Avendo come riferimento il censimento storico delle Società di Mutuo Soccorso piemontesi, Cent’anni di solidarietà (Bianca Gera, Diego Robotti. Regione Piemonte,1989), il primo dato che emerge è lo squilibrio numerico tra le S.M.S maschili, da un lato, e le S.M.S. in cui si riscontra una presenza femminile: infatti in provincia di Alessandria 600 sono le Società maschili, 12 sono promiscue e 12 femminili.
Per comprendere meglio il rapporto esistente tra la partecipazione femminile al movimento mutualistico e associativo e l’espansione dello stesso nel periodo che consideriamo, è necessario rivolgere la nostra attenzione agli elementi caratterizzanti, scorgendone contrasti e analogie.
Una condizione di comune arretratezza e di degrado morale e materiale, dovuta a condizioni estreme d’indigenza e al pessimo trattamento d’impiego e di salario; la mancanza di tutela rispetto alle conseguenze della disoccupazione, delle malattie, degli infortuni, furono certamente la molla che spinse i lavoratori ad aggregarsi in forme associative che li proteggessero dalla carente legislazione sociale.
Storicamente la nascita delle S.M.S. segnò il superamento dei metodi dell’assistenza caritativa e del corporativismo medievale, dovuto soprattutto al mutamento delle forze lavoratrici, che formarono gradualmente una nuova classe sociale, composta da vecchi ceti di lavoratori cittadini integratisi con un proletariato urbano di estrazione contadina e, nelle campagne, da un nuovo bracciantato agricolo di massa.
A questo processo partecipavano le lavoratrici con la loro presenza dove era indispensabile il lavoro femminile: una manovalanza necessaria che non ha quasi voce, non partecipa, non decide, salvo qualche sporadica eccezione: sembra sopportata da chi condivide la sua stessa sorte come una realtà inevitabile di cui ci si deve in qualche modo occupare e, da parte padronale, da acquisire a metà del salario come un prodotto sociale di scarto, comodamente sottomesso alla disciplina di fabbrica, con cui alimentare l’ingranaggio della produzione.
Un orario massacrante in un ambiente malsano, per la tipologia di lavoro (condiviso spesso con le ancora più disgraziate lavoratrici bambine), malnutrita, soggetta a malattie, per lo più indebolita dalle gravidanze e dal doppio lavoro che l’attende: tutte ragioni che precludono alla donna lavoratrice l’accesso ad una pur minima istruzione, anche quando ne esisteva la remota possibilità, aggravate dal tradizionalismo più retrivo e dalla disorganizzazione. Se vogliamo dare una coloritura d’ironia alla riflessione, basta citare, tra tanti nella provincia, l’esempio della “Società Progressista di Mutuo Soccorso” di Serravalle Scrivia (fond.1873), che “tende alla libertà e al progresso”, come orgogliosamente si afferma, ma n’esclude totalmente le donne.
Scriveva Anna Vertua Gentile nel manuale Come devo comportarmi? (1905): “Se proprio la previdenza e l’avvenire della fanciulla non lo richiedono, non la si mandi a scuola o si cessi di mandarla quando avrà raggiunto i quattordici anni”. Nel 1901 sono ancora analfabeti quasi la metà degli italiani (48,7%), di cui la maggioranza donne.
Contro questo muro sono chiamate a far breccia le maestre: sono 62.643 che anche nei più remoti villaggi diffondono, con l’alfabeto e l’aritmetica, un primo strumento di riscatto. Ancora nel 1926 il regime fascista lancia una pesante offensiva contro l’istruzione delle donne: il personale femminile viene escluso dall’insegnamento di italiano, latino, greco, storia, filosofia nei licei. Tre Anni dopo, il governo Mussolini aumenta le tasse scolastiche per le studentesse della scuola media e dell’università. (Elena Doni, Manuela Fulgenzi: Il secolo delle donne, l’Italia del novecento al femminile. Laterza, 2001)
In Piemonte l’attività industriale prevalente, intorno alla metà dell’Ottocento era costituita dalle prime fasi della lavorazione della seta: trattura, filatura, torcitura, ed è in questo settore che si riscontra la massima occupazione femminile e minorile, nonché i salari più bassi.
Per fare un esempio remoto, nel 1841 il Conte Carlo Ilarione Petitti di Roero stimò che le filande di seta occupassero 39.535 lavoratori nel Regno di Sardegna, di cui:
maschi 3000, con un salario giornaliero di lire 1,20;
femmine 36.536, con un salario giornaliero di 60 centesimi, di cui 18.200 fanciulle d’età inferiore ai quindici anni, con un salario giornaliero di 25 centesimi.
Questa attività industriale, diffusa in tutta la provincia, era significativamente presente nell’Ovadese e nel Novese.
Anche nella relazione di Stefano Boldrini da Giaveno sulle manifatture di Novi Ligure, documentata agli atti del VII Congresso Generale delle Associazioni operaie dello Stato, tenutosi proprio in quella città nel 1859, le indicazioni sono chiare:
– 12 filande
– 2000 bacinelle
– 3000 operai (non è indicata nella relazione l’entità della manodopera femminile)
– migliaia i chilogrammi di seta apprezzata anche a Londra e Lione con un movimento annuo stimato intorno ai 4.000.000 di lire.
Si precisa successivamente che le donne filatrici erano impegnate tutto l’anno perché, terminato il periodo di lavoro nelle filande, passavano a lavorare sui telai pezzi di cotone, nelle loro case.
Tra le tintorie, i dati dell’ Opificio Ghiara che impiega 25 operai per tingere circa 6000 pezze di fustagno l’anno.
