Le Grandi Opere “utili”

Rispondo volentieri ad una serie di sollecitazioni e provo a dare qualche contributo in merito. Prima di tutto preciso che sono un “cittadino prestato alla politica”, anche se – specialmente oggi – tale appellativo può suscitare ilarità. Il mio lavoro è l’insegnante, ultimamente docente di Liceo e “formatore” in organismi a carattere ambientale ed educativo. Sono anche giornalista e come tale dirigo, ormai da 4 anni, la testata on line www.cittafutura.al.it. Proprio su tale giornale potrete ritrovare quanto vi sto comunicando (1).

Abbiate pazienza se sarò semplice nella comunicazione, al limite della banalità, ma uno dei difetti principali che ha portato le forze di centro sinistra nel vicolo (quasi) cieco in cui si dibatte è proprio il fatto di aver sottovalutato, con superficialità al limite dello sberleffo, segnali importanti della cosiddetta “società civile”. E questo in un lungo periodo di tempo. Marc Lazar, storico e politologo di vaglia ci aiuta in questa autocritica e più volte ha segnalato l’avanzata, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso, dei movimenti e partiti populisti ovunque in Europa. In questo modo ha posto l’accento sulle cause ‘sociopolitiche’ che stanno alla base della ‘popolocrazia’. “Cause riconducibili, da un lato, al senso di frustrazione e di risentimento nei confronti dei tradizionali partiti politici che si richiamano alle istanze del centro-destra e del centro-sinistra, (diffusosi rapidamente in molte aree della Francia e dell’Italia, oltre che in numerosi altri paesi dell’Unione Europea), dall’altro, alla ferma opposizione nei confronti delle élites, “costantemente denigrate, screditate, detestate, odiate”, che ne esprimono e sostengono le idee.”  (…)”Le radici di questo malessere andrebbero ricercate nell’antagonismo tra “il popolo virtuoso contro i suoi rappresentanti corrotti (…), amplificato dalla cassa di risonanza costituita dai media, in primo luogo la televisione, internet e i social media”. I populisti reclamano poi la ‘democrazia diretta’, “che rifiuta qualsiasi intermediario”, una democrazia incentrata su un modo di fare politica volto all’agire con urgenza, utilizzando una forma di comunicazione che consente di dare “risposta alle attese incessanti dell’opinione pubblica” e di “rivolgersi più direttamente e semplicemente al ‘popolo’”, grazie “a tutte le possibilità offerte dalla televisione e dalle tecnologie digitali”, facendo leva sul ricorso all’uso ‘del buon vecchio referendum’. ” (2)

Scusandomi per la digressione, utile pero’ per capire meglio in quale ambito ci stiamo muovendo cerchiamo di capire come si possa uscire dal “quasi” vicolo cieco di cui sopra. Utile, in questa primafase di analisi, la scheda recentemente pubblicata su www.cittafutura.al.it contenente lo “stato dell’arte” rispetto alla contestata TAV Torino – Lione (3)

Il confronto sulla trasportistica locale, a media percorrenza e di alta velocita’ / alta capacita’ è fin da subito iniziata sottoforma di un dialogo al limite del tecnicismo per addetti ai lavori e per , pochi, politici interessati. Di qui’ la difficoltà per l’opinione pubblica a valutare fin da subito punti a favore (o eventualmente contrari) a disegni strategici che andassero appena al di la’ della gestione corrente. Oltre tutto con pochi dati a disposizione e con tempi, quaranta-cinquantennali , che allora (siamo negli anni Settanta dello scorso secolo) si faceva fatica a immaginare, tanto meno a concretizzare.

Quella dei trasporti è una delle prime politiche comuni dell’Unione europea. Fin dall’entrata in vigore del trattato di Roma nel 1958, la politica della neonata CEE si è concentrata sull’eliminazione degli ostacoli alle frontiere tra gli Stati membri; questo richiedeva, fra le altre cose, lo sviluppo di grandi reti europee, le quali potessero concretamente mettere in comunicazione i diversi Stati membri ed i loro cittadini. Seppure la libera circolazione di persone e merci all’interno della UE resti l’obiettivo primario, la politica dei trasporti presenta numerose connessioni con altre politiche dell’Unione :  le scelte in materia di trasporti hanno ad esempio riflessi diretti sulla lotta al cambiamento climatico.

