L’Unione Europea tra sovranismo e federalismo

Gli «insolubili» e «molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente», ossia «i tracciati dei confini a popolazione mista», la «difesa delle minoranze allogene», lo «sbocco sul mare dei paesi situati all’interno», la «questione balcanica», la «questione irlandese», etc. etc. troverebbero nella «Federazione Europea la più semplice soluzione».

(…) Il nuovo stato federale dovrà disporre di «una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali», dovrà spazzare le «autarchie economiche», dovrà avere «organi e mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, diretta a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli».

Sabrina Peron, Bellezza del Manifesto di Ventotene, Capitolo II. Compiti del dopoguerra. L’unità europea, “Materiali di Estetica” – N. 6.2, 2019, Pagine 160 e 161.

Nel suo Breviario domenicale – apparso sull’inserto Domenica del Sole 24 Ore dell’11 dicembre scorso -, il cardinale e biblista Gianfranco Ravasi, riportando una citazione tratta da una lettera di Franz Kafka, scrive: “Bisognerebbe leggere soltanto i libri che mordono e pungono”. Queste parole, che nell’interpretazione evangelica hanno un significato positivo, mi hanno richiamato alla mente la lettura di un libro, gentilmente prestatomi da un amico, che mi ha “morso e punto”. L’autore, infatti, propende per una visione dell’Europa di tipo “sovranista”[1], ideologicamente opposta a quella federale che sottende al cammino fin qui intrapreso, a partire dal Trattato di Roma del 15 marzo 1957 – che ha dato vita ai 6 paesi della Comunità Economica Europea (CEE) – e, a seguire, il Trattato di Maastricht, sottoscritto il 7 febbraio 1992 dai rappresentanti dei 12 paesi, istitutivo dell’Unione Europea così come oggi la conosciamo.

Su quello stesso quotidiano, la lettura dell’editoriale del professor Sergio Fabbrini, che per i suoi editoriali è stato insignito del “Premio Altiero Spinelli 2017” [2], mi ha lenito i “morsi” provocati dalla lettura del libro di Carlo Panella.

Rifacendosi al libro di Mario Draghi, nel quale sono raccolti gli interventi dell’ultimo decennio, a partire dall’assunzione dell’incarico di presidente della Banca centrale europea fino al mandato di presidente del Consiglio,[3] Sergio Fabbrini passa in rassegna i punti salienti della visione politica e dell’agenda di governo di Mario Draghi, dalla quale emerge in maniera netta la preoccupazione di Draghi per la mancata crescita dell’economia italiana nell’ultimo ventennio. Scrive Sergio Fabbrini: “Le crisi dell’ultimo decennio hanno accresciuto i divari tra Nord e Sud e le diseguaglianze tra i ceti sociali, ma nessuna strategia redistributiva potrà avere successo se non è accompagnata da una strategia produttiva”. Tanto più che la stagnazione (ossia con tassi di crescita dell’economia prossimi allo zero) degli ultimi 20 anni è stata preceduta da un declino economico iniziato negli anni ’70 del secolo scorso, un declino caratterizzato da una tendenza al dimezzamento del tasso di crescita dell’economia italiana di decennio in decennio. [4]

Il secondo punto saliente della visione politica di Mario Draghi, sottolinea Sergio Fabbrini, riguarda la sua fede rigorosamente federalista per quanto riguarda l’Unione Europea. è interesse del nostro paese – scrive Fabbrini -, rilanciare l’approccio dei padri fondatori dell’Europa integrata i quali, “individuarono nel modello sovranazionale l’unico capace di unire gli interessi dei popoli europei e di esercitare influenza su eventi che altrimenti sarebbero stati fuori dalla loro portata”.[5] Non è il caso in questa sede di ripercorrere tutte le tappe che, a partire dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, fino al Trattato di Maastricht sull’Unione europea, hanno gettato le basi per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria.[6]