L’ 0pificio per la pettinatura delle canape occupa 2.000 operai che lavorano a cottimo retribuito “fino a tre franchi al giorno” .
Sarebbe logico attendersi, di conseguenza, una più significativa presenza delle lavoratrici nelle associazioni del territorio, ma così non è.
A Ovada e sobborghi, all’attività serica (filanda Salvi), si affiancherà la lavorazione del cotone dei cotonifici Sciaccaluga e Oliva, intorno al 1888, e Brizzolesi nel 1903: su tredici S.M.S. una soltanto consente l’accesso alle donne: nella “Società Patriottica di Mutuo Soccorso”, promiscua, si contano 15 socie su 146 maschi, secondo una stima del 1878.
Questa Società, di “tendenza liberale con moderazione”, si era distaccata nel 1872 dalla “Società di Mutuo Soccorso fra gli operai in Ovada”, ispirata “da principi di moralità e religione”, ma “troppo dispoticamente retta dal suo Presidente, un noto prete” (il riferimento è indirizzato a don Tito Borgatta). Si ricongiunse ad essa nel 1893, quando insieme diedero luogo all’ “Unione Ovadese”. (Archivio di Stato di Alessandria, 1877)
A Novi e sobborghi, invece, su diciotto S.M.S. l’ “Associazione degli Operai”, promiscua, fondata nel 1848, conta 18 presenze femminili nel 1873, mentre della “Società delle Operaie”, l’unica femminile, fondata ante 1874, è indicata solo la denominazione. Il 1904 vede la fondazione della “Società Cattolica femminile del Lavoro” con 340 iscritte, il più alto numero riscontrato nelle rilevazioni presentate nei prospetti pubblicati.
Nel Piemonte moderato e sabaudo, e dunque anche nell’Alessandrino, le S.M.S. erano nella quasi totalità emanazioni paternalistiche, sorte con l’appoggio delle autorità o d’esponenti borghesi estranei al mondo del lavoro e ad ogni rivendicazione politica. I criteri ispiratori delle regole statutarie, di conseguenza, davano un’impronta moralistica, apolitica e ossequiosa delle leggi dello Stato cui difficilmente ci si sottraeva, dipendendo la sopravvivenza dalla generosità dei benefattori.
“I capi, di carattere moderato, son contadini che lavorano le loro terre, non si occupano di politica”, si preoccupava di puntualizzare la “Società Unitaria Patriottica di M.S.” di Tassarolo. (Archivio Storico di Alessandria, 1877).
La tendenza era più evidente nelle poverissime S.M.S. femminili, soggette alla benevolenza delle consorelle maschili – di cui ricalcavano gli statuti – e alla carità distratta delle benefattrici.
Troppo misero il salario, per consentire alle lavoratrici di versare regolarmente la quota associativa; precario lo stato di salute, che non rispondeva al requisito di sana costituzione richiesto per essere accettate come socie; assai frequenti le malattie cui erano soggette, per i turni massacranti negli stanzoni umidi, bassi e maleodoranti, o assiepate nei laboratori (la tisi o altre affezioni polmonari, deviazione della colonna vertebrale, malattie della pelle e degli occhi, anemia, erano le più comunemente diffuse tra le operaie del settore tessile). E poi le gravidanze, il puerperio, tutte ragioni che limitavano l’accesso alle S.M.S. maschili che preferivano assumere l’iniziativa di fondare una Società femminile consorella, con amministrazione separata, piuttosto che Società promiscue. Le Società Generali erano le più discriminanti rispetto alle S.M.S. di mestiere e d’azienda.
Un esempio è la gloriosa “S.M.S. delle Operaie” di Alessandria, fondata nel 1855, presente ai Congressi Generali delle Società degli Operai dello Stato di Genova (1855); Vigevano (1856); Voghera (1857); Vercelli (1858); Novi (1859); Milano (1860); Firenze (1861); Asti (1861).
Si legge: “Il socio infermo gode, oltre il sussidio in denaro, dell’assistenza medica gratuita. Non v’è diritto a pensione che dopo dieci anni d’iscrizione. Il sodalizio, le cui sorti non furono prospere durante gli ultimi anni, potè restaurare le sue finanze mercé l’assistenza avuta dalla “Società degli Operai”, dalla quale riceve ogni anno un sesto del provento di una festa da ballo”. (Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio. Statistica del Regno d’Italia S.M.S., 1862).
Tra i tredici sodalizi femminili della provincia, si distingue nel garantire alle associate un accesso all’istruzione, un sussidio continuativo per malattia e vecchiaia, oltre ai sussidi straordinari per puerperio e baliatico, inabilità al lavoro, infortunio o morte sul lavoro, malattia cronica, spese funerarie e sostegno per le famiglie dei soci defunti. In questo caso particolare dobbiamo dire che la “Società degli Operai Uniti” di Alessandria contribuì a trasferire alla consorella una connotazione più distinta ed evoluta rispetto ad altre S.M.S. femminili: non dobbiamo dimenticare che tale Società, fondata nel 1863 dal socio Camillo Pastore, è citata da Giantommaso Beccaria nella Storia delle Società di Mutuo Soccorso d’Europa (Torino 1866, Tipogr. Editrice Fratelli Civalleri, c/o Biblioteca Federiciana, Fano), come “ (…) una delle più celebri e patriottiche società che possa vantare la nostra Italia, la quale sarebbe ben fortunata se potesse vantarne una di simile almeno in ognuna delle sue cento città. Noi la proponiamo a modello di tante altre”.