La politica della UE in materia di trasporti è orientata allo sviluppo il più armonioso e coerente delle diverse modalità di trasporto, in particolare attraverso la co-modalità, ossia l’utilizzo di ciascuna modalità di trasporto (terrestre, marittima, aerea), nella maniera più efficace.

Più precisamente, il trasporto combinato o intermodale consiste nel trasporto di merci fra gli Stati membri (e non solo), nel quale il veicolo utilizza la strada nella parte iniziale del percorso e, nel resto, la ferrovia, una via navigabile o un percorso marittimo, ed effettua il tragitto finale su strada: − fra il punto di carico della merce e la stazione ferroviaria più vicina possibile, per il tragitto iniziale e fra la stazione ferroviaria di arrivo più vicina ed il punto di destinazione della merce, per il tragitto finale, oppure − in un raggio che non sia superiore a 150 Km in linea d’aria dal porto fluviale o marittimo di imbarco o sbarco.

L’intermodalità consiste quindi nell’utilizzo di diversi mezzi di trasporto per fare compiere ed una unità di carico l’intero viaggio da partenza a destinazione, con l’obiettivo primario di : − ridurre al massimo il traffico su strada ed i conseguenti danni all’ambiente;  − ridurre il congestionamento del traffico, i ritardi e gli incidenti.

Le unità di carico

Un carico è unitizzato quando la merce viene “confezionata” in modo da poterla movimentare con sistemi “unificati” e validi per tutti i mezzi di trasporto. L’invenzione e l’uso su larga scala del container negli anni ‘60 venne paragonato alla rivoluzione rappresentata dal passaggio fra l’uso del vapore ed il motore a scoppio. Viceversa, é rimasto pressoché invariato il modo di manipolare e trasportare la merce sfusa, come le granaglie, che vengono sempre sistemate nelle stive della nave, seppure con mezzi più moderni di carico e scarico.

Tutte le altre merci, purché di dimensioni compatibili con quelle dei container, vengono sistemate in questi scatoloni, che hanno le stesse misure in tutto il mondo, gli stessi limiti di portata e vengono movimentati con gli stessi tipi di attrezzature in tutti i terminal. Senza l’adozione di questo sistema ,l’intermodalità avrebbe incontrato grossi limiti alla sua espansione. Proprio su questo punto si è imperniata tutta la politica di trasformazione dei sistemi di lavoro, soprattutto manifatturiero, portando i punti di produzione lontano da Europa e Stati Uniti, luoghi in cui il costo del lavoro non era più sostenibile per le aziende. Si è, in sostanza, rovesciato un tratto distintivo della “produzione” nei paesi dell’allora “Primo Mondo”, invece di portare le “otto ore”, i diritti sindacali, le garanzie sanitarie e pensionistiche un po’ in tutto il mondo, si è privato – sostanzialmente – il “Primo Mondo” di una potenzialità produttiva autonoma. Al massimo era possibile, e così ci si è orientati dai primi anni Ottanta dello scorso secolo, una semplice e veloce attività di trasformazione, assemblaggio, distribuzione, quella che diventerà, sostanzialmente, la “Logistica”. Sempre a proposito di “container”, una proposta di direttiva (tuttavia non adottata) proponeva l’adozione di norme armonizzate con l’obiettivo di garantire un utilizzo più efficace e sicuro delle nuove unità di carico intermodale (contenitori e casse mobili); fra gli obiettivi di questa direttiva sarebbe rientrata inoltre l’instaurazione e la “definizione” di una unità europea di carico intermodale, vale a dire una unità concepita per il trasporto di merci utilizzata in Europa.

L’obiettivo è quindi quello di aumentare la competitività del trasporto intermodale armonizzando le procedure di omologazione dei contenitori, la manutenzione ed il loro collaudo periodico. La mancanza di armonizzazione fra i vari Stati impone quindi una miglior disciplina della materia, soprattutto per ragioni di sicurezza. Basti pensare al fatto che un contenitore troppo usurato e non sottoposto a collaudi periodici é suscettibile di non reggere il carico e sfasciarsi durante il trasporto o sganciarsi al momento dell’imbarco, con gravissimi rischi per persone e cose.

