Scuola come occasione di “ricerca”

Ringraziamo l’autrice per l’autorizzazione alla pubblicazione delle sue considerazioni, assolutamente condivise, pensate e scritte per altra funzione, ma perfettamente ascrivibili allo “spirito CittaFutura” (n.d.r.) – 
“Racconterò qui la storia di una scuola elementare di un capoluogo di provincia piemontese, frequentata molti anni fa dai piccoli della mia famiglia e dai figli di tanti amici.
Per due decenni almeno si è trattato di una scuola all’avanguardia non soltanto in questa città, o in questa provincia, ma a livello almeno regionale.
Rammento qui alcuni docenti che vi insegnavano allora ed alcune delle attività che vi si svolgevano.
Vi era un maestro che già nei primi anni Ottanta aveva introdotto l’insegnamento dell’informatica e costruiva con i suoi alunni piccoli programmi con cui muovere nel piano cartesiano sullo schermo simpatici robot, attività ludica con cui affrontava la geometria vettoriale. Lo stesso insegnante introdusse poco dopo la matematica dei frattali e li generava sul computer insieme ai bambini mediante algoritmi anche complessi. Non casualmente i suoi scolari di quinta risolvevano in tutta tranquillità i test di matematica previsti per gli studenti di seconda liceo scientifico.
Più in generale, gli insegnanti che si occupavano di matematica garantivano a partire dalla prima elementare la comprensione della geometria euclidea, della geometria iperbolica di Lobacevskij e della topologia (a partire dal teorema di Eulero), mediante i metodi sviluppati negli Stati Uniti dal Dienes e dai suoi continuatori e da Emma Castenuovo in Italia; e mediante un lavoro artistico sia di produzioni grafiche, sia di lettura decostruttiva delle opere di Escher, di Dubuffet, di Mondrian. L’aritmetica era affrontata secondo le indicazioni psicologiche di Bruner e di Bartlett e utilizzando materiale strutturato che consentiva – sulla base di esperienze soprattutto statunitensi e francesi – di arrivare in terza elementare alla comprensione profonda di potenze, radici e logaritmi e in quinta al disinvolto utilizzo di equazioni, espressioni con frazioni e potenze, soluzioni algebriche di problemi complessi e prime nozioni di Analisi. Infine, vi si svolgevano, a partire dalla prima elementare, attività di logica matematica, che intendevano sia sviluppare le abilità cognitive e argomentative dei bambini, sia offrire loro strumenti di invenzione creativa di racconti e di mondi possibili, diversi da quello consueto. Oggi la Scienza cognitiva ha superato quelle premesse psicologiche e in parte alcuni dei metodi allora utilizzati, ma per quel tempo l’insegnamento della matematica collocava quella scuola tra le migliori del Piemonte.
Vi era, poi, la responsabile provinciale MCE (il Movimento di Cooperazione Educativa, che in Italia a partire dai primi anni Sessanta costituì un gruppo di ricerca sui metodi didattici), che animava un gruppo verticale dei docenti di Italiano di quella scuola e di numerosi docenti di Lettere di scuola media inferiore, gruppo che rifletteva sull’applicazione della grammatica trasformazionale nella scuola e – molto in anticipo rispetto al Ministero – sui migliori metodi di lavoro intorno alla comprensione della lettura. Gli insegnanti di Italiano produssero una quantità enorme di materiale utilizzabile, dalle schede di pre-scrittura, ai lavori di comprensione della lettura e di avvio all’analisi testuale. Due delle maestre di allora furono addirittura tra le prime in Italia a sperimentare il metodo di apprendimento della lettura e della scrittura denominato “Letto-scrittura”, con risultati eccellenti. Numerosi altri utilizzarono l’approccio funzionalistico di Propp alla fiaba tradizionale (erano i tempi della grande tradizione strutturalistica), conducendo i bambini non soltanto a identificare le costanti dei racconti di fiabe, ma, mediante la costruzione delle cosiddette carte di Propp, alla invenzione di racconti non stereotipati, uno dei quali fu addirittura tradotto in un cortometraggio a cartoni animati, tutto costruito, dal soggetto, alla musica, al disegno, all’animazione, dagli stessi bambini. E, ancora, molti docenti dedicavano congruo tempo alla lettura di libri e al lavoro di riflessione sul lessico, sia lirico, sia della prosa. Molto spazio era dedicato alla lettura e alla produzione di poesie, sulla base di esperienze concrete di vissuto e di avvio all’auto-coscienza delle sensazioni e dei sentimenti suscitati da quelle esperienze.
Si trattò di lavori di grandissimo livello, che consentirono di limitare le differenze di classe tra i bambini e di condurre tutti a una consapevole fruizione della Cultura alta. Non è casuale il fatto che molti dei bambini che frequentarono quella scuola mostrando alcune difficoltà cognitive siano poi riusciti a laurearsi in discipline non semplici, come Ingegneria, o Giurisprudenza.

