Note sparse sul declino della politica locale

      – 1. Queste note fanno seguito a un mio precedente articolo[1] nel quale ho esaminato, con un certo dettaglio, il fenomeno dell’astensionismo elettorale nella città di Alessandria. Proseguendo le riflessioni contenute in quell’articolo, mi sono domandato cosa potrebbe succedere, nelle prossime elezioni del 2027 e del 2032, se la tendenza all’astensionismo elettorale in Alessandria continuasse a crescere in modo più o meno analogo. La domanda nasce dall’esigenza di valutare con maggiore precisione la gravità o meno del fenomeno dell’astensione, e dunque l’opportunità di mettere – come suggerivo – il contrasto all’astensione al primo posto dell’agenda politica. Di questo tratterò nella prima parte di queste note.  Secondariamente, in conseguenza anche di qualche reazione di fastidio del tutto fuori luogo che il mio articolo ha suscitato, mi sono domandato quali possano essere le basi culturali dell’indifferenza o della tolleranza verso il fenomeno dell’astensionismo, anche presso quegli ambienti che dovrebbero invece esserne immuni. Di questo tratterò nella seconda parte.

      – 2. Avendo a disposizione la serie storica dell’affluenza alle urne a partire dal 1993, è possibile azzardare qualche previsione sul futuro che ci aspetta. È vero che le previsioni statistiche sono soggette a errori più o meno grandi e dunque, in un certo senso, lasciano il tempo che trovano. Ma è anche vero che possono prefigurare nel dettaglio quel che potrebbe succedere, a partire dagli eventi pregressi, se non avremo fatto nulla per cambiare la situazione. Avere davanti uno scenario futuro concretamente configurato può essere utile per decidere se è il caso o meno di occuparsi della questione. E se la questione è urgente.

 

Fig. 1 – Serie storica del numero dei votanti al primo turno alle elezioni amministrative di Alessandria, nel periodo 1993-2022. Nei due cartellini in giallo si trovano le previsioni per il 2027 e 2032. Nel 2002, 2012 e 2022 ha vinto il centro sinistra.

 

Fig. 2 – Serie storica del numero dei votanti al secondo turno alle elezioni amministrative di Alessandria, nel periodo 1993-2022. Nei due cartellini in giallo si trovano le previsioni per il 2027 e 2032. Nel 2007 non c’è stato il ballottaggio.

 

      – 3. Per approssimare l’andamento dei dati dell’astensione, di elezione in elezione, e per estrapolare l’andamento futuro, ho utilizzato la regressione lineare, che è il metodo più semplice e intuitivamente comprensibile. I risultati sono presentati nella Fig. 1 e nella Fig. 2. I valori di R2, che misurano la bontà dell’interpolazione, sono piuttosto elevati, 0,96 e 0,93. Ho provato anche a utilizzare una curva polinomiale di ordine due, la quale però ha dato più o meno  risultati analoghi e non ha migliorato decisamente il fit. Dunque, per non complicare più di tanto, ho mantenuto il modello lineare.

      Come si vede nella Fig. 1 e nella Fig. 2, dai calcoli emerge che, se l’andamento dell’astensione continuerà con la stessa tendenza delle elezioni precedenti, nella prossima consultazione elettorale del 2027 potremo aspettarci, più o meno, una cifra intorno ai 29.528 elettori votanti al primo turno e una cifra intorno ai 20.177 al secondo turno. Alle elezioni del 2032 potremo aspettarci un ulteriore peggioramento della partecipazione e cioè una cifra intorno a 24.530 elettori votanti al primo turno e ai 14.692 elettori votanti al secondo turno. Si tratta, come ognun può costatare, di perdite assai elevate che andrebbero ad aggiungersi alle precedenti.