Le reti transeuropee

Le reti transeuropee consistono in progetti infrastrutturali d’interesse comune ed hanno come obiettivo quello di rafforzare l’intermodalità dei trasporti. Esse mirano a favorire la nascita di una rete integrata di trasporti che copra tutta l’Unione ed utilizzi tutti i modi di trasporto. La Spagna aveva ad esempio uno scartamento ferroviario diverso rispetto alla Francia. Al confine la merce veniva trasbordata dai carri che giungevano dal resto d’Europa, costituendo in tal modo una strozzatura enorme al traffico. Si ovviò in un primo tempo con l’adozione di carri speciali, in grado di adattare i carrelli al diversi tipo di scartamento; successivamente, però, la rete è stata armonizzata a quella europea.

Le reti divengono quindi “transeuropee” quando tutte le infrastrutture sono state adeguate ed armonizzate in modo che ogni strozzatura ed ogni discontinuità possa essere eliminata.

I TEN-T

Nel lessico dell’Unione si parla quindi di TEN-T per indicare il Trans-European Network for Transport, il quale si distingue dai “TEN” relativi alle telecomunicazioni e all’energia. Tutte queste reti vengono considerate un prerequisito indispensabile per la realizzazione del mercato interno. Nell’ambito dei trasporti, lo scopo perseguito è la realizzazione di un’unica rete multimodale che integri i trasporti via aria, via terra e via acqua. Una forma di trasporto poco utilizzata ma dotata di grandi potenzialità é costituita dalle vie navigabili interne: tramite il programma NAIADES, l’Unione cerca di promuovere questo tipo di trasporto, il più sostenibile fra le modalità di trasporto via terra. Secondo le Commissione, lo sviluppo del trasporto tramite le vie interne comporterebbe sia una riduzione dei costi sia un incremento dell’occupazione nel settore.

Il “Corridoio 5”

Il corridoio 5 , per usare le parole del ministro che lo ha presentato è “un asse destinato a portare sviluppo dove c’è degrado, comunicazione dove c’è desolazione, mercato dove c’è bisogno”. Esso costituisce la concretizzazione dell’idea di rete transeuropea. Si tratta di una linea di comunicazione che collega Lisbona a Kiev, toccando Madrid, Barcellona, Lione , Torino, Venezia, e Budapest per proseguire verso est. Sarebbe limitativo definirla “strada”; sarà infatti un grande flusso da gestire con strade, ferrovie, vie d’acqua ed aeree, con reti virtuali, fasci di fibre ottiche per le telecomunicazioni e infrastrutture logistiche, con l’individuazione di spazi di stoccaggio delle merci ed altre necessità da destinare alle industrie e commerciali.

Il programma Marco Polo

Il programma Marco Polo è nato proprio con l’obiettivo di favorire l’integrazione dei diversi sistemi delle reti di trasporti dei diversi Paesi membri. Il programma mira altresì a ridurre la congestione delle infrastrutture stradali, trasferendo una parte del traffico merci dalla strada verso la navigazione marittima a corto raggio, la ferrovia e la navigazione interna.(fiumi e laghi). La seconda edizione del programma prevede, fra l’altro, la concessione di un contributo finanziario comunitario destinato a migliorare le prestazioni ambientali del sistema di trasporto merci. Pur mantenendo le stesse condizioni per quanto riguarda il finanziamento ed i requisiti per accedervi, vi sono comunque due nuove caratteristiche:

− una maggior copertura geografica: per fornire una miglior prestazione a livello ambientale nel sistema di trasporti dell’UE, le opzioni intermodali e le alternative al trasporto su strada devono essere prese in considerazione anche all’esterno della UE;

− nuovi tipi di azioni: il prossimo programma Marco Polo deve conseguire una riduzione complessiva del trasporto internazionale di merci su strada basandosi sullo sviluppo delle autostrade del mare e su azioni intese ad evitare il traffico su gomma.

Il Marco Polo fissa inoltre obiettivi quantificati e verificabili di trasferimento modale. Nello specifico si tratta di mantenere inalterata, magari a distanza di due anni, la ripartizione del traffico tra i vari modi di trasporto. Il programma Marco Polo contribuisce al finanziamento di tre tipi di progetto:

− trasferimenti di una parte del traffico stradale ad altri modi di trasporto, mediante aiuti per la fase di avviamento di nuovi servizi di trasporto merci non stradale. La creazione di tali nuovi servizi è sempre rischiosa perchè, per essere redditizi, i servizi di linea marittimi, ferroviari e fluviali devono sfruttare la propria capacità di carico in misura non inferiore al 70/90%.

