Le società scientifiche contestano l’emendamento che libera la caccia in città e aree protette* 

L’emendamento alla Legge di Bilancio 2023 che consentirà un’attività di controllo affidata ai cacciatori selezionati attraverso corsi di non chiari “organi competenti di livello regionale” anche in aree protette e aree urbane, senza limiti temporali e senza distinzione di specie, rappresenta un errore gestionale che non produrrà alcun reale vantaggio rispetto all’obiettivo prefissato. Purtroppo per l’ennesima volta la politica legifera sulla gestione faunistica senza essersi confrontata con esperti, ricercatori e tecnici. La genericità del testo dell’emendamento nel suo insieme, il fatto che enti amministrativi (regioni e province autonome) possano provvedere al “controllo delle specie di fauna selvatica” senza una valutazione di zoologi specialisti, il non considerare che vi possono essere necessità di tutelare la diversità animale anche in ambienti urbani, insieme all’assenza totale di argomentazione sul controllo delle specie aliene alla nostra fauna, sono elementi che rendono il provvedimento in questione inaccettabile. Far effettuare abbattimenti all’interno di aree urbane non limiterà certo il numero complessivo di una specie come il cinghiale, mentre al contempo esporrà i cittadini a rischi gravissimi. Peraltro, tutti gli esperti naturalisti, ecologici e agronomi sanno che *la presenza dei cinghiali in città è in gran parte legata alla cattiva gestione dei rifiuti e del sistema del verde urbano*, troppo spesso trascurato da “servizi giardini” comunali in corso di progressiva dismissione. Disarmante che si proponga un intervento di questo tipo riducendo nello stesso provvedimento il ruolo dell’ISPRA e ignorando del tutto CNR, sistema universitario, società scientifiche e accademie che invece dovrebbero veder aumentare le proprie competenze considerato che si sta trattando di una materia che richiede conoscenze molto approfondite. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e allo Stato va affidato il suo controllo che può anche prevedere l’esercizio di un’attività ludica come la caccia, ma che certamente non può limitarsi a questa, considerato che spesso l’interesse dei cacciatori contrasta con l’interesse alla corretta gestione di specie e habitat. In questo senso è poi assurdo prevedere generalizzate attività di abbattimenti faunistici nelle aree protette che hanno un ruolo, oltre che di conservazione e ricerca, anche di promozione territoriale e valorizzazione turistica. Le scriventi Associazioni scientifiche rivolgono quindi un appello alla ragionevolezza di Parlamento e Governo affinché stralcino dalla Legge di Bilancio questa norma sbagliata e di difficile, se non impossibile, applicazione e avviino un confronto serio con il mondo della ricerca per individuare le modalità scientificamente valide per affrontare una problematica complessa che non può essere risolta con l’approssimazione fin qui manifestata.
Carlo Blasi, presidente Fondazione per la Flora Italiana e Direttore scientifico CIRBISES
Giuseppe Bogliani, presidente Centro Italiano Studi Ornitologici
Marco Bologna, presidente Comitato Scientifico per la Fauna d’Italia e della Società Entomologica Italiana
Elisa Anna Fano, presidente della Federazione Italiana di Scienze della Natura e dell’Ambiente e della Società Italiana di Ecologia
Francesco Ficetola, presidente Societas Herpetologica Italica
Cristina Giacoma, presidente Unione Zoologica Italiana
Massimo Lorenzoni, presidente Associazione Italiana Ittiologi Acque Dolci
Barbara Manachini, presidente Società Italiana Nematologia
Michela Pacifici, presidente Society for Conservation Biology Italy Chapter
 Antonella Penna, presidente Società Italiana di Biologia Marina
 Lorenzo Peruzzi, presidente Società Italiana di Biogeografia
 Marco Valle, presidente Società Italiana di Scienze Naturali
 Christian Agrillo, presidente Società Italiana di Etologia

1 Commento

  1. Non voglio difendere questo emendamento che libera la caccia nelle città ed aree protette perché non sono elettore di questo governo, ma non si può più sopportare che le società scientifiche, elencate a fondo dell’articolo, escano allo scoperto solo in queste situazioni di emergenza.
    Il problema dei cinghiali e caprioli nella nostra provincia è lungo di 30 anni.
    Dov’erano le comunità scientifiche quando i cinghiali uscivano dai boschi(loro habitat naturale) per riprodursi a dismisura nelle aree agricole coltivate?
    Dov’erano quando con la trasformazione delle lavorazioni agricole si spopolavano i territori limitrofi ai boschi venendo quindi a mancare gli unici soggetti che controllavano questi animali?
    Dov’erano quando al pericolo della presenza di questi animali su strade e autostrade i responsabili della viabilità si sollevavano da ogni responsabilità con un semplice segnale di pericolo(triangolo con capriolo che salta) come se le strade della nostra provincia fossero vie di comunicazione adiacenti a parchi naturali?
    Dov’erano quando in pandemia i più grandi ricercatori mettevano in guardia il crearsi di contatto stretto fra fauna selvatica e uomo per evitare il salto di specie dei virus?
    Non voglio dilungarmi perché sto scrivendo un semplice commento,ma voglio chiedere alle società scientifiche che si firmano: Quali sono le soluzioni che indicano per risolvere immediatamente il problema?
    Se hanno delle soluzioni devono anche adoperarsi perché la stampa le diffonda altrimenti il problema prende solo una piega politica.

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