E’ una nota dolente l’accesso all’istruzione, come il diritto ai sussidi continuativi o a forme di pensione. Due esempi: la “Società Cooperativa per la Biblioteca Sociale”, fondata nel 1919 ad Alessandria-Orti, non annovera alcuna associata, mentre la “Società delle Operaie” (ante1880), sita nello stesso quartiere, ha ragione di esistere, in virtù delle erogazioni di sussidi straordinari, che sono la norma.
Tra le S.M.S. promiscue, merita di essere citata l’ “Associazione Generale di Mutuo Soccorso fra Artisti e Operai”, a Casale M.to (fond.1850; cinque iscritte nel 1862), riaperta nel dopoguerra: una biblioteca sociale dell’ ‘800 di 25.000 volumi; la costruzione della “Casa Popolare Operaia”, iniziata nel 1902 ed edificata nel 1904 allo scopo di fornire ai soci alloggi a condizioni agevolate; tutti i sussidi straordinari e continuativi previsti dagli statuti, comprese pensioni, e sussidi straordinari e continuativi per vedove e orfani, e il sussidio ai soci di Società affini di passaggio in paese, una pratica comune ad altri sodalizi che testimonia forme più estese di fratellanza.
Partecipò ai Congressi Generali delle Società Operaie e all’Esposizione Nazionale di Torino del 1898.
“Gli operai meno facoltosi e appartenenti alle professioni più ordinarie sono i più attivi e fidenti dell’Associazione.
E’ avversata dai retrivi, non favorita dagli altri cittadini.
Questa Società difetta di fondi”. (Ministero d’Agric. Industria e Comm., Statistica del Regno d’Italia, 1862)
Segue: “Lo stato morale ed economico del sodalizio e assai soddisfacente come lo è pure quello finanziario”. (Revel, Cesare: Del Mutuo Soccorso in Italia fra le classi lavoratrici. Torino, Borganelli, 1875).
Altra società promiscua d’interesse storico, é la “S.M.S. fra Artisti, Operai, Agricoltori e Giornalieri” (1860) di Fubine, che antepone la moralità, seguita dall’istruzione, ai sussidi o alle pensioni che riguardano gli aspetti materiali dell’esistenza ma, soprattutto cita in modo esplicito la componente femminile, anche se dai dati pervenuti risultano non più di tre o quattro socie:
“I soci, nell’atto dell’ammissione, promettono di condurre vita operosa da buoni padri di famiglia. (…) Non ponno far parte della Società coloro che fossero condannati per furto, truffa o attentato ai buoni costumi. E’ negato il sussidio ai malati per abuso di vino o di liquori.
Ai soci chiamati al servizio militare o partiti volontari viene computato il tempo che passano nell’esercito, dopo il quale entrano nella pienezza dei diritti.
Forman parte della Società anche le femmine”.(M62, Statistica del Regno d’Italia, anno 1862. Torino. Tipogr, Letteraria, 1864 ).
Menzione onorevole all’ESPO di Torino, 1898, risultava ancora attiva nel 1954.
Analoga dichiarazione compare agli atti della “Società Cattolica fra gli Operai (fond.1878), promiscua: “Sono aggregate anche le donne”. Esemplare la scelta del termine aggregate, che da solo rivela la natura del ruolo assegnato alla figlia d’Eva nella società del tempo.
“Ogni anno avvi una funzione per S.Giuseppe. Deve provvedersi una biblioteca di lettura con sala apposita. Obbligo di celebrazione di qualche messa. I partecipanti ricevono soccorsi, gli altri fruiscono di vantaggi spirituali”. (Archivio di Stato di Alessandria, 1878).
Un settore produttivo peculiare nella provincia riguardava i cappellifici, con la Borsalino in primo luogo (fond.1857). Ad una prima lettura, desta stupore l’assenza delle tante operaie del settore nelle S.M.S. collegate. L’uscita dalla fabbrica in via Cavour delle “borsaline” è ancora un ricordo vivo in molti Alessandrini che regolavano gli orologi al suono inesorabile della sirena all’entrata (7,40-7,55; 14,40-14,55) e all’uscita delle maestranze (12-18), anche se sta sfumando con l’altro ricordo: la ciminiera maldestramente abbattuta nel 1984, simbolo della operosità e dell’identità cittadina che si riconosceva anche nel nome Borsalino ben visibile, nero su bianco, sulla balconata circolare.
Per quanto concerne la Borsalino, di cui è superfluo ricordare l’importanza nel panorama industriale della città, occorre fare una distinzione, sia rispetto ai piccoli laboratori che impiegavano una ridotta manodopera, sia da altri cappellifici presenti, a partire dal 1870: le ditte Sebastiano Camagna, Francesco Valizzone, Teresio Germano. Qui le ragioni dell’assenza femminile nelle S.M.S. dei cappellai sono sempre le stesse, e ormai le conosciamo. Della Borsalino, invece, possiamo parlare di mutualismo industriale, con tutte le connotazioni del paternalismo filantropico, ma non dissimile dalle caratteristiche di tanti sodalizi dell’epoca, rispetto alle problematiche del mondo del lavoro femminile.
Da un’inchiesta industriale riferita agli anni 1870-74, la fabbrica risulta occupare 180 operai: 120 maschi; 40 femmine; 20 fanciulle, con un orario di lavoro di dieci-undici ore giornaliere. Giuseppe Borsalino, il fondatore (il cui primo cappello vide la luce nel piccolo laboratorio di via Schiavina nel 1857), guidava personalmente la formazione professionale del personale. La sua intuizione fu quella di industrializzare la cappelleria e di espandersi su scala mondiale: agli inizi del ‘900, gli addetti erano diventati 1.250. Batteva strade anticipatrici in termini di concessioni aziendali: le iniziative di Giuseppe, proseguite poi dal figlio Teresio, precedettero la legislazione statale in materia assicurativa, a cominciare dall’istituzione di un sistema di previdenza aziendale che finiva di ridistribuire una parte dei profitti d’impresa.