I costi per la creazione di nuovi servizi possono essere finanziati fino alla concorrenza del 30% − azioni catalizzatrici per progetti innovativi volti a compensare insufficienze strutturali dei mercati; l’obiettivo di tali azioni è migliorare le sinergie nei settori di trasporto ferroviario, della navigazione interna e del trasporto marittimo a corto raggio, comprese le autostrade del mare , sfruttando meglio le infrastrutture esistenti;  − azioni comuni di apprendimento. L ‘obiettivo è di consolidare la cooperazione e lo scambio del know-how fra gli operatori del mercato della logistica e del trasporto merci, al fine di migliorare le prestazioni ambientali del settore − le autostrade del mare : servizi di trasporto marittimo alternativi alla viabilità ordinaria su strada;  − azioni di riduzione del traffico: si tratta di azioni innovative che hanno inizio già nella fase di progettazione e produzione. Si pensi alla dislocazione nel territorio dei punti di produzione dei differenti componenti di una macchina ed alla logistica necessaria per farli giungere agli stabilimenti che li assemblano;  − creazione o al modifica delle infrastrutture ausiliarie, necessarie e sufficienti per la realizzazione dei progetti.

I candidati all’ottenimento di questi contributi devono presentarsi sotto forma di consorzio, composto da almeno due imprese, stabilite in almeno due Stati membri, o in almeno uno Stato membro ed in un paese terzo vicino. Il contributo finanziario della Comunità è fondato sul numero di tonnellate per chilometro trasferite dalla strada verso gli altri modi di trasporto marittimo o terrestri o sul numero di veicoli per chilometro trasferiti dalla strada. Particolare attenzione viene prestata ai progetti che hanno l’obiettivo di alleviare la congestione della rete stradale, ma anche dei vantaggi che gli stessi offrono per la salvaguardia dell’ambiente.

La logistica

Viene definita come l’insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell’azienda i flussi dei materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori, fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti ed al servizio post-vendita.

La logistica del trasporto merci riguarda la pianificazione, l’organizzazione, la gestione, il controllo e l’esecuzione di operazioni di trasporto merci nella catena dell’approvvigionamento. La Commissione raccomanda di modernizzare la logistica per migliorare l’efficienza dei vari modi di trasporto e delle relative combinazioni. Essa auspica in particolare una migliore ripartizione del traffico a favore dei modi di trasporto più rispettosi dell’ambiente, più sicuri e più efficienti dal punto di vista energetico. E’ stata inoltre sottolineata la necessità di instaurare un equilibrio fra l’esigenza di sicurezza e la fluidità dei trasporti; al tal fine è necessario integrare la logistica nella politica dei trasporti che ne è condizionata in modo trasversale.

Fra le azioni che si possono intraprendere vale pena indicare: − l’identificazione delle strozzature, non solo fisiche, ma dovute anche al mancato utilizzo di moderni sistemi di lavoro, scarsa comunicazione, armonizzazione ed informatizzazione ; − l’associazione alla logistica di sistemi come Galileo per il rilevamento e la localizzazione delle merci;  − la promozione della formazione di specialisti nella logistica tramite forme di certificazione; − la coordinazione ed unificazione delle procedure doganali nei vari Stati;  − la promozione di una regolamentazione della multimodalità a livello mondiale; – la responsabilità nel settore del trasporto internazionale è infatti regolamentata da una serie di convenzioni, che spesso prevedono regole diverse in funzione dei modi di trasporto, creando ulteriori ostacoli;  − la creazione di norme di carico europee: le norme applicabili alle dimensioni dei veicoli e delle unità di carico dovrebbero rispondere alle esigenze della logistica moderna e della mobilità sostenibile.

Le politiche della EU per l’immediato futuro

Per favorire ulteriormente lo sviluppo dei servizi intermodali sarà necessario:

− lo sviluppo delle infrastrutture portuali e dei collegamenti con le zone interne

− l’integrazione di corridoi per il trasporto merci per ferrovia interamente interoperabili, nonché corridoi verdi (reti di trasporto sostenibili rispettando requisiti in materia di tutela ambientale e di pianificazione tecnica, economica, sociale e territoriale)

− l’eliminazione delle strozzature lungo le grandi linee di trasporto

− i collegamenti intermodali (porti ed autoporti collegati alla rete ferroviaria)

− il collegamento tra gli assi transnazionali e interurbani e le zone urbane.

