La monetazione di Carlo Felice di Savoia

Carlo Felice (1821-1831) Medaglia 1823

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il regno di Carlo Felice (1821-1831) conclude il processo di assestamento della lira nuova piemontese introdotta da Vittorio Emanuele I nel 1816.

Il collocamento di uomini fedeli alla corona a capo di un’amministrazione ormai di matrice napoleonica e il tentativo di reintrodurre la monetazione precedente al franco francese crearono nel regno inefficienze e tensioni, queste ultime soprattutto fra borghesi e imprenditori, ormai abituati ad un’amministrazione più snella e al sistema metrico decimale.

I fedeli funzionari monarchici non conoscevano la macchina burocratica a loro affidata, creata quando essi erano in esilio in Sardegna.

La loro “incompetenza” inceppava tutta l’amministrazione.

Una certa confusione si verificò anche in ambito monetario.

La diretta dominazione francese in Piemonte aveva introdotto il franco, diviso in cento centesimi, che consentiva rapidi conteggi, rispetto al sistema ventesimale (una lira= 20 soldi= 240 denari) e capace di intensificare i rapporti fra l’area piemontese e quella francese.

Appena insediatosi a Torino, maggio 1814, Vittorio Emanuele I ammette al corso legale nel Regno di Sardegna le monete dei “liberatori” austriaci e prussiani, ragguagliandole a quelle francesi.

Fra giugno e dicembre il sovrano emana una serie di manifesti con quali prescrive che la doppia d’oro e il mezzo scudo d’argento di Savoia siano ricevuti rispettivamente dalle casse dello stato a lire 29,00 e a 3,6; ordina la coniazione di doppie auree al titolo e peso fissati dall’editto del 30 dicembre 1785; ordina la coniazione di pezzi da 2,6 soldi e mezzo scudo conformi al regio editto del 15 novembre 1755 e al regio biglietto del 17 marzo 1781, dichiara fuori corso i pezzi da 2,6 soldi consumati, sostituendoli con quelli nuovi.

2

Nell’agosto del 1815 il regio manifesto n.217 dispone la continuazione del corso legale, per il loro pieno valore, delle monete da 2,6 soldi di conio antico, purché in buono stato.

Si tenta di attuare, nel regno di Sardegna, una forma di “restaurazione” monetaria, imponendo nuovamente il sistema ventesimale e mantenendo l’antica circolazione nell’isola di Sardegna, formata da reali e cagliaresi, retaggio di autonomie feudali.

La variegata circolazione monetaria rischia di paralizzare la già difficile situazione economica del paese, tanto che, il 6 agosto 1816,Vittorio Emanuele I, con regia patente, ordina di abbandonare il vecchio sistema monetario piemontese e di adottare quello francese.

Le nuove monete emesse saranno uguali per peso e titolo a quelle francesi, ma, per evitare equivoci, il loro valore sarà espresso in lire nuove del Piemonte.

La lira nuova è quindi erede di quella vecchia del Piemonte, introdotta da Emanuele Filiberto nel 1562, in sostituzione del fiorino e con lo scopo di rafforzare il legame fra il Piemonte italofono e la Savoia francofona.

Il provvedimento del 1816 distingue la lira vecchia dalla nuova, ma per i piemontesi, ormai abituati al sistema decimale, non cambierà molto, anzi tireranno un sospiro di sollievo, perché vendere e comprare sarà meno complesso.

La situazione però cambierà lentamente, senza “rivoluzioni”, all’uso dei Savoia legittimisti, e la lira vecchia, per ora, continuerà a circolare a fianco della nuova e delle monete del periodo napoleonico.

Inizialmente vedranno la luce solo i pezzi da 80 lire d’oro, i marenghi (20 lire) e gli scudi d’argento(cinque lire).

La situazione non cambierà di molto fino a dopo il 1821, anno dei moti costituzionali.

All’abdicazione di Vittorio Emanuele I succederà Carlo Felice, sovrano legittimista e sicuramente più reazionario del fratello, ma animato dalla convinzione di ancorare la conservazione a qualcosa di solido. Non solo sovrano per volontà divina, sopra la legge, ma fonte di benessere e prosperità per i suoi sudditi, proprio perché tale.

l’azione di Carlo Felice tende a rafforzare il trono con opere e provvedimenti che migliorano l’amministrazione e la vita dei sudditi.

Si spiegano quindi le novità in campo monetario.

A dicembre del 1821 viene emanata la patente 1263 che, oltre a fissare l’impronta delle nuove monete d’oro e d’argento, mantiene in vigore il sistema monetario introdotto da Vittorio Emanuele I, nel 1816.

Nel 1823, il 23 dicembre, la regia patente n.1587 uniforma l’attività della zecca di Genova a quella di Torino, che assume comunque un ruolo predominante.

