In caso di vittoria di Haftar (data per certa e anche per imminente), per tutelare gli interessi italiani in Libia (idrocarburi e altro) si dovrà andare a Tripoli con il cappello in mano o chiedere la benevola intercessione di Mosca, Parigi o Il Cairo. Insomma una disfatta su tutta la linea!
“Tutto ciò è inaccettabile, immorale per una società libera e democratica. Si stanno devastando i bilanci degli Stati, contraendo debiti sopra debiti per finanziare guerre, nient’affatto umanitarie. Perché deve essere chiaro che queste “grandi potenze” fanno le guerre a debito ossia con i soldi prestati dalla Cina e dai risparmiatori nazionali e stranieri…
Inoltre, ribadisco che l’Italia partecipando alla guerra in Libia ha solo da perdere sul piano dell’immagine politica e su quello delle sue relazioni economiche e commerciali. Per certi aspetti, questa guerra è anche contro l’Italia. Ovviamente, il nostro discorso è prima tutto politico, umanitario; coerente con il pacifismo insito nell’articolo 11 della nostra Costituzione che non può essere oscurato da quel vergognoso codicillo introdotto per vanificarlo.
Oggi, anche i grandi giornali italiani che hanno incitato alla guerra scrivono, allarmati, di come si potrà spartire il “bottino” ossia il tesoro del popolo libico: i grandi giacimenti d’idrocarburi e a quanto si dice le cospicue riserve finanziarie, anche in oro, e in titoli azionari, ecc. Tutto sarà deciso a Parigi, su iniziativa di Sarkozy, il principale promotore del progetto “insurrezionale”, che vorrà fare la parte del leone, in accordo con gli altri due paesi della triade bellicista (GB e USA).”
Si può vincere la guerra, ma perdere il dopoguerra
“Non sappiamo che cosa sia stato promesso alle più alte Autorità italiane per indurle a far entrare il Paese in questa avventura, mettendo a disposizione navi, aerei e diverse basi italiane. A quanto si vede, gli “insorti” preferiscono trattare con la triade e trascurano il governo italiano. Se la tendenza dovesse essere confermata, si aprirebbero scenari molto problematici per l’Italia.
Il governo e il ceto politico italiano (di destra e di centrosinistra), stranamente unito in questa scelta improvvida, sapevano a quali conseguenze si andava incontro e avrebbero dovuto chiarirlo al Paese, al Parlamento. Non è stato fatto. Perciò, crescono le inquietudini nell’opinione pubblica. È tempo che i nostri responsabili rispondano ai tanti quesiti che la gente si pone e fra questi alcuni davvero pregnanti e prioritari:
- quale sarà il futuro dei nostri rifornimenti d’idrocarburi derivati dalla Libia (circa il 25% del fabbisogno totale italiano);
- quali squilibri si potranno determinare nella bilancia commerciale italo-libica, unica in equilibrio con un paese petrolifero;
- che fine faranno gli ambiziosi programmi d’investimento (in ricerca e produzione) di Eni e il ruolo stesso di questo colosso dell’energia (al 70% privatizzato) che fa ombra a molti all’estero e purtroppo anche in Italia.
- cosa ne sarà dell’accordo d’indennizzo e di cooperazione firmato da Berlusconi e Gheddafi con un costo per l’Italia di cinque miliardi di euro in 20 anni;
- come spiegano, infine, il rifiuto della Germania, paese membro della Nato e locomotiva dell’Unione Europea, di partecipare all’avventura libica.
Insensibilità o preveggenza della signora Merkel? Le risposte, probabilmente, non verranno poiché questi signori si sentono invincibili con… i deboli. Attenzione, però, perché si può vincere la guerra ma perdere il dopoguerra.”
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