La sinistra di Aldo Schiavone

E’ diventato un luogo comune dire che la sinistra versa in una crisi mortale, che la sua politica è sterile, priva di idee e di un progetto. Sarebbe allora quanto mai necessario che un aiuto venisse offerto ad essa anche dal suo mondo culturale, dai suoi intellettuali con analisi il più possibile puntuali, con proposte realistiche, con indicazioni strategiche univoche. Ma alla luce di quanto è possibile leggere bisogna concludere che nemmeno da questo mondo stia venendo un aiuto efficace. Molti suoi intellettuali infatti stanno fornendo analisi e proposte diverse e lontane fra loro, spesso opposte e assai poco convincenti. Dunque, la conclusione amara è che lo smarrimento della sinistra non è solo politico ma anche culturale.

Biagio de Giovanni, uno dei suoi intellettuali più autorevoli, a proposito del conflitto in atto con l’invasione russa dell’Ucraina sostiene (“Corsera” 8 febbraio), facendo venire qualche brivido lungo la schiena, che si tratta di uno scontro “in atto e in potenza tra il ‘potere orientale’ e il ‘potere occidentale’”, della conseguenza di una metafisica diversa missione storica dell’Occidente rispetto all’Oriente che non lascia margine per alcuna “mediazione possibile”. A questo punto, verrebbe da chiedere a de Giovanni dove sta l’Occidente e dove sta l’Oriente. Il Giappone del secondo dopoguerra in poi è Oriente o Occidente? E Antiochia, Palestina, Gerusalemme avendo dato i ‘natali’ al cristianesimo sono Occidente o Oriente? E Dostoevskij è Oriente o Occidente?

Aldo Schiavone, intellettuale di sinistra altrettanto autorevole, partendo dall’esame della crisi profonda della sinistra arriva, per fortuna, ad una visione conclusiva diversa ma con una analisi a nostro giudizio non convincente e un po’ sbrigativa. L’impressione immediata che si ricava dalla lettura del suo ultimo lavoro, “Sinistra! Un manifesto” (Einaudi, pp.IX-131), è che per lui oggi non c’è niente di più anacronistico del socialismo, in tutte le sue versioni storiche. Non solo quelle dispotiche e dittatoriali dei paesi dell’Est, ma anche quelle socialdemocratiche, laburiste, riformiste, democratiche in senso lato. Insomma, per lui bisogna ”staccare definitivamente l’idea di sinistra da qualunque idea di socialismo, con la quale ogni politica progressista si era più o meno identificata sin dalla nascita” (p. 33). Con la rivoluzione tecnologica che abolisce il lavoro manuale e con la vittoria definitiva del capitalismo, col crollo dell’Urss, che ‘abolisce’ la lotta di classe, il socialismo diventa un arnese del tutto fuori dalla storia. Così qui la sinistra non è solo priva di idee, ma un movimento storico che parte da zero e che deve praticamente reinventarsi tutto. Schiavone non tiene minimamente conto della letteratura non esigua, a partire proprio dal Marx dei “Grundrisse” (nel libro citato rapidissimamente solo in nota), che sostiene come invece la rivoluzione tecnico-scientifica sia addirittura una opportunità per il movimento di sinistra e socialista.

Nella sinistra intellettuale italiana si è parlato delle conseguenze sociali e umane della rivoluzione scientifica e tecnologica sin dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Due libri straordinariamente densi –“Civiltà al bivio” (Franco Angeli editore 1969) e “Rivoluzione scientifica e socialismo” (Editori Riuniti 1969)- stimolarono all’epoca buona parte della cosiddetta “generazione del ‘68” a ragionare proprio sul rapporto fra rivoluzione scientifica e tecnologica e socialismo. Potremmo allora dire che il libro di Schiavone arriva a questo tema tardi e male.

Ripetere in continuazione che tutto è cambiato è cosa giusta, ma poi bisogna ricostruire e tracciare una prospettiva plausibile. Nella ricerca del gruppo di Richta questo sforzo c’è, basato su una profondità di pensiero e accuratezza di indagine. Già dagli anni Sessanta del ‘900, dunque, il pensiero socialista si misura con la società postmoderna dando l’indicazione di liberarsi della vecchia politica. Traccia un nuovo circuito generale nel rapporto fra società civile e politica la cui ossatura continua ad essere data da un mondo del lavoro che naturalmente non ha niente a che fare con il vecchio proletariato sfruttato, ma che costituisce il lievito della nuova società della conoscenza, della tecnica, della scienza ed è tutto teso all’universalità dei diritti e della cultura. Non c’è già niente nella nuova società esaminata della vecchia ‘classe generale’ che “rimodella su se stessa l’universo sociale”, ma c’è la delineazione di quella che “scopre le forme nuove dell’universalità sociale” e radica l’eguaglianza universale dei diritti nel “pilastro essenziale della democrazia politica”(U. Cerroni).

Schiavone salta a piè pari questa fatica analitica accontentandosi di un’opera di demolizione basata su una proposta ricostruttiva che appare assai gracile. Per lui la sinistra va staccata praticamente da tutta la sua storia e da ogni radice del suo patrimonio di cultura e di idee: va staccata dalla classe operaia, dal valore del vecchio lavoro, da ogni idea di socializzazione, dalla lotta di classe, da Marx, dal marxismo, dal socialismo soprattutto. Viene presentata una sinistra che giunge nella società tecnologica completamente nuda e disarmata nel confronto con un capitalismo dichiarato inappellabilmente vittorioso in eterno, senza uno straccio di storia capace di guardare avanti.

Con una analisi poco convincente alle spalle, a Schiavone non resta allora che ripiegare in quello che Roberto Esposito a ragione definisce “progetto visionario”. Onirico: cioè con pochi legami con la realtà. Ed è per questo che molte pagine sono dense di eticismo, di umanitarismo senza concetto, di universalismo astratto. E’ chiaro che in nessun momento può venir meno la gratitudine della cultura italiana verso Aldo Schiavone per il suo contributo scientifico in altri campi. Ma con questa sua fatica senile siamo punto e daccapo. Passi in avanti? Non molti.

Egidio Zacheo

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