Il libro di Bruno Soro: “Politica, economia e società”

Pubblichiamo due recensioni all'ultimo libro di Bruno Soro: "Politica, economia e società" scritte da Gianfilippo Casanova e Franco Contorbia

I 32 docenti universitari novesi e altre note locali dell’economista Bruno Soro

  di Gianfilippo Casanova

Fresco di stampa (uscito in queste settimane nella collana Saggi dell’editore Epoké), “Politica, economia e società “, è stato la mia lettura sotto l’albero, scelto tra i graditi libri che mi sono stati donati in queste festività. L’autore, Bruno Soro, il professor Bruno Soro, è un novese, almeno di adozione, laureatosi in Economia a Genova, seguace del professor Vittorio Sirotti. Dopo un soggiorno presso la London School of Economics and Political Sciences è tornato a Genova dove ha insegnato prima a Scienze Politiche e poi, dal 1999, come professore associato di Politica economica nei corsi di laurea in Giurisprudenza.

Il volume raccoglie “divagazioni e scritti vari” pubblicati su Panorama di Novi e su Città futura on line, relativi al periodo 2019-2023 e conferma l’acuta capacità di analisi, unita ad una sorprendente capacità divulgativa, di questo “economista dissenziente”, che è anche il titolo di una precedente raccolta di scritti anch’essa pubblicata da Epokè. I temi spaziano dall’Italia all’Europa fino all’economia internazionale, lo sguardo è disincantato, la critica è spietata, non molto spazio viene concesso all’ottimismo, nessuno alle letture e alle soluzioni semplicistiche di tanta politica e di tanti politici.

Ma ci sono due elementi, che da novese leggo come positivi e che mi piace richiamare in questa nota. Intanto l’inattesa citazione dello stuolo di 32 docenti universitari della generazione compresa tra il 1942 e il 1975, nati e vissuti a Novi e poi approdati agli atenei dei dintorni (Genova in primis, ma anche Pavia, Piacenza, Milano), non senza una puntata negli Stati Uniti.

È un numero sorprendente di giovani che, provenendo per lo più da famiglie di umili origini, seppero salire “sull’ascensore sociale”, che allora funzionava e oggi sembra essersi inceppato. E se nel nostro piccolo potessimo fare qualcosa per riattivare questo ascensore metaforico, potremmo a cuor leggero rinunciare ad altri meno condivisi e più materiali sistemi di risalita.
È un nucleo di giganti in varie discipline, purtroppo non tutti ancora in vita, sulle cui spalle varrebbe la pena di salire per rilanciare la città guardando avanti e in alto e non solo con lo sguardo rivolto alle buche nei marciapiedi e nelle strade (e qui sono in attesa delle consuete reazioni… ben venga, l’ideale sarebbe poter fare l’una e l’altra cosa, se però si deve sacrificarne una io non avrei molti dubbi).

L’altro elemento che Bruno Soro riprende più volte è il sistema di tre pilastri che lui individua alla base della crescita sua e dei suoi coetanei novesi: la famigliala scuola (e qui l’economista cita l’asilo don Bosco), l’associazionismo, specie quello di stampo cattolico, con un cameo dedicato ad un viceparroco dei suoi tempi, don Agostino Bernardotti della parrocchia di san Pietro. Senza rimpianti per tempi e stili che non possono tornare, ma mi sembrano indicazioni importanti da rivalutare.

◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊

Sul destino del riformista: triste, solitario y final?

Franco Contorbia

Dal 2009 a oggi, con una cadenza non strettamente annalistica, ma con una scoperta predilezione per uno dei quaranta giorni dell’Avvento o, più precisamente, per uno dei trenta compresi tra santa Caterina, seconda patrona di Novi, e Natale, Bruno Soro è solito rinnovare (e ha appena rinnovato) un ineludibile appuntamento con gli amici prossimi e distanti, pubblicando, ricondotti alla misura del libro, i dispersi frammenti di una conversazione che lo ha impegnato per mesi: questa volta, le linee del dialogo che tra il ’19 e il ’23 ha elettivamente intrattenuto con i lettori della rivista online dell’associazione Città futura di Alessandria e del settimanale «Panorama di Novi». Nella memoria più fonda, il tempo dell’Avvento rimanda irresistibilmente al passato remoto e alla cristallizzazione dell’anno che muore nella ‘figura’ degli ultimi mantelli, o tabarri, indossati dall’orefice Minetto, dal professor Ottavio Morisani e, nel corso dei suoi radi ritorni a Novi, dal poeta Gigi Bailo: neiges d’antan, e però non così estranee all’orizzonte della quête di Bruno, sottilmente in bilico tra la riflessione sui Massimi Sistemi dell’Universo e il radicamento in un circostanziato milieu ‘locale’, preferibilmente slontanato nella stagione dell’infanzia e della prima adolescenza.

Questa recentissima raccolta si intitola Politica, economia e società. Divagazioni e scritti vari 2019-2023 (Novi Ligure, Edizioni Epoké, 2023): la introducono Riccardo Soliani e Pier Maria Ferrando. In otto sezioni, dotate di titoli che, tranne uno, rinviano a ‘quistioni’ cruciali d’ordine, a prima vista, molto generale – Politica e democrazia; Scienza e libertà; Politiche giovanili; Economia e società; Pace e guerra; Clima e migrazioni; Tre maestri (Roberto Nani, Vittorio Sirotti, Camilla Salvago Raggi: e Alberto Boschi, il Maestro par excellence; il maestro Gianni Baretta è anche in questo caso l’autore dell’immagine di copertina…); Quale Europa –, Bruno dispone ventiquattro articoli degli ultimi quattro anni dei quali non è difficile mettere a fuoco la cifra: simile, non identica, a quella delle precedenti autoantologie.