Nel 1825, con regia patente del 15 settembre, si impone uno speciale regolamento alle zecche del regno, ordinando che tutti i punzoni e i conii di monete, medaglie e tessere siano conservati nelle officine di produzione.

Non è solo un provvedimento burocratico e di tutela dei manufatti della zecca ma è anche un modo per conservare la memoria di chi ha lavorato e di cosa si è prodotto.

Sempre con la stessa patente si ordina alla zecca di Torino di fondere tutti i vecchi pezzi da 7,6 soldi, per un valore di 3.500.000 lire.

Quattro mesi dopo, 16 gennaio 1826, il Manifesto n.1913 della Camera dei conti notifica il ritiro di tutte le monete da 7,6 soldi e l’ammissione al corso legale delle nuove monete d’argento da due, una, 0,50 lire, già autorizzate dalla regia Patente del 4 dicembre 1820.

L’opera di razionalizzazione della circolazione monetaria diventa incalzante: sempre nel1826(il 22 marzo) si notifica che multe, tributi e diritti fiscali fissati in lire antiche del Piemonte vengano riscossi in lire nuove. Il successivo Editto del 26 ottobre(n.1979) obbliga addirittura di contrattare solo in lire nuove, facendo seguire una tariffa delle monete, con il rapporto delle nuove decimali con le antiche ventesimali.

Con lo stesso Editto si prescrive inoltre la coniazione di un sottomultiplo di argento da 25 centesimi e di quelli di rame puro da cinque, tre e un centesimo, che prenderanno il posto dei pezzi di mistura da 7,6, 2,6 e un soldo ,molto necessari per il commercio minuto.

L’ Editto termina con il ragguaglio delle monete genovesi con le nuove lire piemontesi.

Dopo un periodo di relativa tranquillità, viene emanato il Manifesto del 9 febbraio 1829, che dichiara fuori corso tutte le vecchie monete di rame da due soldi, due denari e quelle di mistura da un soldino e mezzo soldino. Il 31 ottobre si fissa il termine per il ritiro dalla circolazione dei vecchi scudi e degli spezzati di argento di Savoia e Genova, mentre il 24 novembre sono dichiarati fuori corso gli scudi d’argento(cinque lire)del decaduto napoleonico regno d’Italia .

l’opera di razionalizzazione dura praticamente per tutto il decennio di regno di Carlo Felice. A questa si deve aggiungere la chiusura definitiva della zecca di Cagliari, con la conseguente cessazione della produzione di moneta isolana, reali e cagliaresi, progressivamente sostituita dalla nuova centesimale.

Carlo Felice fu sovrano legittimista e certo non favorevole al processo unitario italiano di matrice liberale, ma i conii delle sue monete di rame furono usati ancora, negli anni 1859-1860, per battere il circolante delle province emiliane, ormai annesse al Piemonte, in seguito agli eventi della Seconda guerra d’indipendenza, che avrebbero portato, fra febbraio e marzo 1861, alla proclamazione del regno d’Italia.

Quest’ultimo,Il 24 agosto 1862, adottò la lira,erede di quella piemontese del 1816, come nuova unità monetaria.

Ancora una nota sul personale della zecca di Torino durante la Restaurazione, composto in buona parte da ex dipendenti napoleonici.

Non vennero effettuati particolari avvicendamenti. Un nome fra tutti: Amedeo Lavy.

Appartenente ad una vera e propria famiglia di artisti, lavorò nella zecca di Torino durante la dominazione francese. Suo lo splendido pezzo da venti franchi d’oro celebrativo della vittoria di Napoleone a Marengo, 14 giugno 1800. La leggenda( “L’Italie deliveree a’ Marenco”), sul diritto, ha dato il nome a quel tipo di moneta aurea ancor oggi conosciuta nel mondo come marengo.

Al ritorno dei Savoia, contrariamente a ciò che accadde a molti ufficiali e funzionari che avevano servito Napoleone, fu riconfermato nel proprio incarico di incisore capo, rimanendo al suo posto, sia con Vittorio Emanuele I sia con Carlo Felice, firmando tutte le incisioni delle nuove monete decimali sabaude.

Sue sono inoltre le tante medaglie commemorative che realizzò nell’officina di Torino durante la Restaurazione.

Ricordiamo quelle coniate per il ritorno dei Savoia(1814), per le nozze della principessa Maria Teresa di Savoia con Carlo Ludovico di Borbone(1820) e per il restauro dell’Accademia delle Belle Arti, a Torino(1823).

Amedeo Lavy lasciò il proprio posto alla zecca nel 1826, non certo per ragioni di natura politica ma per amarezze personali.

Comunque continuò a lavorare come scultore, senza mai perdere la stima di Carlo Felice.

di Egidio Lapenta

80 lire
5 lire

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*