Nel Consiglio di Amministrazione della Cassa Pensioni, composto da sei membri e un segretario con diritto di voto, tre (e il segretario) erano prescelti dalla ditta fra persone di sua fiducia, e tre dagli operai di ambo i sessi, anche se le donne erano prive dell’elettorato passivo. A carico degli operai, il 2% della paga settimanale, esentati i maschi al di sotto delle 1,50 lire giornaliere e le femmine sotto le 0,80 lire, con possibilità per l’operaio dimesso di ritirare le quote versate. La ditta non versava la quota annua di 2.200 lire (salite a 4.000 nel ‘900), in caso di sciopero o “perturbazione operaia”.
Nel 1885 Giuseppe forniva a proprie spese un’assicurazione infortunistica professionale ed extra professionale agli impiegati e agli operai e, ancora nel 1898, una cassa pensioni tra gli impiegati stipendiati mensili.
Alla crescita della fabbrica aveva contribuito notevolmente la progressiva incidenza della manodopera femminile a basso costo ma, rispetto ad altre realtà, era comunque una situazione in cui le operaie godevano di una tutela che inibiva l’esigenza di richiedere altre forme di protezione.
Con l’istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza (1899), le operaie si espressero a larghissima maggioranza per il ritiro di una liquidazione dalla cassa interna, anziché usufruire di un trattamento pensionistico aziendale, o tramite l’iscrizione alla Cassa di Previdenza: troppo instabile il personale femminile, che interrompeva il lavoro con frequenza per motivi di famiglia, per effetto delle ristrutturazioni aziendali, o per virate congiunturali che si abbattevano sulla forza lavoro più marginale.
E’ del 1901 l’istituzione di un ambulatorio infermieristico con un medico di fabbrica, e una Cassa di Soccorso interna per le malattie comuni a favore degli impiegati e operai, con funzioni molto simili alle S.M.S., compreso il soccorso ai cappellai di passaggio, senza contare un insieme d’iniziative filantropiche esterne alla fabbrica di cui l’Educatorio Borsalino e l’espressione più significativa, insieme alla costruzione di case operaie.
L’Educatorio accoglieva i figli d’ambo i sessi dei dipendenti, dopo la chiusura delle scuole, fornendo loro un’istruzione sussidiaria, educazione fisica, in un edificio circondato da cortili, giardini e campi da gioco. A ciò si univa un’azione ricreativa turistica, con gite premio al mare e nella collina di Precetto, luogo di nascita del Fondatore. Si contraccambiava con la presenza obbligatoria alla messa domenicale celebrata nella cappella interna: parte integrante dell’istruzione era l’insegnamento della religione cui si attribuiva il merito della formazione morale dei fanciulli, una leva futura di lavoratori plasmati attraverso la trafila della previdenza aziendale, e da coerenti modelli educativi e culturali.
La Fondazione a ricordo di Giuseppe Borsalino, istituita nel 1903, con l’attribuzione di premi agli operai pensionati e il miglioramento dello statuto previdenziale interno, offre ancora un lato oscuro: gli ambiti premi di 100.000 lire, assegnati per sorteggio, sono destinati ai lavoratori di sesso maschile: “Le donne sono escluse dal beneficio della fondazione, in ogni caso”. (Vera Comoli, Alessandria e Borsalino: Fondazione Cassa Di Risparmio, 2000).
Non è lecito provare stupore, se pensiamo che risale allo stesso anno la prima convocazione del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, articolato in vari settori sui diritti sociali, economici, civili e politici, che raccoglieva le istanze di altri movimenti e voci femminili che si erano levate in precedenza a difesa dei diritti delle donne: fra tutte, Anna Maria Mozzoni, che nel 1881 tenne un’accorata perorazione del suffragio femminile, sempre bocciato in Parlamento ogni volta che veniva presentato un progetto in merito (Minghetti, 1861; Lanza 1871; Nicotera, 18776-77; Depretis,1882, e così via fino all’approvazione, su proposta di Togliatti e De Gasperi, in data 1 febbraio 1945):
“Se temeste che il suffragio alle donne spingesse a corsa vertiginosa il carro del progresso sulla via delle riforme sociali, calmatevi! Vi è chi provvede freni efficaci: vi è il Quirinale, il Vaticano, Montecitorio e Palazzo Madama, vi è il pergamo e il confessionale, il catechismo nelle scuole e… la democrazia opportunista”. E, aggiungiamo, altre forze ostili: la maggioranza dei lavoratori maschi che si sentivano minacciati dall’utilizzo di manodopera femminile a salario concorrenziale, e quindi dalla promulgazione di qualsiasi norma a favore delle lavoratrici; il tiepido sostegno del Partito Socialista e delle sue organizzazioni sindacali; la generale arretratezza incolpevole delle donne.
A tal proposito vale ricordare un’infelice enunciazione socialista dell’epoca: “Le donne che lavorano con voi, sono uomini”, nonché il sospetto che lo stesso Filippo Turati nutriva nei confronti del movimento femminista: “(…) esso non è dunque altro che un fenomeno d’incoscienza sociale”: egli scorgeva un pericolo nell’attribuzione di maggiori diritti alle donne all’interno delle forme di proprietà e di famiglia borghese poiché, così facendo, s’interessava un maggior numero di persone alla conservazione.
La lotta di classe era il vero riscatto “della pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili ” che, anche attraverso il voto, avrebbero finito col rafforzare le forze più retrive.