      – 4. Queste proiezioni sono espresse in valori assoluti. Forse qualcuno dei lettori preferirebbe ragionare in termini di percentuali. Per sapere cosa significano queste cifre trasformate in percentuale, dobbiamo rapportare i votanti previsti agli aventi diritto previsti. Perciò, con lo stesso metodo usato in precedenza, dobbiamo prima stimare l’andamento futuro della popolazione degli aventi diritto. La cosa si può fare facilmente. Non sto qui a riportare il grafico. Riporto semplicemente i risultati: nel 2027 dovremmo avere una popolazione di aventi diritto intorno a 72.295 unità e nel 2032 intorno a 71.260 unità. A questo punto siamo in grado di calcolare le tendenze in forma percentuale. Nel 2027 l’afflusso alle urne per il primo turno dovrebbe oscillare intorno al 41%, mentre, al secondo turno, dovrebbe collocarsi intorno al 28%. Alle elezioni successive, nel 2032, cioè tra dieci anni, l’afflusso di elettori al primo turno potrebbe essere all’incirca del 34%, mentre al secondo turno potrebbe essere del 21%. Questo significa che, nel 2032, a un eventuale ballottaggio, l’elezione del sindaco nella nostra città potrebbe esser decisa all’interno di una ristretta oligarchia di poco più del 20% di elettori votanti.

      Per rispondere alla prima domanda posta in apertura, la gravità del fenomeno pare dunque collocarsi oltre ogni discussione. Va da sé che il fenomeno dell’astensionismo, passato, presente e futuro, non inficia minimamente l’importanza politica della vittoria della coalizione di Giorgio Abonante, come non inficia la piena legittimità della nuova Amministrazione. Tanto più che nella campagna elettorale Abonante e i suoi hanno meritevolmente ripreso più volte la tematica della partecipazione.

      – 5. Non posso entrare qui nel merito delle cause dell’incremento progressivo dell’astensione. Sarebbe peraltro necessaria un’indagine empirica su un campione dell’elettorato. Poiché è un fenomeno che è cominciato nei primi anni Novanta ha senz’altro una natura epocale. Ragionando in generale, ispezionando l’andamento progressivo della diminuzione dei votanti avvenuta in passato, si vedrà che la diminuzione è costante, quasi regolare nel tempo, senza sbalzi di grande entità. Si può dunque ipotizzare che l’andamento non dipenda da sporadici singoli eventi, capaci di condizionare un’elezione piuttosto che un’altra. La spiegazione, se c’è, è senz’altro dovuta a un complesso di concause che tuttavia operano nella stessa direzione e finiscono, con una certa regolarità, a spingere in basso la partecipazione. Se si guarda il grafico della partecipazione al primo turno, solo nel 2007 c’è stata una lievissima inversione di tendenza, così lieve che non sembrare granché significativa. Comunque, è stato l’anno della vittoria di Fabbio nei confronti di Scagni. Ci sarebbe spazio qui per uno studio del caso. In aggiunta, possiamo considerare che l’astensionismo non è solo un fenomeno alessandrino. Con ogni probabilità possiamo mettere in conto l’effetto di una generale tendenza, tipica delle democrazie occidentali, unitamente a effetti più specifici a livello nazionale e poi a livello locale. In ultimo, anche residuali condizioni accidentali possono avere il loro peso. Uno studio ad hoc sulla questione dovrebbe tener conto di tutti questi elementi.

      – 6. Certo, cinque o dieci anni, una o due tornate elettorali, sono tanti e forse non val la pena di fasciarsi la testa con così tanto anticipo. Tuttavia, è intuitivo che tanto meno si farà, per tentare bloccare la tendenza all’astensione o di invertirla, tanto più facilmente il trend che abbiamo mostrato avrà la possibilità di manifestarsi implacabilmente.

      Sullo sfondo di questa situazione ben delineata, resta allora, a quanto pare, ancora una domanda. Perché mai un’astensione in forte crescita progressiva dovrebbe preoccuparci? In fin dei conti, siano tanti o pochi gli elettori attivi, dei candidati ci saranno comunque e qualcuno sarà pur sempre eletto. E gli eletti sul piano formale saranno perfettamente legittimati a esercitare il loro mandato. Se la gran parte degli elettori decide liberamente di astenersi, di non esercitare il proprio diritto di voto, vuol dire che con ciò intendono autorizzare la minoranza a scegliere.

      Si pensi che una corrente politologica nordamericana sostiene addirittura che gli astenuti, con il loro comportamento, farebbero addirittura un grande servizio alla democrazia. L’astenuto, in fin dei conti, darebbe un utile contributo alla democrazia perché eviterebbe un cattivo voto, frutto di disinteresse, casualità, incompetenza e disinformazione. Su questa scia possiamo allora immaginare una comunità politica dove solo il 10% degli aventi diritto, cioè un ristretto gruppo dei migliori, se la senta di andare a votare. Il restante 90% potrebbe utilmente delegare a costoro, nell’interesse di tutti. Questa tesi ha trovato anche una sua precisa denominazione: epistocrazia.

