La nota dolente

LA NOTA DOLENTE

Pensiamo per un istante ad una popolazione privata degli strumenti di conoscenza e di ciò che origina emozioni tra cui, preminente, è assistere ad uno spettacolo teatrale nelle sue multiformi espressioni.

Ebbene è noto che da anni non abbiamo più un teatro (salvo il temporaneo ripristino di due sale risalente alla precedente Amministrazione), ne’ il bar attiguo che animava il dopo spettacolo ed era punto di riferimento per i cittadini a tutte le ore. Come una coppia di coniugi assuefatti, morto uno si porta dietro l’altro.

Gli Alessandrini sono unici nel loro genere: infatti “ma a me … sa cum nan fa”, tipica espressione gergale d’indifferenza, s’addice all’atavico disincanto di certuni, in parte allocati nelle stanze di Palazzo Rosso, ma non a coloro che tra indignazione e ribellione si battono perché il teatro ci sia restituito. Molti? Pochi? Sempre meno, temo, se c’è già una generazione disabituata a tale privilegio. .

Così le Muse indignate,che rappresentano l’ideale supremo delle Arti, provocherebbero nel padre Zeus una tale ira distruttiva su Alessandria, città moribonda dal glorioso “passato remoto”, per darle il colpo di grazia.

Il riferimento preistorico alla fama degli Alessandrini quali competenti e appassionati melomani da offuscare i temuti loggionisti parmigiani, è confermato da una preziosa testimone del periodo ante guerra, allora bambina, quando i più celebri cantanti lirici dell’epoca affrontavano il giudizio del pubblico nostrano prima di andare in tournée. Il racconto inizia da qui, dallo storico teatro cittadino, un gioiello che meriterebbe una ricerca approfondita per non dimenticare.

Di quell’epoca e di ciò che rimase possiamo scorgere uno scarno lascito all’entrata di Palazzo Rosso che poco lascia immaginare dell’antica bellezza.

La mia testimone ha un ricordo nitido del bombardamento di quel giorno, sostenendo che il danno fu provocato da uno spezzone incendiario caduto sul tetto a provocarne in parte la caduta, ma che le fiamme furono presto domate e si poteva rimediare come avvenne in molti teatri che subirono sorte anche peggiore, quale simbolo di rinascita della città: l’esempio più celebrato fu il memorabile concerto inaugurale della Scala diretto da Toscanini (1946), semidistrutta e ricostruita a tempo di record. Ma Alessandria fece presto a dimenticare, non Nemesi che sconcertata da tanta indifferenza inflisse alla città la diaspora dei teatri.

Per un po’ di anni fu il Virginia Marini, che fungeva anche da sala cinematografica con il “varietà” della domenica, ad ospitare spettacoli di vario genere senza mai conquistare la fama e il ruolo dell’antico teatro abbandonato, pur offrendo l’eleganza del suo stile Liberty e l’armoniosa collocazione nel curatissimo parco comunale. Se noi bambini osavamo mettere un piede sull’erba un vigile interveniva subito a redarguire o a multare i recidivi. Era la città dell’indimenticato Sindaco Basile che rimise in sesto l’Alessandria del dopoguerra e del quale s’è perso lo stampo.

Ma il desio di modernità “ruspante” degli anni sessanta e settanta non poteva che dedicarsi all’uso indiscriminato della “ruspa”: edifici d’epoca spianati per favorire la speculazione edilizia il cui lascito ammorba tuttora il centro e i quartieri residenziali d’un tempo. Non fu risparmiato l’antico Marini per far posto all’odierno bunker in sintonia col grigiore cittadino, comunque ambizioso all’interno, con un salone da milletrecento posti, forse troppo grande rispetto all’affluenza di pubblico e dispendioso.

Nemesi non si stanca di colpire … ma almeno questo teatro poteva lasciarcelo.

Dieci anni… dieci anni almeno per un’operazione di bonifica martoriata da incompetenze e interruzioni al punto da sfumarne il ricordo, le abitudini, il desiderio, come avviene per un lutto straziante all’inizio che si trasforma in un malinconico ricordo: l’inaugurazione con Carla Fracci, i concerti per violino (Accardo, Ughi, Oistrach … ) e per pianoforte (un giovane e già celebre Pollini), il flauto di Gazzelloni, l’Orchestra Sinfonica della Rai, “La Traviata”, gli assoli dei primi ballerini di fama internazionale , le compagnie di ballo dalla Russia e pure il coro dell’Armata Rossa, sono tra quelli che ricordo.

Rieducare… rieducare all’estetica dell’esistenza è compito nostro e di chi ha responsabilità istituzionali. Per questo non concediamo spazio alla rassegnazione e a chi vuole fare di Alessandria una città “orwelliana”. Al momento la memoria di quei concerti e dei miei rimpianti si riduce ad una sola nota: “la nota dolente”.

Marina Elettra Maranetto

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