Una posizione inconciliabile con chi si trovava a condividere, ancora una volta, la Mozzoni: “L’emancipazione femminile è la suprema, la più vasta e radicale delle questioni sociali, capace di unire le donne di tutti i ceti per la causa della loro libertà e del loro riscatto”.
Partecipazione e visibilità
In senso generale, con l’evoluzione della struttura industriale in Alessandria e in altri centri della provincia, un proletariato di fabbrica ancora in formazione vedeva nuclei d’operai in possesso di una notevole professionalità, accanto ad una massiccia presenza di proletariato dai contorni ancora precari.
Si deve alla diffusione e all’incremento delle S.M.S., che fornivano la possibilità di riunirsi, scambiare informazioni, leggere i giornali, istruirsi, la crescita culturale e politica dei lavoratori. Pur restando moderate ed interclassiste, e giudicate positivamente dalle autorità per i loro intenti filantropici e per l’azione di contenimento dei conflitti di classe, le S.M.S. destavano qualche sospetto quando in esse trovavano spazio d’espressione idee radicali e socialiste.
Ancora una volta sono i numeri a parlare:
nel 1864 ad Alessandria si contavano 18 S.M.S. e 16 in provincia, che organizzavano ben 6.572 soci.
Nel 1897 funzionavano nel territorio ben 300 Sodalizi, con circa 32.000 soci, fino a raddoppiare numericamente nei primi anni del Novecento, condividendo e intrecciandosi ad altre forme organizzative originate dalla maturazione della coscienza politica che avevano contribuito a formare, come le Leghe di Resistenza (1897) e la Camera del Lavoro ad Alessandria (1901).
In questo contesto, il processo di emancipazione femminile, pur ostacolato e faticoso, vede alcune eccezioni che, in quanto tali, si arricchiscono di significato.
Siamo nel 1859, al VII Congresso Generale delle Società degli Operai dello Stato tenutosi a Novi. La “S.M.S. delle Operaie” di Alessandria è presente con la delegata Angiola Fantoli, unica donna tra cinquantanove delegati delle trentatre Società rappresentate: piemontesi, liguri e lombarde.
La particolarità non risiede tanto in quest’ultimo dato, quanto nella qualità del suo intervento in merito ad un quesito posto all’ordine del giorno:
“Se convenga istituire nel seno delle Società una cassa di risparmio per i socj, o non soci ed in caso affermativo istituire una Commissione perché nel primo Congresso presenti alla discussione lo Statuto che più crederà conveniente”. (III Adunanza Generale, VIII quesito, 22 ottobre 1959. Atti del Congresso, pag.16).
Opponendosi al delegato Carlo Scotti (Voghera) che, pur favorevole alla loro istituzione accanto a quella del Mutuo Soccorso, sosteneva la necessità “di tenere appropriate a se stesse le casse di risparmio per la prontezza di poterle eseguire in proporzioni non troppo estese; onde proporrebbe di sopprimere dal quesito le parole non soci” , la Fantoli era dell’avviso che “ben lungi dal tenere un sistema ristrettivo, le Società devono adottare quello di maggiore espansione possibile, massime se si tratti di favorire un beneficio”. E’, il suo, un discorso politico di carattere generale, lungimirante, che nulla ha a vedere con istanze legate a tematiche femminili che era prevedibile attendersi.
L’esempio delle casse di risparmio in Lombardia e della Cassa Centrale di Milano, che “(…) ha molte affigliate nelle Provincie, quale metodo potrebbesi pure adottare in Torino, colle affigliate nelle Province” (avv. Giovanni Caprotti, Milano), sembra sostenere la Fantoli che, con Pissavini (Mortara) e Bosio (Nizza M.to) contrastano le posizioni più conservatrici e moralisti che ne pretendevano addirittura la chiusura, come si evince dalle parole del causidico Stefano Boldrini (Giaveno): “(…) le instituzioni delle casse di risparmio furono introdotte dalla filantropia come rimedio che era allora necessario, e che ora non avrebbe ragione d’essere, potendo con altri mezzi l’operaio pervenire al suo benessere. (…) L’idea di capitalizzare è piuttosto un abuso dei tempi presenti che una virtù”. (Boldrini, Giaveno).
Fu approvata la proposta Scotti.
E’ curioso che emerga tra le pieghe del dibattito un eroico gesto di fratellanza al femminile, il cui riconoscimento, ancora disatteso nella sostanza, era già stato deliberato durante il Congresso di Genova (1855): in tutta quella Città non si trova ancora un posto adatto ad accogliere una lapide alla memoria, e Novi si offre di ospitarla.
Vediamone la motivazione: aprile 1855, nel porto di Genova, alla presenza di Cavour e Rattazzi fervono i preparativi per gli imbarchi su bastimenti inglesi dell’esercito piemontese diretto in Crimea.
Il 24 mattina il Croesus, grande nave a propulsione mista, carica ufficiali e soldati di sussistenza, medici, infermieri, medicinali, attrezzature varie e un ospedale da campo, muli e cavalli, un milione e quattrocento razioni di viveri, e altro ancora.
Soffia un vento tempestoso, il mare è molto mosso e il Croesus, speronando il bastimento a vela carico di munizioni che stava trainando, prosegue il suo cammino imbarcando acqua oltre Camogli, quando si verifica un incendio a bordo, dovuto alla collisione.
Il grosso bastimento, rifugiatosi nella baia di San Fruttuoso, s’incaglia con la prua contro il piccolo promontorio che separa le due calette.
