E’ senz’altro un fatto positivo che anche da parte di chi in tutti questi anni si è impegnato a lungo e alacremente contro la sinistra ora venga un contributo di consigli e di proposte per tenerla in vita dopo la colossale sconfitta del 4 marzo (e del 24 giugno).
L’indicazione di legare la sconfitta della sinistra italiana a condizione storiche che riguardano l’insieme della sinistra europea pur non essendo infondata non aiuta molto però a cogliere le specifiche cause nazionali. Naturalmente, è fondato il riferimento a tutto ciò che è accaduto dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica per dire poi che tutto ciò ha rafforzato nell’intera Europa occidentale l’egemonia del capitalismo e ha ,di conseguenza, colpito duramente i capisaldi della cultura e della politica della sinistra. E’ vero anche che l’impetuosa rivoluzione neoconservatrice degli anni Ottanta ha contaminato le stesse strategie della sinistra, spingendola a teorizzare una “terza via” del tutto impercorribile.
Ma c’è comunque da capire come mai, pur nella perdita di un comune orizzonte e pur in presenza di un indebolimento complessivo, la sinistra ha, però, reagito in modo diverso nei diversi Paesi. In Portogallo, Spagna e Grecia essa governa; in Inghilterra non è detto che il Labour non possa vincere le elezioni; in Irlanda non è proprio messa male; in Francia, benché in grave crisi, è molto ben oltre le nostre cifre “farmaceutiche”; in Germania, pur ridimensionata, è parte della maggioranza di governo. Come mai, invece, essa è sparita del tutto e la sua sconfitta è stata completa solo in Italia? Perfino l’ex ministro Calenda nel suo pasticciato “Manifesto politico del fronte repubblicano” parte dall’ammissione che <<l’Italia, anello fragile di un Occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà>>. Non si preoccupa, però, di precisare nel modo dovuto le ragioni di questo e arriva invece subito alla proposta di cambiare tutto: per lui -che fra l’altro di sinistra mastica poco- la sinistra per fare la sinistra deve cessare di essere sinistra. Serve un suo oltrepassamento, in sostanza : la sua scomparsa. E’ esattamente ciò che, in modo untuoso e da sempre “oltre la sinistra”, suggeriscono alcuni noti giornalisti. E’ lo stesso suggerimento, per fare un esempio, che dà l’editorialista del Corriere della Sera Galli della Loggia quando sostiene che l’identità nuova della sinistra deve consistere in una <<contaminazione con valori e prospettive che non abbiano a che fare con la sinistra tradizionalmente intesa>>.
Non si vuole considerare, insomma, il fatto che la sinistra “tradizionalmente intesa” non esiste più da tempo e che probabilmente proprio questo potrebbe essere una delle principali ragioni della sua scomparsa. Da tempo la sinistra ha iniziato un’opera di demolizione dei capisaldi della sua tradizione .
La sinistra ha la primogenitura di molte cose. Ho già avuto modo di dire che “a partire dal nuovismo di Occhetto, è poi andata avanti con la politica liquida di Veltroni, con il leaderismo populista di Vendola, per arrivare (infine?) alla politica delle slide e dei tweet di Renzi. La sinistra non è stata seconda a nessuno nell’aggiornarsi su tutte le mode culturali: nel sostenere l’inutilità dei partiti; nel praticare il leaderismo spinto; nell’avviare un federalismo distruttivo della coesione nazionale; nella privatizzazione di molti beni pubblici”.
Dunque : i guai della sinistra vengono da molto lontano. Renzi è solo il becchino di una storica forza politica da tempo senza identità né organizzazione. Quale la possibile ‘soluzione’, allora? Non certo quella di Calenda e di Galli della Loggia. Diciamo pure che dovrebbe essere esattamente quella opposta: tentare di recuperare il nucleo vitale di una grande tradizione per aiutare la sinistra a mettere a punto una critica aggiornata del capitalismo postmoderno. Una sinistra che torni a fare la sinistra, insomma. E non vada “oltre”: perché -come giustamente ha sempre detto qualcuno- <<oltre la sinistra c’è solo la destra>>.Non si tratta di rifare un cammino a ritroso, ma di guardare avanti avendo le spalle ben protette, una storia da rilanciare e una identità come patrimonio da far valere perché senza identità non si va da nessuna parte, tanto meno nel futuro.
Data la gravità della sua condizione, per la sinistra non si tratta semplicemente di attrezzarsi per essere competitiva (cosa assai improbabile) in una prossima battaglia elettorale. L’attende invece un impegno di lunga lena per costruire una cultura e una organizzazione che, tra l’altro, difficilmente, purtroppo, potrà portare avanti col contributo del Partito Democratico.
Il PD di Renzi va considerato, sul piano della cultura politica e istituzionale, estraneo ad ogni progetto di rinascita della sinistra.
E’ ritenuto responsabile delle gravi lesioni procurate alla cultura della Costituzione, delle minacce all’ambiente, della eliminazione dell’articolo 18, <<dei contratti flessibili, dei licenziamenti facili, del lavoro a termine, delle pensioni a settant’anni, dei ticket sanitari, degli aiuti alla scuola privata, delle privatizzazioni>>(L.Pandolfi). Tutto questo, ormai, è percepito come la sua identità prevalente. E’ allora difficile credere che, per una sinistra impegnata principalmente a dare risposta al problema storico di una nuova soggettività politica del lavoro, un partito con tali ‘caratteristiche’ possa essere un utile e credibile compagno di strada.
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