L’Asino col codino gelato

Ehilà, ci si rivede. Sono tornato. Vi devo qualche scusa perché non vi ho annunciato che sarei stato fuori sede per un po’ di tempo. Chissà se avete sentito almeno un po’ la mia mancanza! Mi hanno invitato in una prestigiosa università americana a tenere un ciclo di conferenze su: «Il “So di non sapere” socratico come consapevolezza asinina”», un tema per me piuttosto banale (forse un po’ troppo relativistico) ma che sembra affascinare il loro establishment, soprattutto negli ambienti dei democrat. Sapete che l’Asinello è proprio il simbolo dei Democratici. Non potevo rifiutare. Devo dire che ho avuto un certo successo e anche qualche riconoscimento. Poi, come saprete, alle elezioni ha vinto Trump e così parte dei miei sforzi è andata sprecata.

Finita la fatica, finalmente sono tornato nella mia piccola città, Alessandria, alla mia vita quotidiana. Ho cominciato a gironzolare, soprattutto dove sapevo che avrei incontrato qualcuno dei vecchi amici e conoscenti. Giunto in Piazza (la piazza principale della mia città) non ho potuto fare a meno di notare un bellissimo rifacimento di parte della piazza, cioè dell’anello pedonale alberato attorno al parcheggio (ebbene sì, al centro della Piazza principale noi abbiamo un parcheggio, ma non andate a dirlo in giro!). Ho pensato: «Finalmente cambia qualcosa»!

Il lavoro di rifacimento era stato evidentemente fatto con cura, ed ora appariva con tanto di illuminazione natalizia. Proprio lì mi capitava spesso di incontrare due o tre amici e di scambiare con loro quattro chiacchiere. Di solito c’era Gavagai, un Asino anziano che aveva un notevole curricolo filosofico e con cui mi intrattenevo volentieri. Ho avuto modo di imparare molto da lui. Qualche volta si univa a noi anche Buridan, Asino di origine francese davvero simpatico, che era un autodidatta dalla mente vivace e anche un notevole conoscitore di logica. Talvolta partecipava alle nostre chiacchiere anche l’asinella Agostina, che aveva un temperamento da artista ma conosceva bene la filosofia analitica. Confesso che per Agostina in gioventù avevo fatto qualche pensierino.

Mi sono guardato in  giro, ma non c’era proprio nessuno. Eppure c’era il sole. Dove diavolo saranno finiti tutti? Faccio qualche tweet e mando qualche messaggio e gli amici mi spiegano che, dopo il rifacimento, il vecchio loco di stazionamento si è fatto davvero inospitale. È diventato impossibile sedersi e soggiornare sulle panchine perché sono di pietra, gelida in questa stagione, e per giunta non hanno lo schienale. Stare seduti lì per più di dieci minuti è una tortura. Per resistere, oltre che essere insensibile al freddo, devi avere la schiena dritta come un palo oppure devi rannicchiarti sulle ginocchia, in posizione fetale.

Guardo con attenzione e metto a fuoco questi nuovi sedili di pietra bianca, a forma di parallelepipedo, che sembrano dei grandi tavoli anatomici, dallo spessore davvero sconsiderato – potrebbero reggere un elefante! Ho provato a sedermici, ma dopo pochi minuti cominciava a gelarmi la coda. Effettivamente, noi Asini abbiamo difficoltà a stare con la schiena dritta, e poi mi stavo penosamente raggomitolando. Insomma, queste panchine sembravano fatte apposta per scoraggiare qualsiasi sosta di qualche durata. Che diamine, ho pensato, quale ratio ci sarà mai dietro a una soluzione del genere?  Uno dei difetti di noi Asini, lo ammetto, è che tendiamo a pensare sempre che ci sia una ratio dietro a tutte le cose. Spesso veniamo delusi e ci dobbiamo ricredere.

Arte moderna? Arredo urbano? Ma perché l’arte moderna e l’arredo urbano devono essere così dis-asinini? Quello era un ambiente intorno a cui – nonostante lo scostante parcheggio munito di una altrettanto ridicola scostante statua posta al centro – quelli che si incontravano costruivano tra loro qualche pezzo di relazione sociale. Si buttavano su una panchina vecchio stile e chiacchieravano. Spesso tutti i posti erano occupati. Luogo di incontro tra giovanissimi (magari un po’ casinisti) o tra attempati (che vi si soffermavano a lungo e, certo, avevano proprio bisogno di uno schienale!). Era forse quello considerato uno spettacolo poco decoroso?

So dagli studiosi che ho frequentato nei miei viaggi e nelle mie letture asinine, che in luoghi come questi resiste e si accresce quello che vien chiamato dai sociologi capitale sociale, un tessuto di micro relazioni che, nonostante la evanescenza delle sue manifestazioni, è in grado di produrre legami sociali di una qualche solidità. E tutto questo cementa la comunità. Non a caso, al mio ritorno, io stesso mi sono ingenuamente indirizzato al mio “luogo di incontro”. Ho annotato sul mio taccuino che cambiare la morfologia di un luogo pubblico di incontro senza considerare chi ci abita, chi lo frequenta, come lo si frequenta, altro non è se non una forma suprema di superficialità e di dabbenaggine. E questo nuoce alla comunità. I responsabili dovrebbero render conto. Forse qualcuno pensa che i luoghi di incontro oggi siano solo i social e che si possano riconvertire le panchine pubbliche in arte moderna o in tavoli anatomici. In realtà i social non creano capitale sociale, anzi, dove c’è, lo distruggono.

È amaro costatare che ogni qual volta lascio la mia città e ogni qual volta, poi, vi faccio ritorno, nonostante le lampadine multicolori, la ritrovo un po’ peggio di prima.

L’Asino (21/12/2024)

 

 

* Per comunicare con me, potete inviare le vostre missive alla “Posta dell’Asino” presso Città Futura (postadellasino@cittafutura.al.it).

 

1 Commento

  1. Ho pensato la stessa cosa io appena ho visto le panchine, nonostante non sia una frequentatrice del luogo, arredi urbani sicuramente costosi e i fruibili…

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