Dalla spiaggia, le sorelle Caterina e Maria Avegno vedono divampare il fuoco e odono le urla dei soldati terrorizzati, molti dei quali non sapevano nuotare. Dopo essere salite su un gozzo, si dirigono verso il Croesus senza esitare, salvando molte vite e perdendone una, proprio quella di Maria, madre di quattro figli, che annega per il rovesciamento dell’imbarcazione che aveva permesso loro di soccorrere i naufraghi.
L’Inghilterra l’insignì della prestigiosa Victoria Cross, Cavour con la Medaglia d’oro alla Memoria, prima donna italiana a riceverla, i principi Doria la accolsero per la sepoltura nell’abbazia di San Fruttuoso, e a Genova, quattro anni dopo, non si sapeva ancora dove piazzare una lapide per commemorarne il gesto eroico e il sacrificio.
La storia ha un altro amaro epilogo: la perdita della nave ospedale, mai rimpiazzata dal governo Cavour, causò indirettamente la morte di 2.000 soldati piemontesi, per mancanza di farmaci e attrezzature, di cui 1.300 di colera.
Delle 24 S.M.S. promiscue e femminili della provincia di Alessandria, altre parteciparono ai Congressi delle Società Operaie o ad altre manifestazioni di rilievo:
L’“Associazione Generale di Mutuo Soccorso fra Artisti e Operai”, Casale M.to (promiscua), di cui abbiamo già fornito un profilo, partecipò all’Esposizione Nazionale di Torino (1898), come la “S.M.S. fra Artisti e Operai” di Fubine, promiscua, che ottenne la menzione d’onore.
La “S.M.S. Artigiane e Contadine” di Valenza (fond.1851; 50-55 associate), il cui scopo primario era il sussidio per puerperio e baliatico, partecipò al Congresso di Asti (1861). Dall’Archivio comunale, apprendiamo che nel 1872 il Prefetto sollecitava il Sindaco a concedere un locale del Comune o di qualche Opera Pia in cui la Società potesse riunirsi.
In questa situazione “disarmante”, è il caso di riflettere sul caso dell’unica iscritta documentata alla “S.M.S. dei Veterani 1848-49” di Alessandria, probabilmente inconsapevole, come tanti che vi avevano contribuito, di far parte dell’affresco risorgimentale. (La rilevazione si riferisce all’anno1885)
Il contributo femminile alle lotte operaie
A precorrere le agitazioni operaie che seguiranno in provincia nel biennio successivo, è lo sciopero delle filandiere del Setificio Salvi a Ovada (novembre 1900), da considerarsi un punto di riferimento rilevante nella storia dell’emancipazione femminile del nostro territorio sia per la durata, sia per la determinazione delle operaie nel portare avanti le loro rivendicazioni: “fu anche sulla spinta fornita da questo sciopero che si formarono sia diverse leghe di resistenza – muratori, panettieri, calzolai, fornaci e una lega mista- e si costituì una Camera del Lavoro di Ovada”. (Giancarlo Subbrero, Le “guardie rosse”- economia, politica e lotte sociali nell’Ovadese nel primo dopoguerra(1919-1922). Due anni dopo, nel 1903, entreranno in sciopero anche le operaie del cotonificio Brizzolesi.
La richiesta di aumentare il salario giornaliero da 0,80 a una lira, di ridurre l’orario di lavoro da dodici a dieci ore, e di ottenere un trattamento meno vessatorio all’interno della struttura di fabbrica, ci sembra oggi modesta: eppure, oltre a toccare gli interessi padronali suscitando la reazione conseguente, ci pare generare un incredulo stupore in chi, dalla parte delle autorità cittadine, offriva una mediazione quasi risentita per tutto questo osare inaspettato.
Lo sciopero coinvolge direttamente il Sindaco (avv. Giuseppe Grillo), moderato e benpensante che, come altri in quella circostanza, ha la colpa di non comprendere la portata di un evento il cui valore politico finisce col prevalere sulla sostanza dell’accadimento.
Si avvia un acceso confronto sulla stampa locale, il “Corriere delle Valli Stura e Orba”, ovadese, e “L’idea Nuova”, giornale socialista alessandrino, con intereventi di Francesco Oddone, futuro fondatore della Camera del Lavoro di Ovada, attiva dal 1902 al 1907.
Mentre lo sciopero si protrae, l’inverno aggrava le privazioni delle filatrici, determinate a farsi ascoltare: a loro sostegno si mobilita il Circolo Democratico per organizzare una serata danzante, anche se attraverso “Il Corriere” non manca di precisare prudentemente “che non intende in nessuna maniera fare apprezzamenti circa le cause e le circostanze che hanno accompagnato lo sciopero delle filatrici, spinto unicamente da un sentimento umanitario”. “L’Unione Operaia Ovadese”, concede la sala, facendosi carico delle spese.
Diversa l’opinione che si ricava leggendo “L’idea Nuova” (IV, 29-12-1900, n.190): la cronaca non dimentica le ragioni drammatiche di quella festa da ballo, non lesina parole salaci, ed evita commenti fuorvianti come “brio e animazione” o “massimo ordine e allegria“, intonati dal “Corriere”, seguendo passo per passo l’evolversi di una vicenda che si conclude male: le filatrici resistono per tre lunghissimi mesi, fino al febbraio 1901 quando, stremate, sono costrette a ritornare in fabbrica senza avere ottenuto altro che le stesse condizioni di prima: dodici ore di lavoro e 0,80 lire di salario giornaliero. (Paolo Bavazzano, “D’fome a Uò un’è moi mortu ancioun”. 1900, le filatrici entrano in sciopero. URBS, anno XIX, n.2, giugno 2006).
