Le donne nell’arte

Dalla Grecia alla Persia a Roma al Rinascimento le donne, regine, eroine o dame sono presenti in abbondanza e di solito fanno brutta fine.

Scienziate, matematiche, medichesse, ingegnere, musiciste, scrittrici, architette, poetesse, monache, le donne erano prive di strumenti di difesa, senza studi, senza indipendenza economica, culturale, religiosa.

Le donne hanno imparato a loro spese a tenere ben nascosti i loro pensieri, costrette, controllate, da padri, madri, fratelli, preti e amori non desiderati.

Poi, però, a un certo punto le donne hanno cominciato a dipingere e ad occuparsi d’arte.

Si sente spesso chiedere “ ma tu ci fai o ci sei?”, domanda sterile, nessuna separazione è possibile. Noi siamo quello che facciamo e facciamo quello che siamo, nel bene e nel male. Noi possiamo distinguere, ma non separare, tutto è interconnesso e le nostre vite sono storie raccontabili solo con uno sguardo rovesciato all’indietro, come ha bene illuminato Paul Klee nel suo Angelus Novus.

Così le donne, in solitaria o insieme, riescono a dare vita a quel processo di autoregolazione spirituale, di cui parla Carl Gustav Jung, parlando di arte. Perchè l’arte rappresenta proprio questo, nella vita delle nazioni e nelle diverse epoche, un movimento che non è solo collettivo, ma anche personale, un’autoregolazione paragonabile all’attività compensatrice che l’inconscio esercita nei confronti della coscienza.

L’essenziale è tenere insieme il personale e il collettivo, onorando la polarità femminile che costitutivamente è relazione, non è certo a caso che la donna sappia sapientemente tenere in mano mestolo e pennello senza confondere il reciproco sapore e sapere.

L’opera d’arte è l’esito di un processo inconscio che scaturisce da profondità ai più insondabili e acquista valore e bellezza e forma nelle immagini simboliche. Certo si pesca nell’inconscio collettivo, ma è nella capacità del singolo l’arte dell’ascolto, così da portare in luce un’immagine che sia valida per tutti, senza cadere nel riduzionismo personalistico. E’ questa capacità di silenzio e di ascolto la luce che illumina la vera arte, quell’ispirazione che attraversa l’artista e che lo fa obbediente ad una voce che trascende sé stesso e i confini di spazio e tempo.

E’ questo un luogo dove, come dice il poeta Rilke: del bello il terribile è l’inizio.

Una voragine che attira e che può catturare chi non ha la forza di tornare alla vita reale.

Qui si sono perduti molti artisti, quanto materiale visionario nelle fantasie dei malati di mente, negli psicotici; la schizofrenia è presente sempre, si tratta di domarla senza ucciderla.

E in questo il femminile insegna.

Ricordate la conturbante fotografia dove Lou Andreas Salomè tiene la briglia a Nietzsche e Paul Ree?

Un femminile che sa armonizzare la sua polarità maschile senza mai perdersi, un femminile capace di amare avendo davanti a sé l’Aperto, come ancora il poeta Rilke indica, dando al maschile e al femminile il loro giusto posto: due solitudini confinanti che si custodiscono e salutano a vicenda .

L’arte è sempre stata al femminile, non è un caso che lo sia anche la parola stessa e che erano le Muse a personificare la musica, la danza, la poesia, la pittura, la scultura e l’architettura.

Ma la sua produzione è davvero stata quasi sempre in mani maschili o piuttosto l’arte femminile è stata nascosta, come i ritratti di Maria Maddalena trovati dietro ai vecchi confessionali?

Nascosta sì dagli uomini, ma anche dalla stessa donna, paurosa del passo di un femminile che non teme la sua voce, capace di disancorarsi da un ruolo culturale e sociale che non sa contenere l’alterità, un maschile oscurantista e predatorio che ha relegato, non solo la donna, ma il suo stesso femminile in un luogo senza remissione di peccato.

Porto nel cuore artiste come Jeanne Hebuterne, come Camille Claudel, come Antonia Pozzi e Sylvia Plath, come Maria Callas e Marilyn Monroe, e come molte altre magnifiche creature distrutte dall’ombra di un maschile troppo immaturo per offrire ad entrambi la gioia dell’incontro, dove l’amore è solo quell’energia che sa trasformare la polarità distruttiva in creativa.

Il compito indispensabile della donna è oggi più che mai quell’opera di ritessitura di un tessuto culturale sociale e aggiungo religioso, malato, deprivato di quella forza creativa che solo l’attenzione e la cura sanno fare, inseparabili da quell’intelletto d’amore di cui Dante, uomo che aveva armonizzato in sé le due istanze, sa bene-dire.

Il Maestro fa risuonare in noi quello che siamo, ci riconosce, ci dà nome.

E in questo lavoro di ritessitura vengono risanate anche le vite delle artiste che non ci sono più e che hanno contribuito al nostro nuovo passo di conoscenza. E la riconoscenza non può essere dimenticata.

E’ nell’incontro e nel dialogo che si cresce, un confronto continuo non certo fatto di dialettica e competizione, ma accettazione e accoglienza. E’ nel dialogo che ci possiamo specchiare grazie all’altro da noi, è nel dialogo che insieme si troverà qualcosa che nessuno dei due ancora conosce.

Il dialogo è sempre anche Rivelazione.

E questo “novum” le Donne Artiste lo declinano ognuna nel proprio profondo sentire; nelle loro opere nessuna copiatura né forzatura, ogni espressione, ogni stimolo, ogni segno racconta la personale e irripetibile storia.

Una storia, quella delle donne, che ci portiamo addosso da millenni, un femminile rispettoso di un passato in cui il matriarcato era pienezza di vita, da riportare oggi in vita.

Le donne, la sapienza del segreto intimo delle cose, dove il senso del sacro è il limite da non varcare ma da incontrare nel tabernacolo del proprio sé, dove l’Arte è invisibile ma sensibile comunione.

di Patrizia Gioia

 

 

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