandola delle candidature dei vari leader e comprimari. E di come potrebbero influire sulle percentuali di voto. Beninteso, non ai fini della composizione numerica del parlamento di Strasburgo, ma per la ricaduta sugli equilibri nazionali tra alleati al governo, e opposizioni. E i programmi? Già, qualcuno dovrebbe cominciare a parlarne. Ma, tra i partiti, non se ne vede ancora traccia.

Nel frattempo, le tecnostrutture si sono messe al lavoro. Lucrezia Reichlin sul Corriere ricorda che saranno due italiani, Mario Draghi ed Enrico Letta, a indicare alcune linee guida con due documenti, «il primo sul mercato unico e il secondo sulla competitività dell’Europa, che informeranno la discussione sulle politiche della Commissione nei prossimi cinque anni». E prova a ragionare sui numeri, confrontando le cifre dei bilanci degli ultimi anni con quelle che occorrerebbero per far fronte ai cosiddetti temi prioritari, dalla transizione verde e digitale a sanità e ricostruzione dell’Ucraina. Il dato che emerge subito è la discrepanza tra le ambizioni e i fondi, al momento, disponibili. Con due direzioni alternative: abbassare l’asticella delle spese, o bussare alle casse nazionali.

O meglio. Queste sarebbero le alternative se i vari schieramenti politici fossero ancora oggi allineati sul crinale più Stato/meno Stato che ha fatto a lungo da spartiacque tra progressisti e conservatori. Oggi, invece, la propensione a tagliare i fondi non risponde a famiglie ideologiche. Persiste in termini geopolitici, nel contrasto di interessi e visioni tra i paesi cosiddetti frugali – localizzati nel Nordeuropa – e quelli considerati spendaccioni – nel Sud ed Est del continente. Un crinale che, però, difficilmente può tradursi in maggioranze di voto all’interno del parlamento di Strasburgo. Col risultato che appare molto problematico prefigurare con quali coalizioni verranno affrontate e approvate le principali poste di bilancio.

Non si tratta, tuttavia, di un problema che preoccupa gli addetti ai lavori. Il meccanismo decisionale dell’Unione rimane poco visibile, affidato a mediazioni e transazioni complesse per lo più dietro le quinte. Molto difficili da decifrare e ancor di più da comunicare. Processi deliberativi che rispondono innanzitutto alla molteplicità ed eterogeneità dei fattori da tenere in conto, e in cui l’aspetto economico spesso non è il più rilevante. Mentre risultano più cogenti le catene di valore implicate in filiere produttive interconnesse, e gli aspetti normativi e procedurali che, nei diversi contesti nazionali, regolano la implementazione. Dossier di questa portata sono affidati alle squadre di sherpa che accompagnano – e il più delle volte sostituiscono – i ministri di settore, in una dinamica lobbistica che si sviluppa a porte chiuse a Bruxelles. Lontano dai riflettori mediatici nazionali. E, il più delle volte, dalla attenzione degli stessi leader.

Presidenti e primi ministri, come i capi delle opposizioni, intervengono solo quando intravedono un chiaro aggancio propagandistico nei confronti del proprio elettorato. Finendo con l’accodarsi a quelle poche parole d’ordine ancora capaci di stagliarsi nella babele comunicativa: sovranismo, atlantismo, pacifismo. Salvo poi non riuscire ad agganciare questi slogan a interventi mirati ed efficaci.

Senza eccessive forzature, si potrebbe concludere che a tenere insieme e fare funzionare l’area economica più ricca del pianeta sono le logiche di mercato e i canali di protezione degli interessi, di concerto con una tecnocrazia che conserva – nel bene e nel male – una sostanziale autonomia rispetto ai circuiti ufficiali della rappresentanza politica. Se sia, per la democrazia, un bene o un male, è una domanda che i cittadini ormai non si pongono. Quando andranno a votare, lo faranno pensando ai propri leader. Dei conti dell’Unione europea, si occuperanno le elite che son riuscite – per settant’anni – a farla andare avanti.

di Mauro Calise.

  (“Il Mattino”, 29 gennaio 2024).

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*