Una mostra interessante: i “Goti a Frascaro”

Il giorno di Pasquetta è stata l’occasione per tornare al museo archeologico di Acqui Terme e visitare la mostra (aperta fino a fine maggio 2023) sulla presenza dei Goti, antico popolo germanico, a Frascaro. Un’opera di archeologia preventiva contestuale a lavori di necessità pubblica ha portato ad un ritrovamento di importanza nazionale che ha avuto risvolti anche internazionali, almeno in campo accademico.

Nella regione di Frascaro, fra il V e il VI secolo, si stabilì   una colonia di Goti, occupando ciò che rimaneva di una villa rustica, ridando così impulso alla coltivazione dei campi ed esercitando un controllo sulle vie di comunicazione terrestri e fluviali fra Aquae Statiellae (Acqui Terme), Forum Fulvi (Villa del Foro) e Derthona (Tortona) e fra la piana alessandrina e la capitale Ravenna. Anzi proprio la presenza di Tortona, fortificata da Teodorico, consentiva a questa comunità, separata dalla popolazione latina, un collegamento con la restante società gota. Quest’ultima, anche se in minoranza numerica, deteneva in Italia il potere politico e militare, esercitandolo con rigore.

I Goti di Frascaro non furono diversi dal resto dei loro connazionali, mantenendo una rigida separazione con la popolazione del luogo e i propri usi e costumi, a cominciare dalle sepolture.                                                                                                    La mostra è distribuita su tre sale. La prima presenta un inquadramento archeologico del sito con testimonianze protostoriche e dell’epoca dello insediamento.

La seconda è dedicata alla necropoli con l’esposizione dei corredi funebri femminili. Nella terza ci sono le testimonianze delle sepolture maschili, dell’antico paesaggio e delle donne e degli uomini che l’hanno occupato.

Quello che emerge è la differenza fra corredi funebri maschili e femminili. Questi ultimi sono più ricchi, contengono fibule di argento dorato, collane di perline di pasta di vetro e di osso, orecchini con pendenti di ambra e vetro. Mentre quelli maschili sono più “poveri”. Sono presenti fibbie e alcuni coltelli.

Non ci sono armi, ma questa era una caratteristica delle tombe dei Goti. La maggiore semplicità dei corredi funebri maschili è stata interpretata anche come maggiore adesione all’editto di Teodorico che vietava di seppellire insieme al defunto gioielli e monete, considerati più utili alla economia dei vivi che alle esigenze dei morti.

C’è poi da aggiungere che la comunità di Frascaro non era sicuramente particolarmente ricca. Fra gli oggetti funebri maschili rinvenuti ci sono anche due monete. Sono monete molto diverse fra loro, una è di rame e risale a Valentiniano I o II (321/375- 371/392) imperatori romani, l’altra è un quarto di siliqua d’argento battuto da Teodorico (454/526) re degli Ostrogoti.

La prima è un AE 3(tomba 3; a dx nella foto sopra), ha un diametro di 15/17 millimetri, è molto consumata a causa della circolazione e delle reazioni chimiche dovute alla sepoltura, e proprio per questo è difficile l’attribuzione. Era ancora in circolazione, dopo un secolo e mezzo dalla sua emissione, quando venne collocata nella tomba. Era frequente che si scegliesse fra quelle di rame circolanti una moneta consumata e anche di molto anteriore nel tempo da porre in una tomba.

Un discorso diverso si deve fare per la moneta d’argento (tomba 11; al centro nella foto) che, grazie al suo stato di conservazione, ci consente di risalire all’autorità di emissione: re Teodorico.

Il pezzo in questione è un quarto di siliqua, o mezza siliqua, di Teodorico re degli Ostrogoti. Viene identificata con valori diversi per il fatto che le silique battute dagli Ostrogoti pesavano meno (1 grammo) di quelle bizantine (2 grammi). La moneta della tomba n.11 oscilla fra il grammo e meno di un grammo, quindi può corrispondere ad un quarto di siliqua bizantina o a mezza dei Goti. E’ un pezzo facilmente leggibile, scelta sulla falsariga della tradizione di deporre nel sepolcro monete d’argento di recente emissione, quasi a lasciare una traccia cronologica della sepoltura. Presso i Longobardi, altro popolo germanico, era tradizione deporre nella tomba una o più monete d’oro di recente emissione.