− l’applicazione dei “sistemi di trasporto intelligente” (vale a dire quei sistemi che utilizzano le tecnologie informatiche e dell’informazione al fine di ridurre l’impatto del trasporto sull’ambiente e sulla salute umana) a tutti i modi di trasporto

− la creazione di sistemi di trasporto urbano sostenibile: a questo fine, é stato lanciato l’invito a presentare progetti tramite il Programma “Civitas Move – Sustainable Surface Transport”, che è parte del Settimo Programma Quadro.

L’Unione ha sviluppato una politica dei trasporti come parte integrante della creazione di un mercato unico. Uno dei principali obiettivi perseguiti è l’inter-modalità dei trasporti, la quale permette il trasporto di una merce attraverso diversi mezzi e vie di comunicazione; la creazione di reti transeuropee (fra cui il Corridoio 5) costituisce la realizzazione più concreta dell’intermodalità. Uno dei requisiti indispensabili al fine di raggiungere questo obiettivo è quello di rendere compatibili le diverse infrastrutture presenti negli Stati membri; questo è uno degli scopi perseguiti dal Programma Marco Polo, il quale si prefigge altresì la riduzione del traffico su strada, tramite lo spostamento di una parte di traffico stradale ad altri mezzi. Ulteriore condizione per l’intermodalità è la standardizzazione dei container, in merito alla quale esistono proposte di armonizzazione normativa in seno all’Unione. Ulteriore settore di intervento dell’Unione è costituito dalla logistica dei trasporti, della quale é necessario migliorare la sostenibilità e l’utilizzo razionale delle risorse.

Pertanto La definizione degli scenari territoriali, degli schemi di esercizio e delle opzioni di tracciato rappresenta un passaggio fondamentale per poter sviluppare una valutazione economica ed ambientale di livello adeguato alla complessità ed alla portata delle ipotesi progettuali sottese all’eventuale realizzazione della nuova linea Torino-Lione. A tale proposito, è opportuno ribadire che l’identificazione delle macro-alternative progettuali ha l’unico scopo di sostenere il processo di valutazione comparata delle diverse opzioni in campo, ivi inclusa l’opzione “zero”. Pertanto, essa non può essere fatta corrispondere in alcun modo all’accettazione preventiva di una qualunque soluzione progettuale specifica, rispetto alla quale ci si riserva comunque di pronunciarsi alla luce degli esiti della valutazione stessa. Dal punto di vista metotologico, le operazioni che si rendono ora necessarie per procedere alla valutazione sono essenzialmente le seguenti:  .l’approfondimento delle singole opzioni di tracciato a livello di fattibilità od almeno prefattibilità, con indicazione delle soluzioni progettuali adottate per i nodi e le interconnessioni, nonché dell’esatta articolazione degli interventi per lotti funzionali e fasi attuative; .l’identificazione e la comparazione degli impatti ambientali, da effettuarsi attraverso una metodologia multicriteri; . la valutazione tecnico-economica dei costi e dei benefici sia interni che esterni, associati alle diverse opzioni di intervento.

Tali operazioni dovranno essere condotte in un quadro di unitarietà progettuale, con riferimento sia alla tratta comune che a quella nazionale, sotto la regia dell’Osservatorio.

Gli approfondimenti progettuali

Per quanto concerne innanzi tutto gli approfondimenti progettuali, tenendo conto anche del livello di dettaglio raggiunto dall’identificazione delle opzioni di tracciato negli altri ambiti territoriali, occorrerà predisporre opportune elaborazioni, a livello di fattibilità o prefattibilità, che definiscano nel dettaglio:  .l’andamento planimetrico della linea;  .il suo profilo altimetrico;  .le differenti tipologie progettuali; . l’organizzazione di massima dei nodi e delle interconnessioni con la linea storica;  .i principali aspetti impiantistici (trazione elettrica, dispositivi di sicurezza, ecc…).

