L’Europa deve ripensare le sue regole fiscali per combattere il populismo

In questi ultimi dieci anni abbiamo assistito a vere e proprie “capriole ideologiche”: alti dignitari di fede socialdemocratica – o almeno presunti tali – che plaudivano  al rigore del dettato tedesco, elogiavano e i contenuti del “pareggio di bilancio”, invaghiti da una fulminante ortodossia liberista; di contro, ortodosse voci liberali come il The Economist[1], o nel caso specifico il Financial Times, che criticavano ispirandosi a Keynes, per bocca di alcuni suoi prestigiosi commentatori, il dogmatismo europeo con il quale venivano ancora imposti vincoli d’ordine fiscale, istituiti in un tempo in cui l’intero sistema economico internazionale era proiettato in una fase di robusta crescita.  (si è voluta mantenere parte dell’introduzione originale alla traduzione in italiano del testo del dott . Munchau pubblicata su Il Ponte del 5 maggio 2019. n.d.r.)

(*) La campagna elettorale  – quasi un referendum –  affinché il Regno Unito rimanesse nell’UE venne persa per molte ragioni, nessun [tema] più importante fu quello di un generale fallimento nel comprendere le molteplici angosce degli elettori appartenenti al ceto medio-basso. Questa mancanza non è [da considerarsi] di esclusiva appartenenza al Regno Unito. Si tratta di un ampio fenomeno del capitalismo liberale a ciclo avanzato. La situazione nell’UE in vista delle elezioni parlamentari europee tra il 23 e il 26 maggio non è tanto bizzarra come lo fu nel Regno Unito tre anni fa.

L’insurrezione contro il liberalismo europeista procede a piccoli passi. Questa volta, i tradizionali partiti centristi in tutta Europa manterranno quasi certamente la maggioranza. Ma i nazionalisti guadagneranno molti deputati, sufficienti a ribaltare le decisioni importanti del prossimo Parlamento europeo. Quindi come si dovrebbe trattare con loro? La risposta è assai semplice ma difficile da adempiere: in che modo risolvere il problema.

Gli elettori che appoggiano la Lega di Matteo Salvini, il Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen o il partito della Brexit di Nigel Farage hanno in comune un livello di rabbia senza precedenti nel dopoguerra. La rabbia è una potente forza di mobilitazione. Nel Regno Unito e in Italia, la crescita del prodotto interno lordo ha mascherato la stagnazione della produttività e del reddito disponibile reale. Se si dividono i guadagni disponibili in base ai gruppi di reddito, si scopre che l’elettore mediano ne rappresenta il soggetto che ha pagato un maggior prezzo. Il ristagno dei redditi reali non è l’unica causa della Brexit.

Ci sono fattori non facilmente catturati dalle statistiche, ma sono visibili nelle comunità più povere dell’Inghilterra settentrionale e nelle zone deindustrializzate del nord Italia. In gran parte dell’Europa, l’austerità promossa dai governi è stata un fattore alla base delle lotte economiche degli elettori a basso reddito. Per far fronte a ciò, i paesi della zona euro dovrebbero rivedere la disciplina fiscale inserita nel trattato di Maastricht del 1992.

L’interazione tra questo e la politica dell’UE è altamente pro-ciclica. Quando Mario Monti ottenne l’incarico di primo ministro italiano nel 2011, spinse il deficit al di sotto del 3% del PIL richiesto, una soglia che non si è superata da allora. Di conseguenza, l’Italia è riuscita a sottrarsi dalla procedura per i disavanzi eccessivi dell’UE nel 2013, ma lo ha fatto a caro prezzo. Questa politica affondò i partiti principali del centro-destra e del centro-sinistra.

La Spagna e il Portogallo, al contrario, sono riusciti a evitare i peggiori eccessi dell’austerità. Entrambi i paesi sono ora gestiti dal centro-sinistra moderato. Pedro Sànchez ha ottenuto un buon risultato nelle recenti elezioni spagnole e il primo ministro portoghese António Costa sembra intenzionato a mantenere il suo posto di comando dopo le elezioni di ottobre.

Le elezioni del Parlamento europeo: una guida interattiva All’esterno, il centro politico tedesco sembra tenere. Il tasso di disoccupazione del paese è al livello più basso dal 1980. Ma una politica di forte consolidamento fiscale ha prodotto per la Germania grande surplus [nelle partite correnti] e una carenza d’investimenti nel settore pubblico. Ora c’è un dibattito sul futuro riguardo alla regola fiscale costituzionale che si è autoimposta, il cosiddetto freno all’indebitamento. Quando la Germania decise quasi 10 anni fa di limitare drasticamente i deficit fiscali, fui sorpreso che altri governi dell’eurozona non avessero protestato contro una regola che era destinata ad aumentare gli squilibri della zona euro.