      – 7. La risposta alla domanda sopra citata, «Perché un’astensione in forte crescita progressiva ci dovrebbe preoccupare?», non è affatto facile da dare ed è strettamente connessa a quella che si ritiene essere la natura del diritto di voto. Purtroppo su questo argomento si danno per scontate troppe opinioni comuni. Non ho qui lo spazio per entrare nel merito della questione in maniera approfondita, tuttavia mi accingerò per lo meno prospettare quale sia, a mio modesto parere, la corretta impostazione della questione. Questo ci metterà sulla strada anche per trovare una risposta alla seconda questione che ponevo in apertura.

      – 8. Trattiamo qui del diritto di voto nell’ambito delle liberaldemocrazie, cioè i sistemi politici che ci contraddistinguono. Si sottolinea spesso, con una certa ripetitività, come il voto sia contemporaneamente un diritto e un dovere. A mio avviso questa formulazione, ripetuta ovunque papagallescamente fino alla noia, è terribilmente ambigua, come tale del tutto insoddisfacente. Andrebbe quindi chiarita e interpretata. La maniera migliore, a mio modesto avviso, è quella di ricorrere alla distinzione operata da Isaiah Berlin tra i due tipi fondamentali di libertà: la libertà da (liberty from) e la libertà di (liberty of). Nella tradizione della filosofia politica si parla anche di libertà negativa e di libertà positiva. Il primo tipo di libertà appartiene alla tradizione dei diritti individuali che il singolo può far valere nei confronti del potere costituito. È questa la tradizione tipica del liberalismo. Il secondo tipo di libertà appartiene invece alla tradizione democratica che mira piuttosto all’empowerment del cittadino, cioè alla sua compiuta emancipazione e realizzazione. Mira cioè a conferire al cittadino un ambito di esercizio del potere che lo metta in grado di partecipare pienamente alla comunità politica.

      – 9. Nel caso specifico del diritto di voto, la finalità principale del liberalismo è quella di permettere la costruzione più ampia possibile di uno spazio privato entro cui l’individuo possa esercitare la sua insindacabile discrezionalità. Già secondo Locke, attraverso il voto, il cittadino mira a costituire quel giudice imparziale che garantisca a ciascuno il godimento delle libertà naturali. In questo senso il diritto di voto è considerato come un’opzione individuale, una strategia, che può o meno essere esercitata liberamente. Votare (o non votare) non modifica in alcun modo la natura dell’individuo che lo fa. Lo scopo della democrazia è invece piuttosto quello di costruire e potenziare il cittadino, di farlo uscire dal suo stato di minorità e impotenza, in modo che questo possa essere protagonista dello spazio pubblico e possa costituire, di conseguenza, una risorsa per tutta la collettività. Nel voto, si crea il cittadino, si diventa cittadini a pieno titolo. Altrimenti si rimane de facto cittadini dimezzati. In questa ottica il voto non è più un’opzione individuale,  bensì un passo necessario, un obbligo. E l’astensione può essere considerata come una diserzione dagli obblighi, dai doveri del cittadino.

      Si tratta allora di capire, una volta per tutte, dove vogliamo collocare il diritto di voto, se dentro al  gruppo dei diritti appartenenti tipicamente alla tradizione liberale, o libertà negative, come ad esempio la libertà di stampa o la libertà di coscienza; o se, invece, dentro al gruppo dei diritti appartenenti alla tradizione democratica, o libertà positive, come ad esempio il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione.

      – 10. A mio modesto avviso, l’analfabetismo civico democratico che ci contraddistingue sempre più fa sì che il diritto di voto, che storicamente, almeno a partire dal suffragio universale, appartiene alla tradizione dell’empowerment di stampo democratico,[2] sia oggi costantemente fatto regredire a una sorta di manifestazione della libertà individuale, assimilabile alla libertà di parola, dunque un diritto pertinente a garantire la sfera privata. Il diritto di andare a votare, il suffragio, viene cioè trattato – snaturato e regredito – alla stregua del diritto di esprimere una  opinione. È appena il caso di sottolineare che, dal punto di vista della filosofia della democrazia, questo è un gravissimo vulnus.