La fortuita presenza di alcuni maestri laureati in Sociologia condusse a sperimentazioni di insegnamento della Storia e della Geografia attraverso l’adozione degli strumenti di ricerca delle Annales e l’utilizzo di sociologia, antropologia e psico-sociologia nell’analisi della realtà storica e contemporanea. Grande fu anche l’influsso del lavoro etnografico e antropologico di Franco Castelli, che tanti docenti conoscevano e che fu guida preziosa per numerosi lavori di ricerca sul campo sulle tradizioni orali. E spesso il lavoro di ricostruzione storica si traduceva anche in costruzioni in cartapesta, prodotte dai bambini, che consentivano loro di comprendere a fondo le architetture dei diversi periodi storici, dalla capanna preistorica, al castello medievale.

Tutti i docenti, del resto, conoscevano il celeberrimo testo del De Bartolomeis, La ricerca come anti-pedagogia e ne adottavano i principi cardine, sviluppando una didattica a essi congruente.
Per quanto riguarda l’educazione artistica, numerose attività riguardavano, spesso con la guida di artisti affermati, il disegno in bianco e nero, sperimentazioni grafiche, pittura libera, collages e mosaico, scultura. E mi piace qui ricordare una cara amica, diplomata in pianoforte al Conservatorio, che organizzava in modo professionale un coro di voci bianche, ottenendo risultati oggi inimmaginabili. In ogni caso, ovunque nelle classi si ascoltava musica sinfonica e da camera. Ogni anno, a inizio giugno, la scuola organizzava sontuose mostre delle produzioni artistiche, molte delle quali sorprendenti per creatività e perfezione tecnica.
Per le attività motorie, spesso con l’aiuto di esperti, si introdussero differenti sport, nell’intento di offrire ai bambini alternative al gioco del calcio: vi furono corsi di tennis, con un maestro della Federazione tennis, attività di Badminton e atletica, seguite da un professore di educazione fisica e così via. E alcune classi seguirono corsi di falegnameria e di teatro, ottenendo risultati di grande valore.
Tutti i docenti di allora sacrificavano molto del loro tempo libero, per partecipare a corsi di aggiornamento anche fuori città e per ritrovarsi, spesso alla sera dopo cena, per riflettere sul lavoro svolto e sulle migliorie da apportare.
Certo non tutto era ottimale. Era, anzitutto, una scuola per molti versi troppo ideologizzata e che forse avrebbe dovuto concentrarsi maggiormente sul consolidamento delle abilità strumentali. Ma in quella scuola tutti lavoravano e spesso accadeva che sorgessero frizioni, perché ciascuno avrebbe voluto avere a propria disposizione ogni singolo minuto, per poter lavorare con la necessaria distensione e gli auspicabili approfondimenti. Ed era una scuola in cui i bambini giocavano molto, ma sempre – tranne durante i brevi intervalli – in vista del raggiungimento di un obiettivo cognitivo.
Poi le cose sono cambiate, alcuni di quegli insegnanti se ne sono andati, per svolgere altri lavori; altri sono andati in pensione. Vi è stato quasi un completo ricambio generazionale. Vi è stata anche l’immissione forzata nella scuola di persone che per decenni hanno svolto altri lavori e che non hanno preparazione specifica per l’insegnamento. E vi è stato l’errore tragico del Ministero che ha cancellato i corsi di formazione in presenza, che consentivano la trasmissione delle esperienze ai neo-assunti, per sostituirli con piattaforme on-line in cui le riflessioni psico-pedagogiche e le esperienze didattiche sono ridotte a slogan e formulette scabre di scarso o nullo significato
Oggi di quel patrimonio di riflessioni, di esperienze e di conoscenze è rimasto poco o nulla, se non per alcuni dei docenti che erano presenti negli ultimi anni di – lo dico con un pizzico di ironica enfasi – gloria; e per pochissimi altri. Oggi, in tutta Italia, non soltanto qui, troppi hanno confuso la ludicità dei metodi con il gioco libero tout court. Alcuni poi hanno in tutta evidenza scoperto che è possibile non lavorare, con l’alibi del gioco necessario all’infanzia. E alcune scuole sono diventate drammaticamente in tal modo ludoteche e parchi gioco, in cui si è perso completamente di vista l’obiettivo principale della scuola, che è quello di diffondere e produrre cultura.
Immaginate quale sconforto colga chi veda la trasformazione di decenni di lavoro e di impegno in una situazione di caos e di disinteresse, che si tenta di celare attraverso la retorica e la cultura dell’apparire, anziché dell’essere, in modo da ingannare tutti, dirigenti, utenti, società in generale.
In fondo, potremmo dire che si tratta dell’amaro risveglio in un mondo di edonismo e superficialità estremamente distante dal mondo per cui tanto e così generosamente si è lavorato.”

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