Nietzsche dopo la follia

È un vero e proprio conte philosophique il romanzo di Franco Livorsi intitolato Nietzsche dopo la follia, costituente ‒ a seguito del trilogo teatrale Psiche e eternità. Alla ricerca del dio perduto ‒ la seconda parte di un trittico del quale, presto o tardi, vedremo pubblicata l’ultima cantica poetico-filosofica, questa volta in versi. L’incipit del testo è senz’altro accattivante, perché sin dalle prime righe vediamo riprendere a parlare/ragionare all’improvviso il filosofo tedesco durante la notte inaugurale del 1900, dopo ben 11 anni di follia devastante. E poiché sappiamo (o dovremmo sapere) che invece il povero Friedrich non si riebbe mai dal suo stato demenziale, l’inizio ‒ e, va detto subito, anche il prosieguo del racconto ‒ fa venir voglia di leggere il libro tutto d’un fiato, o perlomeno questo è capitato al sottoscritto.

Risvegliatosi dunque perfettamente consapevole, Nietzsche ripercorre con la memoria la propria vita sino al fatale crollo psicotico, a Torino, del 3/01/1889; anzi, no, sino al suo romanzesco recupero mentale ad opera nientemeno che di un dio, dell’unico dio gradito al filosofo, ovvero Dioniso, il Signore: “della gioia di vivere, ma anche della morte e della perenne rinascita”, esaltato in gioventù da Nietzsche nel saggio La nascita della tragedia. Inizia così un lungo dialogo tra i due, ma chi interviene di più ‒ per scelta assai condivisibile di Livorsi ‒ è il nume greco-romano (dai latini chiamato Bacchus e successivamente Bacco), che parla di sé come una divinità metamorfica, in quanto, a suo dire, in Egitto era già stato Osiride e in India Siva, per finire con l’assumere l’aspetto dell’ultima figura divina significativa: Cristo.

Dioniso abbozza un ritratto dell’uomo Nietzsche che di primo acchito può sembrare impietoso, ma è veritiero; specie allorquando ce lo descrive come: “un piccolo uomo tormentato dai suoi quasi continui mali…, pieno di grandi sogni, ma disperato…, solo come un cane…, incompreso da un sacco di coglioni che non potevano e talora non volevano capire la tua grandezza di pensatore e di scrittore…”. Un uomo assetato d’amore che deve assai poco averlo sessualmente praticato; tant’è che Dioniso/Livorsi gli fa pur fare una salutare scopata romanzesca con l’incantevole musa Calliope, dopo aver sbevazzato grappa in grande quantità.

Quindi risulta senz’altro umano, troppo umano il Nietzsche che traspare da queste pagine, ma anche il suo divino compagno lo è. E i due, tra un bicchierino e l’altro, analizzano ambiti oltremodo significativi della filosofia occidentale, nonché della storia (e politica) europea moderna. Innumerevoli sono gli argomenti qui affrontati o anche solo sfiorati, ma non per questo invano, perché ‒ quando è intelligentemente formulato – pure solo un accenno o un interrogativo riesce a far suscitare nei lettori l’interesse per la tematica proposta. E già questo basta e avanza all’interno di un conte philosophique; in quanto è pur sempre da evitare l’azzardo di considerazioni saccenti o risposte definitive/esaustive.

Naturalmente il testo tratta altresì del pensiero nicciano, prendendo spunto in primo luogo dalle opere principali del grande pensatore tedesco, tra cui: La gaia scienzaCosì parlò ZarathustraL’Anticristo, ed infine Ecce Homo, l’opera filosofica autobiografica di Nietzsche scritta nel 1888, durante il periodo in cui il filosofo visse a Torino, poco prima della sua caduta nell’abisso della follia. E: “chi attraversi gli abissi perdendo per qualsiasi ragione ‒ persino senza farlo apposta in nessun modo ‒ l’asse d’equilibrio”, dice bene Dioniso a Friedrich, “ha una mala sorte”. Ma prima di impazzire quest’uomo indubbiamente geniale, scandalizzando i coevi benpensanti, aveva osato proclamare la morte di Dio, ovvero soprattutto il rifiuto del Dio giudaico-cristiano, del grosso idolo a cui da secoli gli spiriti deboli, a suo dire, si rivolgevano invano.

