Lo squalo bianco

Vi ricordate di un film degli anni ’70 che ottenne un successo clamoroso, che fu il primo, vero, grande exploit commerciale di Steve Spielberg e che iniziò una fortunata serie di kolossal avente al centro appunto un grande squalo bianco?

Per i cultori del film, ad un certo punto, apparivano i nomi di due coniugi australiani, Ron e Valerie Taylor, una coppia di ittiologhi, che si era specializzata nello studio degli squali, in particolare il grande squalo bianco.

Il nome scientifico è Carcarodon Carcarias, ovvero “The Great White Shark”, ma gli australiani lo chiamano “White Pointer”.

Ebbene, durante uno dei miei primi viaggi in Australia, ebbi modo di visitare, vicino a Brisbane, sulla Goldcoast, un centro in cui i due coniugi Taylor raccoglievano i risultati del loro lavoro.

In un’enorme vasca rotonda, con la palizzata ben alta, erano riusciti a collocare uno di questi esemplari, ma si trattava di un cucciolo, non più lungo di due metri, anche se sappiamo con certezza che certi esemplari maturi raggiungono i cinque metri di lunghezza e forse i cinquecento kg di peso.

Lo sappiamo, gli Australiani sono particolarmente coraggiosi, talvolta oltre ogni misura, però, le immersioni di Ron e soprattutto quelle di Valerie erano incredibili: la donna indossava una sorta di armatura a scaglie, che la faceva sembrare un armigero medioevale e si immergeva tranquillamente tra animali che avrebbero potuto farla a pezzi.

In realtà, quel cucciolo di squalo bianco che io, come tanti spettatori, osservavo impaurito non riusciva a sopravvivere normalmente neppure in quella gigantesca massa d’acqua e continuava a girare in tondo forse incapace di capire il perché di quella costrizione, di quella barriera che lo circondava.

Era comprensibile il fatto che allora (siamo negli anni ’70) i Taylor volessero sfruttare anche un fattore commerciale, ma non credo che questo fosse il loro interesse primario.

Assieme all’enorme vasca, si vedevano dei documentari che descrivevano i due, marito e moglie, quando uscivano dalle gabbie di alluminio e si confrontavano con squali di vario tipo, armati soltanto di una macchina da presa: sembrava impossibile.

Per usare una metafora, come i pointer sono dei cani che si bloccano improvvisamente e segnalano la preda ai padroni, così i white pointer del mare sembravano attirati dalle due figurine dorate nelle loro armature, ma quasi incapaci di colpirli o di attaccarli.

Comunque, i Taylor avevano costruito uno spettacolo nuovo, anche per un paese pericoloso come l’Australia, ben nota per i suoi taipan  (il serpente più velenoso al mondo) oppure il coccodrillo marino, quello più gigantesco.

Mentre in aereo mi trasferivo da Brisbane a Perth, su uno spartano jet della Ansett Airlines, venne comunicata la notizia che il cucciolo di squalo, famoso in tutta l’Australia, era morto.

L’animale più forte, più potente di tutti i mari (orca a parte), non aveva potuto resistere alla mano dell’uomo e, per quanto benevola fosse questa mano, l’intervento dell’uomo sulla Natura era stato fatale.

Certo, in mare aperto il cucciolo sarebbe diventato forse una macchina di morte, ma in nessun modo l’Uomo ebbe, ha, avrà il diritto di cambiare le cose per il proprio, esclusivo tornaconto.

Viator

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