Mario Tronti, il pensiero di un’epoca

La scomparsa di Mario Tronti, chiude un’epoca del Novecento, l’epoca del Movimento Operaio. La Storia aveva già provveduto a cambiare gli attori in campo, dai cortei delle masse organizzate ai leader coi follower sui social. Ma, nel braciere della filosofia politica, Tronti aveva tenuto accesa la scintilla rivoluzionaria. Grazie al mix di radicalismo e pragmatismo con cui riusciva ad affascinare anche le nomenklature di partito, pochi autori nella sinistra europea hanno avuto la sua influenza, la sua costante e pressante presenza.

Il motore del suo pensiero è il filo rosso dell’operaismo. Il nucleo dialettico dei Grundrisse, l’opera di Marx che Tronti divulgherà facendone l’alternativa all’ortodossia del materialismo storico. Il suo libro cult, Operai e Capitale, diventerà il lievito teorico della rivolta sessantottina. E il simbolo – nelle parole di Rossana Rossanda – dell’innamoramento infantile di tutta la società italiana col mondo degli operai e della fabbrica. Un amore di breve durata. Con riviste antesignane – come «Quaderni rossi» e «Classe operaia» – Tronti fu il primo a segnalare che il distacco del Pci dalle fabbriche ne avrebbe eroso le basi più autentiche. Anticipando quella progressiva deriva che avrebbe portato – in Europa come in America – buona parte dei colletti blu a confluire nel populismo.

Questa lucida lettura dell’indebolimento delle radici sociali portò Tronti a un’altra brusca cesura con l’ortodossia marxista, lanciando le sue tesi graffianti sull’Autonomia del politico. Superando il vecchio primato della struttura sulla sovrastruttura, quel testo richiamerà al realismo della logica istituzionale. Con tempi e attori, tattiche e alleanze che imponevano un cambio di rotta, di organizzazione e ideologia. Lo scritto fece enorme scalpore, e sollevò il consueto fuoco di sbarramento dei custodi dei sacri testi. Lasciando un’eco nella coraggiosa avventura di Berlinguer nelle paludi del compromesso storico. Ma bisognerà attendere quasi vent’anni prima che Occhetto riesca a tagliare il nodo gordiano che ancorava il movimento operaio al suo passato. Un ritardo che peserà sull’incerto destino della sinistra italiana.

Tronti prese atto di quella sconfitta. La sconfitta del suo pensiero come arma dello scontro politico. Dagli anni Ottanta i suoi scritti prendono una forma diversa. Frammentaria, solitaria, quasi clandestina. E, nondimeno, di persistente e straordinaria popolarità. Tradotti in moltissime lingue, raccolti in volumi collettanei dagli editori più prestigiosi, circoleranno malgré soi, malgrado la riservatezza e understatement con cui Tronti ha continuato a coltivare la sua vita. Nella sua casa sulla Laurentina, una casa popolare che testimonia – anche nel vissuto personale – la diversità di un pensatore eretico, estraneo ai riti dell’intellettualità ztl.

Fino all’ultimo tornante, il più intimo, del suo tormentatissimo cammino. È la stagione del Tronti mistico, che ha accompagnato il millennio al suo epilogo, e ne ha affiancato i passi incerti in questo futuro senza storia. Gli scritti dedicati agli invisibili, l’universo degli umili che vivono al di fuori della scena mediatica, senza tempo e oltre il tempo. Dopo il Tronti che aveva infiammato generazioni di rivoluzionari, un Tronti amico, compassionevole. Che trasforma la sfida titanica in metafisica quotidiana.

È questa la sua ultima lezione. Tronti si è spento ieri nel suo eremo di Ferentillo, il paese natale in Umbria, circondato dall’affetto dei suoi cari. Con serenità. Senza abiure. Nello specchio della Storia, ognuno ricerca il suo riflesso. Un vetro rotto, o uno spiraglio di luce. Sono certo che Mario inviterebbe a scrutare comunque l’orizzonte.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 7 agosto 2023).

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*