Il problema è ora più ampiamente riconosciuto dagli economisti tedeschi, tra tutti gli altri. Ma sarà molto difficile, se non impossibile, cambiare la regola. Dieci anni fa, la grande coalizione che governava il paese facilmente mise insieme la maggioranza dei due terzi necessaria per passare il blocco del debito costituzionale. Da allora, la frattura del parlamento tedesco in molte parti renderebbe molto difficile riunire una maggioranza di due terzi per demolirla o cambiarla. I sondaggi mostrano che, se non altro, la frammentazione politica è aumentata rispetto alle elezioni del 2017.

Se le parti del centro politico vogliono affrontare le cause dell’estremismo politico, dovrebbero iniziare riconsiderando la politica fiscale come il primo dei vari passi [da intraprendere]. Dovranno anche prestare attenzione allo status economico e sociale degli elettori ordinari che si sentono sotto pressione dall’automazione e dall’immigrazione. In Italia, il percettore di reddito mediano già fatica. L’elettore tedesco con reddito mediano gode ancora di una rete di sicurezza e relativa stabilità, ma è vulnerabile ai cambiamenti nelle catene di approvvigionamento globali e agli shock tecnologici. Il sotto-investimento del settore pubblico ha aumentato la loro vulnerabilità.

All’inizio di questa settimana, il leader dell’ala giovanile del partito socialdemocratico tedesco [Kevin Kuehnert], il principale gruppo di centro-sinistra, ha chiesto la proprietà collettiva della BMW. Questo è un segno dei tempi: la Germania e la SPD non hanno avuto un dibattito sulla nazionalizzazione simile dagli anni ’50.

Se i nostri leader sono decisi a perdere la battaglia contro l’estremismo politico, ecco il modo migliore per farlo: attenersi sempre a tutte le regole; incolpare la Russia o Facebook per le elezioni che vanno in senso avversoe alla successiva  riunione a Bruxelles, opporsi a riforme che potrebbero far funzionare meglio la zona euro. Ma questo è esattamente quello che stanno facendo alcuni di loro.

(*) – Su indicazione del civis   (non cives, per favore, non siamo ancora al plurale a maiestatis) Pier Luigi Cavalchini, si presenta un bell’intervento del dott. Munchau economista tedesco con all’attivo diversi lavori “di peso” e numerosi articoli su FT, sul Mirror e decine di altri giornali e riviste. fra i più importanti:

  • La fine dell’economia sociale di mercato. Hanser, Monaco / Vienna 2006, ISBN 978-3-446-40559-2
  • Vorbeben. Cosa significa per noi la crisi finanziaria globale e come possiamo salvarci. Hanser, Munich 2008, ISBN 978-3-446-41390-0 ; edizione completamente rivista e aggiornata: Meltdown nel sistema finanziario. ibid., 2008, ISBN 978-3-446-41847-9
  • Gli anni di fusione. L’apertura della crisi economica globale. McGraw-Hill, 2009, ISBN 0071634789
  • strategie macro. Investire in sicurezza quando gli stati vanno in bancarotta. Hanser, Monaco di Baviera 2010, ISBN 978-3-446-42345-9
  • Adeguamento comune dell’ultima risorsa: la zona euro tra depressione e divisione. Dipartimento di politica economica e sociale della Fondazione Friedrich Ebert, Bonn 2010, ISBN 978-3-86872-388-5 ( PDF, 107 KB )

Il suo articolo ripropone le perplessità sulle scelte di fondo operate nel mondo finanziario e bancario internazionale che sono, a suo dire, una delle motivazioni delle difficoltà attuali. Anche questo un buon punto di partenza per avviare un confronto serio.

Note del testo originale:

https://www.ft.com/content/6b834848-6daf-11e9-a9a5-351eeaef6d84?emailId=5ccc695f69c104000477023c&segmentId=7d033110-c776-45bf-e9f2-7c3a03d2dd26&fbclid=IwAR0LNkjvWT33x4KMeSzTHbJjCPNFDdUozjBCdqGrQOdefbudnjzz_o2QYqs

[1] https://ilponte.home.blog/2019/04/13/the-economist-uk-alcune-considerazioni-sulla-crisi-del-liberalismo-e-come-rimediarla/

Titolo originale: “Europe must rethink fiscal rules to combat populism Tight spending policy and stagnant incomes have stoked political anger  – Wolfgang Münchau”  – MAY 5, 2019

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