Il terzo punto saliente della visione politica di Mario Draghi, quello a mio avviso più importante, riguarda il fatto che “l’Italia – scrive Fabbrini – deve rafforzare l’Eurozona”. Ciò in quanto, il “difetto di quest’ultima è di basarsi su un’unica moneta e 19 politiche di bilancio”. Un difetto che andrebbe corretto mediante «la creazione di un bilancio europeo», avente una funzione di stabilizzazione anticiclica, nonché di “produzione di beni pubblici europei che non possono essere generati nazionalmente”. L’eurozona, prosegue Fabbrini, “deve poter disporre di una indipendente capacità fiscale per affrontare le sfide collettive, senza sottrarre agli stati le risorse necessarie per affrontare le sfide specificatamente nazionali”. Ne segue, che ogni livello di governo deve avere «i poteri necessari per eseguire con successo i compiti assegnati». Infine, a conclusione della sua analisi, Fabbrini sottolinea che “gli interventi di Draghi sono una celebrazione dell’azione politica, non già della soluzione tecnocratica. Un’azione politica che sarà tanto più efficace quanto più condivisi sono i capisaldi dell’interesse nazionale”. Con buona pace di Carlo Pannella e di tutti i “sovranisti” italiani ed europei.

Allo stato attuale, non possiamo tuttavia dimenticare che l’Unione Europea è una “confederazione di Stati”. Per diventare una “Unione federale” necessita di due passaggi fondamentali. Dal momento che l’adesione all’Unione Europea è il primo passo del processo di integrazione, occorre innanzitutto accelerare i tempi per l’adesione dei cinque paesi “candidati” alla UE (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia). Occorre inoltre favorire al più presto l’ingresso nella moneta unica di tutti i tredici paesi che ne restano fuori. Solo allora, infatti, l’Eurozona (costituita “dagli Stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro come moneta”), e con essa l’intera Unione Europea, diverrebbe una “Unione federale”, con un potere centrale distinto da quello dei singoli stati nazionali.

Utopia? Personalmente credo di no, anche se ciò che sta accadendo all’interno del Parlamento Europeo desta in me molta preoccupazione. Non vorrei mai infatti che si avverasse la profezia di Lord Nicholas Kaldor, il quale, in un articolo del 1971, muovendo da una critica al cosiddetto “Progetto Werner”, metteva in guardia dal rischio che la creazione di una moneta unica prioritariamente al raggiungimento dell’unione politica, avrebbe potuto generare pressioni tali da provocare l’implosione dell’intero sistema. In tal caso, anziché promuovere l’unione politica la moneta unica ne avrebbe ostacolato e non favorito la creazione.[7]

Di Bruno Soro
Alessandria, 17 dicembre 2022

  1. Si tratta del libro del giornalista Carlo Pannella, Elogio del sovranismo. Per un’Europa delle Patrie, piemme, Milano 2022.
  2. S. Fabbrini, “I tre capisaldi della visione politica di Draghi”, Il Sole 24 Ore, domenica 11 dicembre.
  3. M. Draghi, Dieci anni di sfide. Scritti e discorsi, Treccani, Roma 2022.
  4. Per coloro che fossero interessati al tema del declino economico dell’economia italiana, rinvio al mio saggio “Postilla sul declino economico” riprodotto quale capitolo II della mia raccolta di scritti Capire i fatti, Epoké, Novi Ligure, 2018, pagine 43- 55.
  5. M. Draghi, citato, a p. 57.
  6. Con l’entrata in vigore del trattato sull’Unione europea, l’espressione CEE è stata sostituita dall’espressione Comunità europea (CE). I poteri legislativi e di controllo del Parlamento Europeo sono stati rafforzati con l’introduzione della procedura di codecisione e l’estensione della procedura di cooperazione.
  7.  N. Kaldor, Effetti Dinamici del Mercato Comune, pubblicato su New Statesman il 12 marzo 1971.

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