Le Resistenze

Si sta affievolendo sempre più il ricordo della Resistenza 1943-45, quando la parte migliore del popolo italiano si sollevò contro i nazifascisti per riscattare la storia di un paese che si era sottoposto a venti anni di regime fascista ed ad un’alleanza con il nazismo, il cui intento chiarissimo era quello di conquistare l’Europa, eliminare tutte le minoranze non volute (Ebrei, Slavi, menomati fisici e psichici), cioè tutti quelli che potevano minare la supposta “superiorità razziale ariana”.

Io, che sono nato dopo la guerra, non posso fare a meno di immaginare questi giovani ventenni o poco più che si lasciano alle spalle le città per improvvisare in montagna una lotta di lunga durata contro un nemico perfettamente organizzato.
Mentre questa guerriglia contro i Tedeschi assumeva un valore di resistenza patriottica, quella contro i fascisti era né più né meno che una guerra civile, anche se questa definizione, così cruda, doveva apparire sulla stampa e nei libri molti anni più tardi.
Secondo molti appartenenti alla mia generazione, c’è stata però un’altra Resistenza, precisamente quella contro le istituzioni che avevano portato il paese, dopo anni di sviluppo disordinato, ma dinamico, ad una situazione in cui le istituzioni erano superate dalla realtà delle richieste popolari, almeno quelle più consce.
Alludo chiaramente al ’68, al ’69, a quegli anni di lotte contro il sistema, che dovevano portare il paese ad una serie di conquiste sociali importanti quali lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, quella sull’aborto e varie altre iniziative che portavano il Sociale al centro della vita pubblica.
Certo, il ’68 in Italia fu quasi una manifestazione leninista, nel senso che un gruppo di studenti poneva ai politici di allora dei quesiti ai quali questi non sapevano né potevano rispondere, per cui gli studenti accesero, pur nelle loro diversità, una miccia che sarebbe poi scoppiata nell’autunno del 1969, rendendo consci gli operai di tutti i loro diritti e di quanto essi avessero contribuito al gigantesco boom economico che aveva trasformato il paese in circa venti anni.
Lo Statuto dei lavoratori del Maggio 1970 doveva stabilire le regole di base nel rapporto fra lavoro e padronato e poneva finalmente l’accento su diritti e doveri di entrambi.
Negli anni ’70 una serie impressionante di conquiste sociali sospinte in modo vigoroso da quei Radicali che si ponevano paradossalmente contro e pro il sistema, cercando di affinarne le posizioni libertarie.
Molti possono obiettare che gli anni ’70 non sono stati soltanto un periodo di progresso civile, ma anche gli “anni di piombo”, e questo è assolutamente vero: una parte della Sinistra è sfuggita a un dialogo rigorosamente marxista e si è imbarcata in una campagna avventurosa, in cui pochi, pochissimi si arrogavano il diritto di decidere per tutti.
Ma ciò non è successo soltanto agli eredi di movimenti quali Potere operaio o Lotta continua, bensì anche a Destra, dove le ombre nere del fascismo si univano a poteri occulti, mai scomparsi durante l’epoca repubblicana, e, infine, in modo non sorprendente, ai servizi segreti, che hanno giocato un ruolo dirompente nei confronti della Repubblica che li pagava.
Però, l’ombra lunga del boom economico si estese fino al fatale 1978, quando il progetto di una nuova società, che vedeva comunisti e cattolici creare una “Alleanza per il progresso”, fu interrotto dall’assassinio di Moro e più tardi dalla morte di Berlinguer, le due menti del progetto.
Poi, negli anni ’80, finito definitivamente il boom economico, cominciò il ristagno e l’avvento degli “avventurieri” della politica, primo dei quali indubbiamente Craxi, per il quale non era importante il tema politico e il fine dello stesso, bensì la leadership, cioè il potere per il potere.
Di questi personaggi, nipotini di Craxi, ce ne sono stati vari, a partire da Berlusconi, e anche oggi riappaiono sulla scena dicendo tutto e il contrario di tutto, affermando le tesi che sono a loro più convenienti, senza che vi sia una trama e un filo ideale da seguire.
Infatti, quello che conta è l’oggi, l’effimero, è possibile cambiare opinione in cinque minuti, senza che sotto quello che si afferma ci sia un fil rouge, quello della consistenza ideologica.
Vediamo alcuni leader di oggi: Salvini rinnega le sue origini leghiste, il cui fondamento era l’autonomia del Nord; Meloni mastica e rimastica vecchie concezioni nazionaliste sull’intoccabilità dei confini, che risalgono alla Prima Guerra Mondiale; Berlusconi continua a proporre indefessamente da venticinque anni lo stesso personaggio.
Ma a Sinistra le cose non vanno meglio, anche perché una Vera Sinistra non esiste, ci sono i fantasmi di essa.
Che dire?
L’Italia è un paese in declino, ci sarebbe bisogno di una virata sostanziale, non di facciata, appaiono movimenti e personaggi che conclamano soluzioni improvvisate, ma non hanno l’ampio respiro di chi ha meditato lungamente sul mondo che lo circonda.
Agli urlatori, agli agitatori di piazza dovrebbero sostituirsi meditatori, coloro in grado di giustificare sapientemente ciò che dicono e saperlo spiegare.
Una figura come Socrate non sarebbe sgradita…
Giorgio Penzo

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