M i l l e n o v e c e n t o q u a r a n t a q u a t t r o

In quel mattino di novembre anche il silenzio tratteneva il respiro. Nessun rumore di finestre, di porte aperte e richiuse a testimoniare l’avvicendarsi di gesti abituali che suggerissero l’inizio delle attività quotidiane: erano gli attimi lunghi dell’attesa e dell’angoscia.

Sotto a quel silenzio, all’improvviso, un rumore di passi pesanti e d’ordini impartiti seccamente, in una lingua che sembrava fatta apposta per incutere timore e obbedienza immediata. Solo quando la porta fu aperta con un calcio di scarponi, la paura prese la forma di due SS che, con la canna del mitra spianato, sollevarono la coperta del grande letto dove una bambina di pochi giorni cercava un po’ di tepore tra le braccia della madre. Nessun uomo in quel letto.

Ma un tramestio al piano di sotto rivelò presto agli abitanti della casa, in un alternarsi di voci conosciute ed altre incomprensibili, che Dante era stato trovato: era iniziato il rastrellamento.

Avvezza alle decisioni rapide, Ines non ci mise molto a vestirsi e a seguire la colonna di civili che, sotto scorta serrata, si stava lentamente ingrossando, in marcia nella via centrale del paese. Non pensava al rischio che stava correndo, dominata com’era dal pensiero di non perdere di vista il fratello. Non aveva mai avuto paura di nulla lei, così determinata e laboriosa, un senso del dovere che la induceva talvolta ad attardarsi nell’ufficio municipale, sfidando il coprifuoco e i pericoli che l’occupazione tedesca comportava. Mai uno sguardo o una parola che potessero tradire preoccupazione, mai un’informazione sbadata che mettesse in pericolo qualcuno o un sorriso accattivante. Solo una garbata riservatezza professionale che incuteva rispetto.

All’altezza della Madonnina il cordone di militari cingeva gli uomini tratti in arresto. I visi tradivano lo sgomento e la paura, i corpi tremavano per l’emozione e per il freddo, coperti a malapena da indumenti afferrati frettolosamente sotto la minaccia delle armi.

Accadde all’improvviso, quell’atto irrazionale d’eroismo, come un’ispirazione imprevedibile che in pochi attimi può decidere il destino di una vita. Sarà stata la mano che, affondando nervosamente nella tasca, trovò la chiave del municipio o la benevola attenzione di quella Madonnina cui lei volgeva lo sguardo ogni mattina, ma brandendo la chiave si avvicinò all’ufficiale comandante e, indicando il fratello, esclamò: “Borgomaster, Borgomaster!”.

I momenti che seguirono furono scanditi dal battito del cuore in gola e le parve irreale vedere aprirsi un varco attraverso il quale Dante fu spinto, ancora ignaro di quanto stava accadendo.”Seguimi e non parlare”, gli disse.

Risalirono insieme le lunghe scale che conducevano al portone, divenute interminabili. Nessuna sventagliata di mitragliatrice alla schiena aveva interrotto il loro cammino. Il vero podestà, per un caso, non era ancora arrivato e null’altro interferì a modificare tragicamente gli eventi.

Nascosto sotto la scrivania dell’atrio dietro ad un cumulo di ceppi per la stufa, Dante percepì il ritorno al silenzio sulla strada e il diradarsi del passaggio di persone davanti al suo rifugio. Ancora incredulo, era turbato dal contrasto tra il sollievo e la pena profonda per la sorte dei suoi compagni. “Li rivedrò ancora?”mormorava la sua mente.

Nessun’enfasi ha accompagnato in seguito il racconto di quest’episodio al punto che chi lo scrive, non ha la certezza di un’esatta collocazione temporale, e chi lo visse lo ha custodito tra i tanti di offuscata memoria, sotto una leggera coltre di polvere.

Marina Elettra Maranetto

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