Il biennio 1901-1902 è caratterizzato dall’espansione della conflittualità operaia su scala nazionale.
In Alessandria, dove è consistente il movimento socialista (fu il primo comune d’Italia amministrato dai socialisti), i lavoratori alessandrini diventano parte attiva di questa mobilitazione generalizzata, a cui si giunge dopo un fase maturata attraverso la fondazione del Partito Operaio Italiano (1882), della Lega di Resistenza tra i lavoratori (affiliata al P.O.I.), del Circolo giovanile democratico (1882), divenuto nel 1888 Circolo di Studi Sociali e Circolo Socialista nel 1896, del settimanale L’Idea Nuova (1897), fino ad almeno sei grandi assemblee su temi vari, compresa la condizione della donna, cui partecipò un pubblico mai inferiore alle trecento persone (1898).
Sul fronte della partecipazione femminile, la “Società Mutua e Miglioramento fra le Sorelle del Lavoro”, 7 (ante 1880), sezione della Federazione Regionale Alessandrina del Partito Operaio Italiano, con sede in Via Venezia, è un’altra delle coraggiose eccezioni da annotare. La Società sarà estinta nel 1893.
Fondamentale l’azione delle Leghe di Resistenza, che risale intorno al 1897, e culmina con la costituzione della Federazione delle Leghe di Alessandria (1899): fu il primo organismo a porsi al di fuori dell’orizzonte assistenziale e paternalista delle S.M.S., anche se non era raro che singolarmente le Leghe ne condividessero l’ideologia corporativa. (R.Botta: Alle origini dell’organizzazione operaia in Alessandria: dal mutualismo alla Camera del Lavoro. Quaderno n.15, I.S.R.A.L, a.VIII, 1985)
Nei primi mesi del 1901, scioperano le berrettaie della ditta Reghezza, contemporaneamente agli operai della Società metallurgica, ai marmisti, agli scalpellini, ai panettieri; con i fornai, entrano in sciopero le maglieriste della ditta Gallo e, in giugno, le filatrici della ditta Ceriana. Gli apprendisti della Mino, i gasisti e ancora i panettieri, concludono la serie degli scioperi del primo anno.
Molti di questi furono proclamati senza che le Leghe consultassero, come dettava lo Statuto Camerale, la Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro: troppo lente le procedure, moderati i suoi interventi, troppo evidente ancora lo spontaneismo della classe operaia, in buona parte legata alla convinzione che fossero le singole Leghe, nella loro autonomia, la vera garanzia della gestione delle lotte.
La svolta avvenne l’anno successivo quando, col perdurare degli scioperi, la Camera del Lavoro decise di abbandonare la funzione di mediazione responsabile e moderatrice tra forze padronali e scioperanti, schierandosi apertamente a favore di quest’ultimi.
Il sostegno, fondato sull’apertura di credito presso alcune cooperative di consumo e sulla raccolta di fondi, cui contribuirono le Leghe e varie S.M.S, diede una dimostrazione di unità e di forza che permise la conclusione favorevole di molte vertenze: non così per le angariatissime berrettaie della Reghezza, né per le filatrici della Ceriana, che subirono il licenziamento delle organizzatrici dello sciopero.
Come ultima riflessione, ritorniamo al punto da cui siamo partiti, all’epoca di illustri pensatori del Risorgimento:
“(…) compete al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore; compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un’accessione, un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata”. Alla donna l’amministrazione della famiglia e della prole, mentre le funzioni civili spettano all’uomo, come affermava Filangieri. Simili teorie, alla base del diritto di famiglia dell’Italia unita, furono riformate soltanto nel 1975. (Valentina Piattelli: Storia dell’emancipazione femminile in Italia. La Repubblica, Storia d’Italia dal ’45 ad oggi).
Quanto di tutto questo ancora sopravvive in molte società, compresa la nostra, in forme non codificate ma discriminanti?
Il percorso è ancora lungo.
Elenco delle Società di Mutuo Soccorso in provincia di Alessandria
Alessandria.
Società femminili:
1) 6007 – “S.M.S. delle Operaie” (collegata alla “Società degli Operai Uniti”,) Via Savonarola.
Fond. anno1855.
N. associate: da 130, prima rilevazione (1862), ad un massimo di 205 (1885). Ultima rilev.:122 (1904).
Attività svolte: istruzione, sussidio puerperio e baliatico, pensioni e sussidi straordinari e continuativi, inabilità e infortunio sul lavoro, vecchiaia, cronicità.
2) 6008 – “Società Mutua e Miglioramento fra le Sorelle del lavoro”
Sezione della Fed. Reg.le Alessandrina del Partito Operaio
Via Venezia,7. Fond. anno 1890.
Tra le fonti, A.M. Mozzoni: I socialisti e l’emancipazione della donna, pubblicazione a cura della stessa S.M.S.
Alessandria Tipografia Sociale, 1892 (Fondazione Feltrinelli, Milano).
3) 6009 – “Società Naz.le Patronale di M.S. per le Giovani Operaie”
Via Parma, 18. Fond. anno 1909.
N. associate: 100, rilev. anno 1926
900, “ anno 1927
L’alto numero di iscrizioni registrate in quegli anni potrebbe essere la conferma della trasformazione in una struttura associativa di diversa connotazione, sotto l’ala del regime fascista: è corretto ricordare in proposito che il decreto di scioglimento delle società operaie risale al 1924 e che, con le Leggi Speciali del 1926, tutte le forme di associazionismo vengono assorbite nell’Opera Nazionale Dopolavoro.
4) 6056 – “S.M.S. fra le Filatrici di seta”.
