L’etica ai tempi del virus

“Occorre destinare una parte del nostro insegnamento scolastico a far capire quanto siano insicuri i grandi valori del mondo, e quanto sia compito di ogni nuova generazione garantirli ed essere pronti a sacrificare per essi la propria vita. Niente è sicuro! Non si può assolutamente dire che la pace sia assicurata. Non lo sarà mai. La democrazia stessa non sarà mai al sicuro. Si può fare molto per renderla più sicura. Nel momento stesso in cui crediamo che sia al sicuro, essa è perduta.”

Kalrl Popper, Tecnologia ed etica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013

Se non si trattasse di una cosa seria, il dibattito apertosi in questi giorni tra gli scienziati, i filosofi, i costituzionalisti e persino tra gli economisti (posto che, per quanto mi riguarda, gli appartenenti a queste tre ultime categorie sono “scienziati” delle cosiddette “Scienze Sociali”), dominato dall’ansia del coronavirus verrebbe da sintetizzare quel dibattito parafrasando il titolo del famoso romanzo di Gabriel Marcìa Màrques: “l’etica ai tempi del virus”. Giorni tristi, verrebbe da pensare, nei quali la competenza degli scienziati viene trattata (e quindi percepita) al pari dell’incompetenza della classe politica (e non mi riferisco solo a quella italiana).

Non sorprende che qualcuno si stupisca del fatto che gli scienziati assumono – talvolta, per non dire spesso (come accade anche nel caso del coronavirus) -, posizioni differenti, se non divergenti, dal momento che ciò deriva dall’ignorare che il metodo scientifico, prima ancora che su teorie, modelli e narrazioni, si basa su “paradigmi”, ovvero su visioni di fondo che gli scienziati assumono nell’affrontare i loro problemi. Per restare al campo delle cose di cui mi occupo, qualora non fosse stato rinviato, avrei dovuto partecipare ad un dibattito, organizzato dall’ISRAL di Alessandria, nell’ambito della rassegna “La crisi dei modelli del Novecento”, su “Von Hayek e il liberismo. Influenze e risvolti sulle politiche economiche in Italia e nel mondo” nel quale mi riservavo di sottolineare come “lo scontro che ha definito l’economia moderna” tra Keynes e Hayek, diversamente da quanto sostenuto in un libro recente su questo argomento, non sia stato vinto né dall’uno, né dall’altro dei due contendenti, trattandosi piuttosto della contrapposizione tra due diversi paradigmi: quello di Keynes incentrato sul funzionamento di una economia monetaria di produzione (in un moderno sistema economico industriale) e quello incentrato sul meccanismo mediante il quale, attraverso il confronto tra la domanda e l’offerta, il mercato perviene alla determinazione del sistema dei prezzi. In pratica si tratta di due distinti paradigmi che sono alla base, rispettivamente, dell’approccio microeconomico di Hayek, tipico del neoliberismo, che assegna al “mercato”, attraverso un processo di aggiustamento “spontaneo”, il compito di assicurare l’equilibrio di piena occupazione, e quello macroeconomico di Keynes, il cui intento era invece quello di spiegare le ragioni per le quali nell’economia che produce beni e servizi, la “cronica carenza di domanda effettiva” fosse la causa della “disoccupazione involontaria”. Due “problemi” differenti ai quali ciascuno dei due contendenti proponeva la sua “soluzione”.

Basti pensare che, persino il più autorevole dei filosofi della scienza, Thomas Kuhn, a conclusione del suo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, dopo avere sottolineato che “Normalmente, i membri di una corporazione scientifica matura operano sulla base di un unico paradigma o di un insieme di paradigmi strettamente collegati tra di loro” (p. 195), si pone il seguente interrogativo: “… poiché non succede mai che due paradigmi lascino irrisolti proprio gli stessi problemi, le discussioni sui paradigmi implicano sempre la questione: quali problemi è più importante risolvere?” Va da sé che nell’affrontare l’epidemia del coronavirus, dal momento che in ballo vi è la vita delle persone, l’interrogativo di Kuhn riconduce il problema alla sua essenza, vale a dire, al dilemma dell’etica: “viene prima la legge oppure i valori?”. In estrema sintesi, era questo l’oggetto dell’interessantissima conferenza, tenuta ad Alessandria nella settimana che ha preceduto l’esplosione dell’epidemia del coronavirus dal filosofo Massimo Cacciari e dal costituzionalista Renato Balduzzi sul “Rapporto tra giustizia e norme”.[1]

La teoria sulla “immunità di gregge” (ossia l’ipotesi che il coronavirus appartenga alle malattie immunizzanti come il morbillo) alla quale ha fatto riferimento il Premier britannico Boris Johnson, su suggerimento di qualche “consulente virologo” prima ancora che sia stata dimostrata l’appartenenza di questo virus a questo tipo di “malattie immunizzanti” , è, a mio avviso, una forma di “azzardo morale”, nella misura in cui si dà per scontato che al fine di perseguire gli interessi della parte restante (in vita) della popolazione, che una volta guarita dal virus diverrebbe protetta dalla (presunta) “immunità di gregge”, si tende a sacrificare la componente “più debole” della popolazione lasciando che questa si immoli a vantaggio di quella più “forte”.

Questa la mia convinzione “da economista”, che si aggiunge a quella del costituzionalista ed ex-Ministro della Sanità Renato Balduzzi, il quale si è espresso nei giorni scorsi, sia in merito ad un inquietante documento degli anestesisti-rianimatori sul “quotidianosanità.it”[2], affermando, testualmente, che “dal punto di vista costituzionale è impensabile un razionamento a priori delle prestazioni a tutela della salute, a fortiori di quelle salvavita”, sia dalle colonne del quotidiano Avvenire in merito al fatto che “Le democrazie come la nostra hanno forza e strumenti per fronteggiare le emergenze”.[3] Il filosofo Massimo Cacciari, invece, si è espresso con un ironico intervento su L’Espresso, in edicola con Repubblica di domenica scorsa, nel quale, immaginando la celebrazione del 10 marzo 2040 di un presunto anniversario del 10 marzo 2020, interviene con una inusitata difesa delle misure adottate dal Governo ipotizzando che venti anni prima “Il Governo non si limitò all’imperativo «Io sto a casa», ma disegnò volontà e progetti nuovi. Perché l’emergenza richiedeva un salto: convivere con la rivoluzione permanente del nostro tempo”. Tutto da leggere e…meditare.

di Bruno Soro

Alessandria, lunedì 16 marzo 2020

  1. Conferenza organizzata a Palazzo Monferrato giovedì 13 febbraio dall’Associazione Arcipelago, dal titolo significativo: “L’idea di giustizia in un ‘nuovo sistema di Diritto’ nel «villaggio globale». Diritto o lex mercatoria?
  2. Coronavirus. “Non siamo in guerra. Ci sono un Ssn e un sistema paese in grado di dare risposte adeguate”. Intervista a Renato Balduzzi sul documento degli anestesisti-rianimatori, dell’11 marzo 2020 su www.quotidanosanita.it.
  3. R. Baduzzi, “Solidarietà cardine costituzionale delle eccezionali misure anti-virus”, Avvenire, sabato 14 marzo 2020.

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