Tali approfondimenti richiederanno presumibilmente un preventivo approfondimento circa gli standard progettuali da adottarsi, vista l’esistenza in merito di differenti possibilità alternative, e lo scarso livello di definizione contenuto nella versione finale delle specifiche progettuali adottate dall’Osservatorio nel mese di febbraio 2008. L’approfondimento progettuali delle diverse opzioni dovrà, da un lato, verificarne le condizioni di fattibilità sotto il profilo tecnico, anche con riferimento alla realizzazione per fasi successive e, dall’altro, costituire la base per una stima parametrica dei costi di costruzione e di manutenzione delle diverse tratte che verranno a costituire la rete futura (linea nuova + linea storica).

La valutazione ambientale

Le valutazioni ambientali dovrebbero essere riferite ad un quadro territoriale ex ante preventivamente definito, a seguito dei lavori del gruppo di lavoro “dati ambientali”, ma tuttora non formalizzato in un documento riepilogativo, atto a rappresentare lo stato dell’ambiente e le corrispondenti criticità in essere. L’identificazione degli impatti associati alle diverse alternative progettuali dovrà tenere conto di tutte le principali categorie identificate dalla vigente normativa regionale, nazionale ed europea in tema di VIA e di VAS.

Per quanto concerne specificamente il territorio della Bassa Valle di Susa, occorrerà inoltre provvedere ad un esame degli impatti cumulati dell’insieme delle infrastrutture presenti, in modo tale da tener conto anche della “capacità di carico” ambientale dei diversi contesti locali. A tal fine, si ritiene che la valutazione debba assumere criteri di compatibilità particolarmente rigorosi, assumendo in particolare che l’insieme degli interventi previsti debba generare, sul territorio in esame, un miglioramento ambientale netto. In altri termini, ciò significa richiedere che gli impatti locali della nuova linea non possano essere compensati:  né da benefici ambientali esterni alla Valle di Susa;  né da benefici interni alla valle, di tipo non ambientale. Tale indicazione, resa necessaria dalle problematiche di equità nella distribuzione degli impatti, proprie dei grandi “corridoi” di transito alpino, richiede evidentemente che l’identificazione e la successiva valutazione degli impatti ambientali venga condotta con riferimento all’articolazione delle tratte e degli ambiti territoriali, in modo da rendere evidente l’esistenza di eventuali compensazioni interne ad ogni singola categoria d’impatto.

La valutazione economica

Alla comparazione ambientale dovrà poi accompagnarsi una valutazione di carattere tecnico-economico, che tenga conto dell’insieme dei costi e dei benefici, interni ed esterni, indotti dalle diverse opzioni progettuali (ivi compresa l’opzione “zero”). Tale valutazione dovrà essere condotta facendo riferimento a parametri generali predefiniti e validati da organismi terzi (si segnala in particolare l’opportunità di fare riferimento alle linee-guida proposte dalla Banca Europea degli Investimenti), approfondendo in particolare il tema, invero controverso, della stima dei benefici derivanti dal trasferimento modale. Ovviamente, lo scopo della valutazione è quello di identificare l’opzione progettuale che presenta il miglior Valore Attualizzato NettoEconomico, determinato in base del flusso di costi e di benefici previsto, sotto il vincolo che tale valore sia positivo e superiore a quello corrispondente all’opzione “zero”. Coerentemente con le linee-guida sviluppate dalla BEI, la valutazione dovrebbe essere sviluppata facendo riferimento ad un insieme di punti di vista differenziati, a seconda degli stakeholders sociali coinvolti.

Inoltre, la forte ed inevitabile incertezza associata alle proiezioni di traffico rende opportuna una robusta analisi di sensitività dei risultati, tale da rendere evidenti i rischi economico-finanziari associati alle singole opzioni progettuali. Questo genere di approfondimento può avere importanti ripercussioni sulle decisioni di fasaggio, e dovrebbe tener conto anche della strategia di articolazione condizionata, proposta con lo studio FARE.