5) 6119 – “Società delle Operaie”, Alessandria Orti
Fond. ante 1880.
Attività svolte: sussidio straordinario puerperio, baliatico, vecchiaia, inabilità, per le vedove e gli orfani.
Società promiscue
1) 6004 – “Società degli Operai Uniti”
Via Alessandro III. Fond. anno 1863
N. associate 50, rilev. anno 1904.
2) 6076 – “S.M.S. dei Veterani 1848 – 49”
Fond. anno1875.
N. associate: 1, rilev. Anno1885
Attività svolte: sussidi spese funerarie, sussidi straord. vedove e orfani.
Acqui Terme
Società femminili
1) 6146 – “Società Operaia Femminile con Cassa per le Inabili al Lavoro”
Fond.1875
N. associate 159, rilev.1904.
Attività svolte: sussidio straord. puerperio, baliatico; sussidi continuativi o pensioni malattia, vecchiaia, inabilità, infortunio permanente sul lavoro.
2) 6147 – “S.M.S. delle Artigiane Regina Margherita”
Fond.1885. Si costiuisce in seguito alla scissione dalla S.O. Femminile (6146).
Società promiscue: nessuna
Boscomarengo
Società femminili: nessuna
Società promiscue:
1) 6190 – “S.O.M.S. fra Artisti e Contadini”
N. associate: 3, rilev, anno1862; 1, rilev. anno1863
Fond. anno 1851; estinta nel 1940. Attualmente è un circolo ARCI
Casale Monferrato
Società femminili:
1) 6220 – “S.M.S. Artiste ed Operaie” (collegata alla “S.M.S. fra artisti ed Operai”).
Fond. ante 1854.
Congresso di Alessandria (1854); ESPO Torino, 1898.
Società promiscue:
- 6219 – “Assoc.Gen. di M.S. fra Artisti e Operai”.
Fond. 1850, sciolta e ricostituita nel 1865.
N. associate: 5, rilevaz. 1862.
2) 6256 – Casale M.to/Torcello: “S.M.S. degli Operai”.
Fond. ante 1880.
Attività svolte: sussidi straordinari per malattia e alle vedove e orfani soci defunti.
Fubine
Società femminili: nessuna
Società promiscue:
1) 6321 – “S.M.S. fra Artisti, Operai, Agricoltori, Giornalieri”.
Fond. 1860.
Pensioni o sussidi continuativi vecchiaia, inabilità, malattia cronica. Sussidi straordinari.
Menzione onorevole ESPO Torino, 1898.
Molare
Società femminili: nessuna
Società promiscue:
1) 6359 – Società Cattolica fra gli Operai”.
Fond. 1878. ESPO Torino 1898
Novi Ligure
Società femminili:
- 6388 – “Società delle Operaie”.
Fond. ante 1874.
N. associate: 30, rilev. Anno1873
2) 6390 – “Società Cattolica Femminile del Lavoro”
Fond. anno 1904
N. associate: 340, rilev, anno 1904
Attività svolte: sussidi straord. puerperio e baliatico, malattia vecchiaia, cronicità, vedove e orfani.
Società promiscue:
- 6384 – “Associazione degli Operai”.
Fond. 1848.
N. associate: 18, rilevaz. 1873.
“Mutuo socorso nelle infermità dei soci. Sussidio alle vedove e agli orfani, aiuto ai vecchi e agli inabili al lavoro; istruzione ai giovani”.
Si tiene in questa sede il VII Congresso delle Società Operaie (1859).
Il soccorso ai soci infermi e l’assistenza medica a domicilio, permisero non pochi risparmi all’ospedale.
Erano previsti tutti i sussidi per puerperio e baliatico.
“Tendenza liberal moderata” (Archivio di Stato Aless., Prefettura, 1877).
Iscriz. Alla Cassa Naz.le di Previdenza
Ovada
Società femminili: nessuna
Società promiscue:
1) 6413 – “Società Patriottica di Mutuo Soccorso ed Istruzione degli Operai”. Fond. anno 1872.
N. associate: 15, rilevaz. anno 1878.
S.Salvatore Monf.to
Società promiscue: nessuna
Società femminili:
1) 6505 – “Società di M.S. ed Istruzione Margherita di Savoia”
Fond. anno1881
N. associate: 82, rilev. Anno 1885, 105 anno 1904
Sussidi istruzione socie e figli;
“ “ malattia;
“ “ cronicità;
iscrizione alla Cassa Naz.le di Previdenza
Valenza
Società promiscue:
1) 6564 – “S.M.S. Unione e Concordia”.
Fond. anno 1880
N. associate: 92, rilevaz. 1881
Spese funerarie, sussidi straord. malattia e prestiti ai soci, sussidi continuativi per malattia cronicità e vecchiaia.
Iscrizione alla Cassa Naz.le di Previdenza.
2) 6572 – “S.M.S. Calzolai” .
Fond. anno 1861
N. associate: 45, rilev. Anno 1904
Sussidio spese funerarie, sussidi continuativi e pensioni malattia e cronicità.
Iscrizione alla Cassa Naz.le di Previdenza.
Società femminili:
1) 6568 – “S.M.S. Artigiane e Contadine”. Fond.1851.
N. associate : 52, rilev. anno1873; 57, 1878; 54, 1885
Sussidio puerperio e baliatico.
Nel 1914 si fuse con altre Società per fondare la Società Generale di M.S.
Congresso di Asti (1871).
2) 6569 – “Società Femminile Risparmio e Soccorso Regina Margherita”.
Fond. anno1898.
N. associate: 50, rilev. anno 1904.
Sussidio malattia, sussidio straord. per baliatico e cronicità.
Commenta per primo