      Su questo stravolgimento si basa il pastrocchio del diritto di voto che è anche un dovere, la cui inosservanza è tuttavia priva di sanzione. Nel primo caso, il voto diventa una mera opzione appartenente alla sfera individuale, ove l’individuo può scegliere se votare o astenersi, senza dover rendere conto a nessuno. Insomma, diventa una questione privata. Nel secondo caso il voto diventa, come prescrive del resto la nostra costituzione, un dovere civico, un dovere cioè che costituisce il cittadino stesso in quanto cittadino, lo potenzia, lo mette in grado (to be able, dicono gli inglesi) di disporre di un suo specifico potere di deliberazione (per quanto piccolo questo possa essere, nel mucchio di tutti i cittadini). Il voto dunque diventa, in questo caso, una questione pubblica. Inteso in questo senso, il voto andrebbe considerato come obbligatorio, esattamente com’è obbligatoria l’istruzione. O come sono obbligatorie le vaccinazioni.

      – 11. Quel che sto dicendo può sembrare strano a qualche naïve, ma corrisponde in tutto e per tutto alla filosofia della democrazia e a una ben precisa tradizione di pensiero. Esiste da lungo tempo un filone politologico, forse minoritario, che concerne il voto obbligatorio. Esistono anche diverse applicazioni pratiche degne di considerazione, come ad esempio il caso australiano. Naturalmente l’obbligatorietà del voto implica anche la opportunità di erogare delle sanzioni a coloro che non votano. Dato che mi trovo a dover spiegare l’ABC, preciso che i sistemi di voto obbligatorio non sono così illiberali come si potrebbe pensare, non costringono affatto a scegliere per forza una delle opzioni presenti sulla scheda e possiedono dei meccanismi che tutelano comunque anche la libertà individuale di non esprimersi, o di esprimersi diversamente. Ad esempio recandosi al seggio e non ritirando la scheda. Oppure barrando, sulla scheda, la voce “Nessuno di questi”. Lungi dall’essere sistemi totalitari, sono sistemi che prendono sul serio il carattere di empowerment individuale del diritto di voto, senza sacrificare tuttavia in alcun modo la libertà di opinione.

      – 12. Così si spiega il motivo del pasticcio tra diritto e dovere. Poiché le liberaldemocrazie, oltre alla tradizione democratica, portano con sé anche la tradizione liberale, che è senz’altro fondativa e preziosa, accade spesso che, nonostante la proclamazione del voto come dovere, le sanzioni per la violazione del voto obbligatorio siano minime. Oppure che le sanzioni proprio non ci siano. Anche se resta l’obbligo, che a questo punto non significa più nulla. Nel nostro Paese, fino a un certo punto, gli elenchi dei non votanti erano pubblici e sul certificato di buona condotta poteva comparire la dizione “Non ha votato”. Poi tutte le limitazioni in questo senso sono state rimosse, guarda caso, proprio all’inizio degli anni Novanta, proprio quando nel nostro paese ha cominciato a essere propagandato, da certe forze politiche, un certo malinteso concetto della libertà. Proprio in quegli anni, guardacaso, è cominciata l’irresistibile marcia dell’astensionismo. Si noti poi anche che il fatto di non votare può essere considerato davvero poco compatibile con determinate deontologie professionali.  Sarebbe, ad esempio, del tutto plausibile che chi non vota fosse escluso dai concorsi pubblici, ma purtroppo il settore pubblico non ha più alcun rispetto per se stesso. Dovrebbe essere abbastanza chiaro che un insegnante che non vota viene a trovarsi in conflitto con la deontologia della professione, che ha tra i suoi scopi proprio la formazione del cittadino. Alla stregua di un catechista che non crede. Oppure alla stregua di un medico no-vax. In nome di un pessimo e degenere concetto della libertà non ci facciamo mancare proprio niente.