Prospettive progettuali e politiche gestionali

Nel complesso, il cammino per giungere alla definizione di un progetto preliminare unitario, che possa risultare solido sotto il profilo tecnico, economico ed ambientale, e condivisibile sotto il profilo politico e sociale, appare ancora piuttosto lungo ed articolato. Le modalità di funzionamento dell’Osservatorio, basate come noto sulla politica dei “piccoli passi”, hanno sinora consentito di confrontare tra loro diversi approcci al problema, pervenendo ad alcuni risultati di rilievo sul versante della potenzialità della linea storica, degli scenari di sviluppo dei traffici, delle criticità interne al nodo di Torino. L’ulteriore passaggio costituito dallo sviluppo del progetto preliminare unitario, sottoposto a valutazione economica ed ambientale, appare di grande valore, ma anche di notevole difficoltà, vista la rilevanza delle questioni tecniche che debbono essere affrontate. Va inoltre sottolineato che la prevedibile identificazione di fasi e lotti funzionali dovrebbe condurre, in prospettiva, alla redazione di progetti definitivi/esecutivi separati fra loro, riferiti a singole tratte della linea. Nel contempo, è necessario ricordare che esso rappresenta una parte soltanto del compito identificato dal documento di Pra Catinat, secondo il quale la realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto non può essere scissa dalle predisposizione e dall’implementazione di una cornice politica coerente ed efficace, che ne sostenga lo sviluppo in un contesto di monitoraggio continuo dei risultati ottenuti. A questo proposito vale forse la pena di ricordare una riflessione, contenuta nel documento di Pra Catinat, che costituisce, all’interno di un panorama culturale storicamente appesantito da una persistente distorsione infrastrutturale, un punto assai avanzato del dibattito relativo alla realizzazione di grandi opere: L’Osservatorio ribadisce non solo l’indissolubile contestualità tra interventi trasportistici e interventi infrastrutturali, ma ritiene che debba essere prestata una “cura progettuale” alle misure da attuare nel breve periodo per la valorizzazione dell’esistente e del suo uso che sia dello stesso livello e impegno di quella da dedicare ai nuovi interventi. Lo stato attuale di manutenzione e di utilizzo della rete ferroviaria storica italiana rende tale affermazione fondamentale ed ormai ineludibile, non soltanto per la Valle di Susa.

Il caso di Chivasso

Nella città di Chivasso, in provincia di Torino, un comitato di cittadini, raccolti nell’associazione “Identità comune”, chiede la costruzione di una fermata della linea ad Alta velocità dal suggestivo nome La Porta del Canavese. Praticamente in controtendenza con quanto segnalato da altri Sindaci e realtà delle valli interessate dal nuovo grande impianto. In tale modo i tempi di percorrenza per raggiungere le grandi città sarebbero di molto inferiori: quaranta minuti per Milano, due ore per Bologna e meno di 4 ore per Roma.

Non solo: ci sarebbe un recupero funzionale di tre linee storiche. In primo luogo la Chivasso–Ivrea–Aosta che, con l’istituzione del servizio ferroviario metropolitano di Torino, si è ritrovata spezzata in due tratte separate a causa della mancata elettrificazione da Ivrea ad Aosta, che ha impedito ai treni a trazione diesel di raggiungere le stazioni sotterranee del capoluogo subalpino. Un problema già segnalato a suo tempo (2007) dall’allora general manager RFI Moretti, all’interno di un pamphlet durissimo indirizzato al Presidente del Consiglio di allora e ai Ministri competenti. In esso si ribadiva per l’ennesima volta la necessità di svecchiare tutto il sistema ferroviario italiano a partire dalle linee a media-corta percorrenza, prevedendo raddoppi e velocizzazioni in ben 18 snodi strategici. Fu Moretti a segnalare l’assurdo delle tre ore per giungere a Nizza in Francia da Savona su una linea ad un solo binario e a sottolineare la gravità della situazione al sud con tempi di percorrenza di cinque .- sei ore per collegare centri alle estremità di Puglia o Sicilia. Fece scrivere ciò in un libro bianco diventato famoso che (testuale) invitava “tutti gli attori del processo di rinnovamento collegato alle nuove linee ad Alta Velocità ad utilizzare i fondi per migliorare la percorrenza ferroviaria accessoria, per superare storici ostacoli, evitando per quanto possibile di destinare i fondi di “incentivazione” ad opere che poco hanno a che fare con il sistema ferroviario”.

Tornando a noi, le altre due linee storiche con capolinea Chivasso, la Chivasso–Asti e la Chivasso–Casale Monferrato, sono messe anche peggio della precedente citata sopra: la prima non viene più utilizzata per il servizio passeggeri, mentre la seconda è chiusa nei festivi. Secondo i propugnatori della nuova stazione, si legge nel sito Portadelcanavese.it “«così si ottengono quattro risultati»:
1) Sostenere il turismo in Valle d’Aosta;
2) Rendere utilizzabile il treno per 300mila turisti che ogni anno vanno in Valle d’Aosta da Milano e oltre;
3) Incrementare i viaggiatori sulla Chivasso–Aosta;
4) Rendere strategica la tratta impedendone la chiusura e anzi favorendo gli investimenti per elettrificazione e raddoppio.

