La Mala Pasqua

A te la mala Pasqua” … così l’anatema di Santuzza a Compare Turiddu, nella Cavalleria Rusticana, s’affaccia alla finestra della mia mattina per protrarsi almeno fino all’ora di pranzo.

La vigilia era trascorsa in pace nel salvifico silenzio dell’oggetto di cui, anche a non volere, siamo diventati dipendenti: guai a dimenticarlo, anche per i più riottosi come me, senza provare una sorta di smarrimento, un senso d’insicurezza.

“Beh, stavolta c’è poco da festeggiare”, avevo incautamente previsto di fronte all’insolito silenzio.

Invece, poco più tardi … :

… serti di fiori, pulcini, ovetti e ovini, colombe e colombine, rondini e campane, musiche celestiali, ultime cene michelangiolesche variamente interpretate a confermare la regressione anche dei più acculturati, convertiti al richiamo della nuova comunicazione orbata d’un pensiero “pensato”. Rinunciando anch’io all’uso della parola, alla fine mi sono rassegnata al mortificante riciclo, cercando di assolvermi per suprema necessità.

La bella carta da lettere collezionata per unire il piacere estetico al gesto di rivolgere un pensiero scelto con cura, è qui da noi praticamente introvabile con la sparizione delle cartolerie storiche. Bisogna cercare altrove.

Sembra inutile rimpiangere la scrittura in bella grafia come l’attesa d’una lettera o d’un biglietto augurale: il gesto emozionato di aprire la cassetta della posta era uno scambio tra eletti, non un prodotto di consumo preconfezionato. Mi chiedo se ancora si scrivano lettere d’amore che unite alle bollette da pagare se non altro ne stemperavano il fastidio. Ho conservato la corrispondenza d’una vita fin dalle elementari, quando un ragazzino m’imbucava biglietti nel cappuccio del montgomery.

Meglio cambiare registro perchè la ragione mi induce a credere che altri, nel futuro prossimo, useranno lo stesso tono nostalgico per ciò di cui oggi mi rammarico.

Marina Elettra Maranetto

(9/4/2021)

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