      Si badi bene che non sto proponendo esplicitamente il voto obbligatorio, anche se, continuando così l’aumento delle astensioni, ci dovremmo prima o poi fare un pensierino. Sto evocando questa tematica solo per mostrare quanto sia grave lo stravolgimento che abbiamo effettuato nei confronti del diritto di voto, riducendolo a una mera libertà di opinione. A un mero sondaggio cui ciascuno può decidere allegramente di partecipare o meno. E questo perché la cultura politica della democrazia è ignota ai più.[3]

      – 13. Sarebbe allora interessante domandarsi cosa significhi davvero sostenere che uno “si astiene liberamente”.  Ci si può astenere liberamente dal voto? Certo l’astenuto alessandrino non ha ricevuto alcuna costrizione. Avrebbe potuto andare a votare, ma quel giorno ha fatto tutt’altro. Con piena libertà. Senza alcuna conseguenza. Solo lui sa perché. Il liberalismo classico difende, com’è noto, le preferenze individuali. Lo Stato o le istituzioni non possono sindacare il modo in cui uno decide di perseguire la propria felicità, nel proprio spazio privato. Se uno decide di non votare, sarà felice così.

      Purtroppo la teoria della democrazia è un’altra cosa, non assomiglia per nulla al liberalismo classico, almeno su questo punto. Il problema dunque non è quello di garantire la libertà individuale di opporsi agli obblighi civici (in nome della libertà da) quanto il problema di definire l’obbligo della partecipazione, nei termini della libertà di: se non partecipi sei un cattivo cittadino, svilisci e mortifichi te stesso e danneggi gli altri. Dal punto di vista della filosofia della democrazia, stare nella comunità politica non implica solo fare il cavolo che ti pare, ma implica anche il lato dei doveri, come bene ha sostenuto tutta la tradizione repubblicana. Fino a ieri, dovevi fare il servizio militare. Oggi devi mandare i tuoi figli a scuola. Come cittadino devi pagare le tasse. Devi farti vaccinare. E così via. E dunque devi votare.

      Perché allora tanta indulgenza nei confronti dei menefreghisti? Soprattutto, perché questa indulgenza alberga spesso e soprattutto nel campo di quel che rimane della sinistra? Purtroppo c’è, dalle nostre parti, una sinistra che è strutturalmente antidemocratica e che finisce per essere così antidemocratica da difendere gli indifendibili anarco liberali, per i quali non votare è un sacrosanto diritto. Anzi, una pratica in fondo vantaggiosa che può andare a beneficio di tutti. La democrazia è impegnativa. Un eccesso di anarco liberalismo sta convincendo la maggior parte che ciascuno può stare nella democrazia sfruttandone tutti i vantaggi, senza minimamente prendere parte all’esercizio dei doveri. Ma così la democrazia non sta in piedi. È questo il fatto davvero preoccupante. Credo che, a questo punto, sia piuttosto chiaro quali siano le radici culturali della tolleranza o della indifferenza nei confronti dell’astensionismo.

      – 14. Metteremo dunque delle penali per gli astenuti? Chi non vota dovrà pagare una tassa? Oppure metteremo degli incentivi, come una consumazione da Mc Donald o come una ricarica telefonica? Ovvio che no, perché noi democratici siamo figli anche della cultura liberale (liberal – democrazia si chiama, appunto). Questo però non può indurci a mettere da parte l’obiettivo dell’implementazione di una ampia partecipazione elettorale, la più ampia possibile. Esattamente come ci poniamo l’obiettivo della migliore salute e della più ampia istruzione per tutti. Ci scandalizziamo per il fatto che una buona parte dei nostri concittadini non è in grado di leggere e intendere un articolo di giornale di media difficoltà. Chi si sente di dire che costoro sono liberi di restare ignoranti? O che sono liberi di restare disinformati? Egualmente, dovremmo scandalizzarci se buona parte dei nostri concittadini non entra nei seggi e non compie il suo dovere elettorale. Chi si sente di dire che sono liberi di fare i cittadini dimezzati?

Giuseppe Rinaldi (06/07/2022)

Sito: https://finestrerotte.blogspot.it/

 

NOTE

[1] Cfr. Alessandria 2022. Dati elettorali e declino della politica locale, pubblicato su Città Futura il 30 giugno 2022. Alessandria 2022. Dati elettorali e declino della politica locale – Città Futura on line (cittafutura.al.it).

[2] Per convincersene, si pensi alle lotte per i diritti civili negli anni Sessanta da parte dei neri. Uno dei significati di empowerment corrisponde al nostro termine emancipazione.

[3] Qui mi sento fischiare le orecchie. L’accusa di democrazia totalitaria è nell’aria.

 

 

 

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