Secondo il comitato, la stazione Porta Canavese–Monferrato è l’occasione perché queste linee storiche diventino canali per accrescere viaggiatori sulla linea ad Alta Velocità. “

Sempre lo stesso Comitato fa appello alla logica conseguenza che un numero maggiore di utenze “sulle piccole percorrenze” andrebbe comunque ad aumentare il numero di passeggeri sulle lunghe tratte, specie quelle ad Alta Velocità. Se ci fosse poi un piano di facilitazione, così come dovrebbe esserci per incentivare il passaggio del traffico merci da gomma (TIR) a rotaia (con container standard e pianali), si potrebbero avere ricadute positive pr un’area economica attualmente in difficoltà, quella dell’area nord Torino. Senza dimenticare uno sviluppo turistico di una zona famosa per i suoi castelli, le sue ville e le sue chiese romanico–gotiche.

I costi non dovrebbero essere proibitivi e, per avere un’idea, potrebbero essere paragonati a quelli della Gare de Meuse parigina o ad altre tedesche. Troppa spesa per un tempo di crisi? Non esattamente: le regioni Piemonte e Valle d’Aosta hanno già stanziato 27 milioni di euro per migliorare i collegamenti ferroviari tra i due territori. E comunque, sarebbero molto meno dei 100 milioni previsti per elettrificare la linea aostana o dei 79 spesi per la stazione Mediopadana di Reggio Emilia. L’attuale Direzione Generale delle Ferrovie obietta che è già prevista l’apertura di una nuova stazione AV a Novara, collegata all’ importante scalo merci, voluto dalla Giunta Cota e – sotto sotto – passato senza difficoltà attraverso diverse autorità amministrative di centro-sinistra. Fattore non positivo, perché non si è ancora ben definito – in modo logico ed equilibrato – quale peso debbano avere i vari centri logistici dell’hinterland torinese, quello di Cuneo, il grande centro logistico Itinera di Rivalta Scrivia e, strettamente collegati, gli snodi ferroviari / commerciali di Novi, di Cairo M.te, di Alessandria, di Savigliano e della stessa Torino.  Una stazione nel chivassese diminuirebbe la pressione sulle grandi percorrenze per Porta Susa e Porta Nuova, ridimensionerebbe – sua sponte – l’eventuale megastazione di Susa e permetterebbe un maggiore riequilibrio dell’insieme. Una operazione in parallelo a quella che si sarebbe dovuta fare per il “Terzo Valico” Genova-Milano, se fossero stati rispettati i tempi e se non si fossero frapposte centinaia di obiezioni/ostruzioni (quelle a carattere ambientalista, paradossalmente, meno rilevanti, visto che dal 2017  il “general contractor COCIV” è commissariato e “coperto” dall’autorità ministeriale a causa di gravi fatti di criminalità organizzata.). Genova è giusto che abbia una sua linea veloce in entrata e in uscita, con il minor impatto possibile, arrivando fino a Voghera (con una proposta di stazione simile a quella chivassese) per poi inserirsi nella più ampia rete ad Alta Velocità a Piacenza (verso Bologna, Firenze, Roma ecc.). Ancora una volta un appello alla comunicazione corretta, a far conoscere le cose, a non permettere che vengano distorte le buone come le cattive idee, specie se all’interno di un panorama, fondamentale, …quello europeo.

(1) – Trascrizione della Relazione fatta in data 20 maggio 2019 presso l’Hotel Ritz di Chivasso (TO): “Per tornare a vincere; il centro-sinistra di fronte ad un bivio”, nel quadro delle attività di promozion elettorale di Area Civica (Pizzarotti) e + Europa (Bonino e Bertoncino)

(2) – https://www.cittafutura.al.it/sito/sulle-cause-economiche-dei-populismi/ (un bell’articolo del prof. Bruno Soro , che prende le mosse proprio da una confernza del prof. Lazar. )

(3) – https://www.agi.it/saperetutto/tav_torino_lione_costi_effetti-4451507/longform/2018-10-12/

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