La Repubblica delle banane

Spesso è importante ricevere critiche positive o meglio critiche costruttive da chi non abita in Italia, ma la osserva da fuori.

Ho un conoscente o meglio un amico, M. Latour, che abita a Ginevra, e che da una distanza molto ravvicinata segue le vicende del nostro Bel Paese.

Le sue osservazioni mi sembrano puntuali, soprattutto dettate da uno spirito critico che non è di parte, ma che vuole vedere con un occhio esterno, europeo, ciò che accade giorno per giorno.

A molti giornalisti, provinciali e non provenzali, ciò dà molto fastidio, come se degli stranieri ficcassero il naso negli affari di casa nostra (ricordiamo le affermazioni di Andreotti, quando sosteneva che i panni sporchi si devono lavare in famiglia).

Eppure, ciò contrasta nettamente con la dichiarata volontà di essere sempre più europei e soprattutto col fatto che si accettano tranquillamente dall’Europa 209 miliardi di euro, quasi fossero dovuti.

No signori, le cose non stanno così, l’Italia non ha diritto ad una primogenitura, poiché è l’erede dell’Impero romano, ci sono attualmente 27 paesi che hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, né più né meno.

E allora è giusto che si critichi con voce unanime un Presidente del Consiglio che ha compiuto in poche ore due operazioni riprovevoli, anzi, da condannare.

La prima è la partecipazione attiva ad un evento di Vox, il rigurgito spagnolo di franchisti ed esponenti dell’estrema destra iberica, con discorsi e toni che fanno il pari con vecchie manifestazioni oratorie da Palazzo Venezia.

Molti in Europa hanno rimproverato questa incapacità di distinguere fra democrazia parlamentare e corporativismo degradato e condannato.

Un altro momento assolutamente sgradevole è stato l’incontro fra il Presidente del Consiglio ed un ergastolano, condannato negli USA con solide prove ed inviato da Biden in Italia come un gentile regalino per mantenere fluidi i rapporti di vassallaggio fra Palazzo Chigi e Casa Bianca.

Se cerchiamo nei due gesti la figura di uno/a statista, non lo troveremo sicuramente, ma solo sfacciata, impudente e bassa propaganda.

Sull’altro fronte, la Schlein si improvvisa annunciatrice di favolette letterarie, alla Fedro o alla Esopo, che ripetono stancamente slogan novecenteschi, come se il disco fosse rotto e suonasse eternamente motivi stanchi e ripetuti.

Alcuni amici osservavano che la Schlein sembra sovente una scolaretta da quarta elementare che ripete discorsi scritti da altri.

Sono queste le due donne che devono far frizzare il mondo politico italiano? Sono queste le sirenette del ventunesimo secolo che devono dire, e soprattutto fare, qualcosa di nuovo? Ad un buon osservatore europeo, critico ma giusto, tocca soltanto scuotere il capo, rammentare l’Italietta di settanta o cento anni fa ed aspettarsi il peggio.

Perché il peggio c’è, la Repubblica delle banane così cara a Washington dopo la dottrina Monroe del 1823.

Viator

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