L’Italia non è il centro del mondo

Specialmente dopo il duro periodo della pandemia ed il presente tempo di guerra, che coinvolge tutti, si direbbe, a sentire molti giornalisti e molti commentatori della TV, che l’Italia, in qualche modo, sia il centro del mondo.
Da Roma si odono voci e manifestazioni che sembrano più adatte ai tempi di Giulio Cesare o Augusto, e talora ricordano la grande Roma papale del ‘500, per cui si sente nell’aria una sorta di strafottenza, che induce a credere che Roma stessa sia ancora, come allora, il centro del mondo.
Ma non è così.
Da Firenze si sentono echeggiare elegie, che sembrano riportarci all’epoca di Lorenzo il Magnifico e al Machiavelli, con quell’indubbia capacità di fare della città stessa un centro di equilibrio, non solo in Italia, ma in tutta Europa.
Purtroppo l’arrivo di Carlo VIII con le sue truppe poneva fine a questo idillio fra le genti di un’Italia tanto superiore nelle Lettere e nelle Arti.
Anche nella mia Venezia si sentono voci che parlano di una presunta, grande capacità innovativa e lavorativa, pur in questo contesto così endemicamente colpito da malattie e da una decadenza economica.
Tre città, tre storie differenti, che ci rappresentano però un’Italia che vorrebbe essere a tutti i costi meravigliosa ed eterna.
Ma, proprio oggi, in questo 2022 così straordinario per accadimenti e per memoria, ci sono alcuni punti che vorrei sottolineare.
L’immagine di un Presidente del Consiglio, chiamato da un’autorità superiore a svolgere questo compito, mi ricorda, molto da vicino, l’investitura da parte di un re medievale di un singolo cavaliere, a cui la spada, che tocca la spalla sinistra e poi quella destra, attribuisce il titolo o di conte o di marchese.
Signori, siamo nel 2022, non nel 1222, sia ben chiaro.
Noto con piacere che il Ministro degli Esteri, inviato a cercare fonti energetiche nel mondo, è in grado di conversare in buon napoletano con il Presidente del Congo e con il Presidente dell’Angola, tirando fuori dal proprio cappello a cilindro un’altra, ottima interpretazione da “homo Vesuvianus”.
E’ consolante che un dialetto italiano sia così ampiamente diffuso.
Ma la cosa più sconvolgente a mio avviso è il diniego assoluto dei Presidenti del Consiglio, Ministri della Programmazione economica, Sottosegretari alle Risorse Energetiche ad essere coinvolti nella disastrosa situazione in cui si trovano imprese e privati per l’assoluta mancanza di programmazione di chi doveva pensare ad una sopravvivenza, almeno, del sistema produttivo italiano.
No, nessuno ci ha pensato minimamente, nessuno si assume alcuna responsabilità.
Tutti parlano dei problemi attuali come se non fossero di loro competenza o come se, al solito in Italia, le colpe fossero di altri.
Sembra un inarrestabile ping pong, in cui tutti sono contro tutti, “bellum omnium contra omnes”, in cui chiaramente “omnes” si riferisce alle imprese e ai cittadini italiani.
Non posso fare a meno di pensare a una figura come Enrico Mattei, che in altri tempi e in altre circostanze, pur essendo moralmente cinico, opportunista e abile a suo modo, riuscì a far convogliare in l’Italia l’energia di cui essa aveva estremo bisogno.
Poche chiacchere, molti fatti, mentre a Roma siedono, nel mondo politico e fuori, le mummie Inca, che assistono impassibili a quello che accade, sicure che il presente e il futuro saranno sempre uguali al passato, poiché nulla deve cambiare.
Giorgio Penzo

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