È stato, infatti, Maurizio Landini l’indiscusso protagonista di questo XIX Congresso. Si è caricato sulle spalle il peso dell’organizzazione in un passaggio storico drammatico per le forze che il sindacato rappresenta, stremate dalla crisi. È stato lui a determinarne i passaggi chiave, a difendere scelte che pure qualche malumore e qualche fibrillazione all’interno l’avevano create. È stato Landini a difendere i delegati al congresso dagli attacchi di Calenda, ricordando ai leader dell’opposizione la realtà dei fatti su astensionismo e sconfitta elettorale. Ed è stato Landini, nel giorno più lungo, quello della visita di Giorgia Meloni, a metterci la faccia, salire sul palco un attimo prima dell’ospite per introdurla. Semplici parole con le quali ha sciolto dubbi e timori che da giorni aleggiavano al pensiero di quel momento: “chi vuole essere ascoltato deve saper ascoltare”, prevenendo fratture o contestazioni scomposte, affrontando una sala nella quale la tensione si tagliava con il coltello.
E dopo giorni complessi, belli ma molto difficili, questa mattina vederlo salire sul palco abbracciato da una felpa rossa della Cgil che sostituiva il dress code della giacca ha chiarito subito quale sarebbe stata la cifra distintiva delle parole che avrebbe pronunciato di lì a poco. E più che una chiusura congressuale abbiamo visto spalancarsi un mondo sui prossimi anni del sindacato Rosso.
Incorniciati, all’inizio e alla fine del discorso, dalla stessa urgenza: quella di restare uniti, di non lasciare qui al palacongressi di Rimini il clima positivo che si è respirato in questa quattro giorni ma di portarlo nelle piazze, di farlo vivere anche nei prossimi anni.
Lo ha detto con i gesti, lasciando che le compagne e i compagni della sede nazionale di Corso Italia condividessero con lui il palco all’inizio, in una bella “rottura del cerimoniale”. Lo ha detto alla fine con le parole, rotte dalla fatica, dall’emozione, da ore di discorsi in pubblico, dall’entusiasmo, dalla tensione, persino dalla commozione che gli hanno lasciato addosso questi quattro anni e questi ultimi quattro giorni.
In mezzo ci sono i temi che hanno dato corpo ai discorsi del congresso. E un’idea di Paese che, a mano a mano che il segretario generale della Cgil parlava, prendeva forma. Partire dalla condizione attuale in cui chi per vivere ha bisogno di lavorare non è mai stato così debole. Perché “la frantumazione dei diritti, la divisione del mondo del lavoro, la concentrazione in poche mani della ricchezza” sono i cancri di una società che sta rapidamente tornando indietro.
Questione fiscale
Per questo la battaglia sul fisco diventa centrale. A sentire l’enfasi e il peso che Maurizio Landini carica su questo tema si capisce che la considera la madre di tutte le battaglie. Solo utilizzando quella leva che oggi schiaccia a terra lavoratori e lavoratrici dipendenti, pensionate e pensionati, su cui grava “il 94% dell’Irpef, in un Paese che ha 100 miliardi di euro di evasione” e nel quale le rendite di varia natura hanno unna tassazione inferiore a quella di lavoro e pensioni, si potrà permettere la crescita dei salari, recuperare soldi da investire nella sanità, nella scuola, in politiche industriali e produttive che diano nuova spinta all’occupazione.
È questo il punto di fondo per Landini. Su questo “siamo pronti ad avviare una grande mobilitazione nazionale che ci porti fino a Roma e non escludo alcuna forma di lotta, compreso lo sciopero”, dice il segretario generale della Cgil dopo aver raccolto nel primo giorno del congresso la convergenza di Cisl e Uil sul tema e dopo aver ascoltato dalla Meloni, proprio ieri da quello stesso palco, la rivendicazione degli elementi contenuti nella legge delega.
Questione sanità
La battaglia sul fisco andrà di pari passo con la creazione di una vertenza nazionale che permetta il recupero di investimenti necessari non solo alla sopravvivenza ma allo sviluppo del sistema sanitario nazionale. Per la dignità e il rispetto delle lavoratrici e dei lavoratori, ieri eroi, oggi dimenticati, per il diritto di tutte le cittadini e i cittadini alle cure. Altro che investimenti in armi e taglio del welfare. La Cgil chiede tutt’altro.
Questione autonomia differenziata
E questa vertenza si lega alla battaglia contro l’autonomia differenziata che rischia di rendere questo Paese ancora più diviso, di determinare cittadini di serie A e di serie B. “Ma come, si chiede Landini. La presidente del Consiglio ci ha ricordato che ieri era la Festa dell’Unità nazionale e poi vota un provvedimento come quello? Noi siamo per l’unità nazionale, ma lo siamo tutti i giorni. Il 17 marzo, il 18, il 19, il 20, il 21…”.
È lunga la relazione del segretario, va a braccio, ma non perde il filo rigoroso dei suoi pensieri. È lunga ma passa in un soffio. Lasciato il testo del giorno dell’apertura, progettato in ore e ore di discussione e osservazione dei vari congressi territoriali e di categoria e scritto, questa volta Landini è un fiume in piena, pochi appunti su un foglio, più che altro in testa.
Quando sottolinea il passaggio della presidente del consiglio sulla condanna all’assalto della sede nazionale della Cgil da parte dell’estrema destra, ma suggerisce che davvero efficace sarebbe, oltre a quelle parole, “dare piena attuazione alla nostra Costituzione e sciogliere tutte le organizzazioni fasciste. Quello sarebbe un gesto concreto”.
Dice molto altro il segretario, e questa volta più di altre varrebbe la pena di guardare il suo viso e i suoi gesti, riguardarsi il video più che leggerlo in un pezzo.
La funzione del Sindacato
Ma la fine del suo discorso è dedicato proprio alla Cgil, alla sua idea di confederalità, a tutte le compagne e i compagni che hanno dato vita, ancora una volta, a questo grande processo di democrazia che ha ancora tanto effetto e rilevanza nel Paese perché comunque “non esistono altre organizzazioni che hanno 5 milioni di iscritte e iscritti, decine di migliaia di delegate e delegati sui posti di lavoro, migliaia di pensionate e pensionati che tengono aperte le sedi”.
“La confederalità per me non è un’etichetta – ha detto Landini –: non sono confederale perché adesso indosso la felpa della Cgil o perché rappresento la Cgil. Non è quello che dici o il tuo ruolo, ma quello che fai concretamente tutti i giorni. È lo sforzo di unire le persone, di tenerle assieme, di sostenere un’azione collettiva. Usiamo la nostra forza per dare le risposte che ci chiedono. Perché anche i giovani che dicono di non sapere cos’è il sindacato, ci stanno rappresentando un bisogno di sindacato”.
Siamo alla fine. Landini continua a metterci la faccia, a caricarsi la responsabilità di essere sincero con chi ascolta. “Davanti non abbiamo un periodo semplice, ma di che cosa abbiamo paura? Che cosa abbiamo da perdere? La precarietà? Il salario basso? Di che cosa dovremmo aver paura. Dovremmo temere solo la paura di aprirla questa discussione. Io non so come va a finire questa battaglia. Questo congresso però ci dà un punto di forza: siamo uniti. Di sicuro se non fai nulla, se non combatti, hai già perso. Noi non ci fermeremo e la battaglia la vinceremo”.
Felpa rossa, standing ovation dopo una vera scossa alla sala. Il congresso della Cgil, che ha avuto Maurizio Landini indiscusso protagonista, finisce proprio alla sua maniera, tra applausi ed entusiasmo e tanta voglia di rimboccarsi le maniche.
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