“Lei mi parla ancora” – l’ultimo film di Pupi Avati

Diventare immortali: la bugiarda promessa dell’Amore?

j L’ardita irruenza di Vittorio Sgarbi, che a volte purtroppo si fa sgradita e volgare, torna incorniciata da una delicatezza infantile, non appena lui entra, con i ricordi,  dentro quello che, nel suo raccontare, è stato l’utero buono della sua famiglia.

Una famiglia che Pupi Avati ha elegantemente narrato nel suo ultimo film ” Lei mi parla ancora “, tratto da uno dei quattro libri scritti da Giuseppe- Nino, il padre di Vittorio Sgarbi.

Pochi sanno raccontare l’atmosfera della provincia di queste nostre terre settentrionali, Avati è uno di questi, e anche in questo film l’atmosfera interiore e quella esteriore si fondono dentro le nebbie nostrane che, come pelle di salami, proteggono e curano ferite altrove incurabili.

L’amore che rendeva immortali Rina e Nino ( i genitori di Vittorio ed Elisabetta) si dipana come filo da un gomitolo pronto per essere tessuto, una storia d’amore che appare oggi impossibile, la storia di una vita che solo insieme ha saputo aderire alla chiamata di un Destino che è, sì costruito da chi lo vive, ma eccede il nostro volere per sforare in “quell’oltre” che sarà svelato – se lo sarà- dalle misteriose mani del Mistero.

La Poesia del film percorre le stanze della casa, diventata negli anni tabernacolo, oltre che dell’amore, di opere d’arte accuratamente desiderate, trovate ed acquistate ; percorre i paesaggi della campagna, nelle luci del tramonto – anche delle vite -, nelle vedute del fiume, nella polvere delle strade, nei luoghi della pesca di trote e carpe.

Scriveva lo zio Bruno ( altro importante personaggio della famiglia)  : io voglio vivere pescando / e conto i giorni / della mia esistenza /numerandoli coi soli / e con la pioggia / che io avrò a godere / e  soffrire attendendo / che il sughero s’affondi / o che risuoni a tratti / il campanello in cima / della canna / annunciando la presenza / di una immensa carpa / di un argenteo temolo / di una trota guizzante / nella solitudine immensa / del Po di Levante / del sonoro Livenza… 

Si attraversa in bicicletta quel ponte di chiatte che univa il Veneto al Ferrarese , tra Ro e Polesella e che si apriva al passaggio di navi e petroliere.

Promettersi, nell’irresponsabilità avventurosa della giovinezza, di divenire – stando insieme – immortali e presenti per sempre, profetizza quel che ogni assolutismo porta inevitabilmente con sè: il tradimento di quella promessa, perchè quel che ci fa umani sono le necessarie illusioni e la nostra finitezza.

Ma è proprio questa promessa che Nino ( uno straordinario Renato Pozzetto ) reclama inesausto a Rina, reclama la sua presenza, quella di quella ragazza che possedeva il dono delle lingue: che parlava ad Elisabetta con dolcezza materna, a Vittorio con la forza di un padre, a Nino come donna: “ come nessuna mai mi aveva mai parlato, come nessun’altra ha mai fatto”.

Sono i Poeti che sanno nuotare dentro le assenze, che sanno muoversi nei crepacci gelidi dell’anima, e sanno maneggiare con dita sottili l’invisibile che vive in quello spazio silenzioso dove le parole scompaiono per emergere silenziose oltre le rive che crediamo di conoscere :

Assenza, più acuta presenza“, scrive Attilio Bertolucci, mentre Montale reclama alla sua Mosca la mancata promessa dell’ Amore:

Avevamo studiato per l’aldilà/ un fischio, un segno di riconoscimento. /Mi provo a modularlo nella speranza / che tutti siamo già morti senza saperlo.

di Patrizia Gioia

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