La penultima, uscita due anni fa, si intitolava L’economista dissenziente. Scritti divulgativi 2016-2021 (l’editore era il medesimo, i prefatori due, giusta la salomonica decisione di affidare al competentissimo Carluccio Bianchi l’ufficio di compensare, o surrogare, l’incompetenza di chi scrive). Prima, erano apparse Il “gatto della crisi”. Divagazioni e divulgazioni di economia e politica (Genova, De Ferrari, 2009), Fatti non foste. Divagazioni di politica economia e società (ancora De Ferrari, 2015), Capire i fatti. Saggi divulgativi di Politica economia e Società (prefazione di Lorenzo Rampa, Edizioni Epoké, 2018). Se di Politica, economia e società posso designare in fretta la differenza specifica, insisterei sulla sua relativamente inedita fisionomia di diario in pubblico e, più, sull’irruzione di un grumo di ricordi (penso alle «colonie estive» e, principalissima, alla Colonia solare «Camillo De Benedetti», che conosco meglio, posta sotto la consecutiva giurisdizione delle maestre Anita Baselica e Gabriella Montessoro, e del Patronato scolastico, e del sindaco Carlo Acquistapace…), il cui censimento porterebbe troppo lontano.

La privilegiata occorrenza, nei titoli dei libri di Bruno, dei lemmi «divagazione» e «divulgazione», omofoni ma non omologhi (tagliando con l’accetta, la prima è un’arte, la seconda una scienza), immette senza mediazioni nel cuore dell’officina di Bruno Soro, e illumina significativamente le ‘tecniche’ del suo lavoro. «Gatto della crisi» e «Fatti non foste» a parte, gli addendi, come si vede, non cambiano, ma la mira è, e continua a essere, alta, se non altissima. La complessità degli oggetti escussi è da brivido, essendo in ballo nientemeno che la curvatura che politica e economia hanno preso nell’universo telematico e globalizzato e i catastrofici effetti di un processo che sono sotto gli occhi di tutti e che Pier Maria Ferrando riassume con compendiosa lucidità nella sua Prefazione.

A voler riassumere grossolanamente il riassunto, si tratta di capire come al più impressionante ventaglio di tecnologie che la cosiddetta civiltà occidentale abbia mai dispiegato corrispondano, nel fatto, non il riscatto ma la compressione, la frammentazione e la precarietà della forza lavoro, la povertà crescente e diffusa, le disuguaglianze mai così feroci, la progressiva erosione dei superstiti spazî di libertà compatibili con l’esercizio della critica dello stato di cose esistente, l’agonia e la morte delle forme novecentesche della rappresentanza politica (i Partiti…): di una simile apocalissi, scandita dalle migrazioni bibliche e dalle guerre-guerre seguite alla fine della guerra fredda, i fascisti al governo (questi fascisti, poi) rischiano d’essere un epifenomeno, un corollario folkloristico, capace al più di convertire la tragedia in commedia (all’italiana, e della sottospecie più greve).

Bruno professa da sempre una strenua, incontaminata devozione a Keynes e la ribadisce, del tutto legittimamente, in questa circostanza. Soliani ha evocato, in limine, un autore, Federico Caffè (1914-1987?), e il titolo che i curatori, Nicola Acocella e Maurizio Franzini, hanno dato post mortem a un gruppo di suoi scritti, La solitudine del riformista, ai quali è fatale associare reminiscenze non semplicemente dolorose ma, proprio, ferali, se si ponga mente all’esito di una solitudine e, chissà, di una derelizione, ritenute a un certo punto intollerabili da quel maestro ineguagliato e sconfitto (e lo dico senza involgere neppure per un attimo i confini, sacri, della Privatsache).

Toute proportion gardée, né Bruno né Pier Maria né io, non avendo partecipato ad alcun assalto al cielo nel corso dei leggendarî anni Sessanta, ma avendo senza dubbio ceduto alle «alcinesche seduzioni […] della Dea Giustizia e della Dea Umanità» (consunta citazione da Croce 1918, sulla soglia della terza edizione di Materialismo storico ed economia marxistica: è l’explicit della premessa redatta a Viù nel settembre 1917), possiamo illuderci di sfuggire alla sorte di postremi testimoni della faticata ascesa e della rovinosa caduta di un modello di interpretazione e di comportamento obbiettivamente arrugginito e inservibile, eppure, sembra, ancora fungibile quale strumento di trastullo verbale di statisti fiorentini bruciati verdi.

Di tutto questo si parla senza diplomatici infingimenti in Politica, economia e società, ancorché le risorse di un invidiato buon carattere, più che l’ottimismo della volontà, distolgano Bruno Soro dalla tentazione di far suonare le campane a martello, come sarebbe pur lecito. Della crisi Bruno è un fenomenologo acuto, disincantato e insieme compassionevole, mai tentato dal voyeurismo dello spettatore di naufragi. Avrà ragione lui. All’appassionato collezionista di detti memorabili che è e sa di essere ne regalo uno, memorando, d’après Montale 1943, in morte di Sergio Fadin: «Essere sempre tra i primi e sapere, ecco ciò che conta, anche se il perché della rappresentazione ci sfugge». E poi, però? Che tocchi ancora una volta a questi ammaccati reduci della Vecchia Sinistra il compito di dire, e di fare, qualcosa?

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*