Lo scopo della deposizione delle due monete può avere diverse spiegazioni. Non è detto che siano state poste come “obolo di Caronte”, il pedaggio da pagare a Caronte, il traghettatore dei morti, perché i due pezzi sono stati trovati uno all’altezza del bacino, forse inizialmente dentro un sacchetto, e la mezza siliqua nel fodero del coltello.  L’obolo di Caronte veniva posto il più delle volte in bocca o in mano del defunto, inoltre questa pratica era molto in declino nel VI secolo e anche in epoca classica non era mai stata dominante nella cultura funebre.

Le due monete potrebbero essere state collocate per ragioni diverse: talismani per i vivi o i morti o dotazione simbolica dei suoi beni al defunto. Come talismani proteggevano i morti dagli spiriti maligni nell’aldilà e i vivi impedendo all’anima di riappropriarsi del corpo, seminando così il terrore. Tutto ciò che è rotondo tende a respingere gli influssi maligni. Come dotazione simbolica dei beni del defunto provava la sua ricchezza. In tombe di altri popoli sono state rinvenute più monete e di maggior valore, a volte incastonate a formare veri e propri gioielli.

In questo caso, facendo un confronto fra la piccola moneta di rame, del valore superiore a un deca-nummo bizantino, e il quarto di siliqua d’argento, equivalente a 140 nummi, possiamo constatare un diverso livello sociale fra i due defunti. Un consiglio agli interessati, leggete, di Valentina Fiò, “Il fenomeno della moneta in tomba di epoca medievale nell’Italia nord- occidentale: significati, continuità e rinnovamento di un rito”.

E’ una tesi di laurea facilmente reperibile in rete.

Riguardo alla moneta di lancio in homepage…

Monete dei Visigoti

Tra le monetazioni di oro più abbondanti c’era quella dei Visigoti di Spagna e della Gallia Narbonense. Questa monetazione venne emmessa da 19 dei 20 re di breve durata regnanti dal 568 sino all’estinzione del regno visigoto di Spagna ad opera dei mori nel 711.
Era costituita da una sola moneta il triente
 (o tremisse) ma più grande e più sottile 
di prima, aveva quasi il diametro del solido.*


Spagna visigotica -Triente d’oro, Svinthila (621 – 631),zecca di Merida

Ogni moneta era emessa con il nome del sovrano e di una delle 80 zecche tra Oporto e Narbona; i Visigoti avevano inoltre un sistema di zecche altamente organizzato. Lo stile benchè barbaro non era degenerato e presenta forme nuove ricavate dagli originali romani, erano ben definite e ben equilibrate. Quanto al pagamento delle imposte, i re germanici avevano inizialmente ereditato il sistema fiscale romano ma essi ebbero sempre meno forza di esigere le vecchie tasse romane: la Chiesa si era fatta presto riconoscere il diritto all’esenzione, i capitribù che diventavano latifondisti rifiutavano simili pagamenti e la nobiltà fondiaria romana era abituata da tempo a non pagare.
Solo costituendonsi un ricco patrimonio fondiario, ancora una volta poggiante sulle spalle dei servi e dei contadini, i re germanici riuscirono a crearsi i mezzi per nutrire, vestire e armare il proprio seguito. Il dissolvimento dell’economia monetaria non fu totale e non perchè erano rimaste poche isole di fatti monetari; anche quando gli scambi di mercato avvenivano nella forma del baratto, si misurava in unità monetarie il valore dei beni barattati. Gli uomini penavano in termini di prezzi anche se la moneta era assente. In molti casi dietro una apparente vendita contro denaro, c’era in realtà un baratto, ma l’apprezzamento del valore restava un fatto monetario.

nota a margine del testo del prof. Lapenta tratta da:

“http://www.grandoblone.it/div/barbariche-monete.html” con parti integrali del testo “Monete” di John Porteus . Mursia edit. 1965

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