L’analisi che l’autore narrativamente conduce è esemplare. Da essa emerge, ad esempio, come nell’Anticristo Nietzsche esprima un giudizio che finisce col risultare paradossalmente positivo, anzi persino elogiativo su Gesù e sul suo modo ammirevole di comportarsi. Resta il fatto che l’Anticristo rappresenta pur sempre una critica estrema e impietosa nei confronti dell’evangelo cristiano, messo al bando senza riserva alcuna dal filosofo tedesco (sostenitore semmai dell’anti-vangelo promosso dal suo Zarathustra) in quanto divulgatore di un’inammissibile prospettiva escatologica e modello negativo di un pieno fraintendimento della parola/prassi di Gesù.

Ovviamente va considerato che ‒ al di là della maschera dei due personaggi: Nietzsche e Dioniso o l’uomo e dio ‒ è Livorsi l’unico vero io-narrante, con la sua propria visione filosofica, nonché  sostenitore d’una sorta di tesi che mi pare emerga chiaramente dal libro, sintetizzata/sintetizzabile (chiedo venia per la semplificazione, pur necessaria in una recensione) com’è nelle due frasi seguente intorno al futuro dell’homo sapiens: (I):“o diventiamo puramente e semplicemente animali come tutti gli altri…, oppure diventiamo animali e dèi al tempo stesso, animali-divini, o meglio “animalidivini” (tutt’uno)”. (II) “l’uomo dell’età della secolarizzazione, che non crede più in Dio o vive come se non esistesse, deve accedere ‒ o poter accedere ‒ all’infinito, all’eterno e anche a un amore di tal fatta: ma trovandoli come carne dell’umana carne”.

Ma la parte più suggestiva del romanzo, a mio parere, è quella in cui Dioniso ‒ giusto in quanto divinità ‒ non soltanto afferma di essere stato Gesù Cristo (d’altronde una somiglianza può essere trovata nel fatto che Bacco, Osiride, Cristo ed Attis sono personaggi divini che muoiono e poi risorgono), ma racconta quale è stato il suo vero insegnamento: tutt’altro da quello di San Paolo o di Sant’Agostino e, potremmo dire, dei preti. Un Gesù simpatico e per nulla dogmatico, che impara a diventar guaritore/taumaturgo durante la permanenza giovanile in Egitto e, una volta ritornato in patria, dopo un breve periodo di apprendistato presso Giovanni Battista, diviene un rabbi anticonformista, amatissimo dal popolo e dai discepoli.

Non intendo dire altro, tuttavia, sul libro di Livorsi per non guastare ai lettori il piacere di gustare la variegata trama di questa narrazione colta, eccentrica e vivace. Una sola nota conclusiva, all’insegna della speranza. Allontanatisi ormai gli dei dagli uomini ‒ per dirla con Hölderlin ‒, e con essi pure l’ultimo di loro, Cristo, noi disincantati postmoderni (chi più, chi meno agnostici) siamo tenuti ad affrontare una crisi a livello planetario che si prospetta esiziale. E forse ‒ per dirla con Heidegger ‒ ormai solo un Dio ci può salvare. Ebbene, Livorsi ci assicura che Dioniso ritornerà comunque fra di noi. “Ancora un po’ di pazienza, amici miei…”.

Franco Livorsi, Nietzsche dopo la follia. Romanzo dionisiaco, Moretti&Vitali 2024, pp. 266, euro 24,00 (Il libro sarà disponibile in ogni libreria italiana dall’8 marzo 2024).

di Francesco Roat

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