In occasione della “Giornata del ricordo del disastro di Chernobyl”
Molti ricordi mi legano direttamente al “nucleare civile”, cioè alle procedure autorizzative e alle eventuali costruzioni di centrali nucleari. Ho avuto la fortuna, con Nicoletta mia moglie, di condividere, prima con il Comitato Popolare di Controllo delle scelte Energetiche poi con con la Legambiente (allora “Lega per l’Ambiente) e con spezzoni di Italia Nostra e del WWF, tutto l’epico periodo della “PO1 ” e della “Po2”. Ai più giovani queste due sigle diranno poco…ma a me ricordano una fase particolare e molto positiva della mia vita sociale e politica. “Po 1” e “Po2” stavano per l’identificazione, ad inizio anni Ottanta dello scorso secolo, di due “siti” idonei a ricevere – secondo il Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare , CNEN in sigla – due grandi centrali elettronucleari Westinghouse con produzione di circa 2000 Megawatt di potenza elettrica. Il primo (Po1) da piazzare nella piana del Po a fianco di Trino Vercellese, dove già c’era (e c’è) un impianto nucleare civile; l’altro – la “Po2” – in un territorio vergine, completamente nuovo, nella attuale Bassa valle Scrivia, presso Sale, in provincia di Alessandria. Il clou delle operazioni ebbe un lungo preambolo risalente al 1977 con una proposta, passata all’inizio a maggioranza in Consiglio provinciale, riguardante la zona della cascina Filippona, a ridosso di Castelceriolo – Lobbi (sempre in provincia di Alessandria). Allora si sprecavano i commenti positivi riguardanti l’ “energia sicura del futuro”, il non inquinamento assoluto della risorsa nucleare e, soprattutto, la possibilità di una concreta alternativa al diktat energetico delle risorse fossili. Si era, d’altra parte, appena all’indomani della crisi petrolifera del 1973 che, per ragioni geopolitiche tutte legate alla questione palestinese, portò alla decuplicazione del prezzo del petrolio in meno di tre anni ….dal 1973 al 1976. Proprio in quel periodo, pero’, alcuni ingegneri e tecnici Enel e Cnen avevano cominciato a maturare posizioni dissonanti da quelle dell’establishment dell’ “Italia che lavora”, dell’ “Italia che non ha paura delle innovazioni”… I loro nomi, divenuti famosi anche per le ccariche istituzionali ricoperte, erano i seguenti: Gianni Mattioli e Massimo Scalia, Giuseppe Semeraro, Loris Colombati, tutti ingegneri o tecnici energetici di livello. Furono tra gli artefici di quella “conversione” che porto’ diversi giovani tecnici ed esperti in materia energetica a maturare posizioni nettamente dissonanti da quelle del mainstream dei primi anni Sessanta. Furono infatti loro a sostenere prima e a denunciare, poi, quella che veniva considerata l’energia del futuro. Ben presto, di fatto, vennero fuori tutte le magagne e furono chiari gli “effetti collaterali” di quelle tecnologia. Al punto da definirla “non matura” e quindi foriera di ulteriori problemi per le popolazioni. I fatti della centrale Westinghouse di “Three Miles Island” negli Stati Uniti, il fallimento del “Superphenix” francese, le ripetute perdite in centrali francesi, inglesi, giapponesi, russe… consigliavano – per lo meno – prudenza. E così, in non più di dieci anni, dal 1976 al 1986, si concretizzò la “scelta cauta” del non nucleare italiano. Coronata da un fatto positivo – la vittoria netta al referendum “nucleare si/nucleare no” del 1987 e, in negativo, dal peso dell’incidente dell’aprile 1986 a Chernobyl in Bielorussia. Proprio quello che, in qualche modo, si cerca di ricodare oggi.
Dieci anni che segnarono la politica energetica italiana e che condizionarono, in prospettiva, quella di altri grandi Paesi (Svezia, Germania, Giappone, gli stessi USA) che gradualmente usciranno dal “nucleare civile” almeno per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Resta, però, la scelta precedente, quella operata fra gli anni Cinquanta e Settanta dello scorso secolo, con quattro centrali e almeno cinque centri studi/prova in Italia. Scelta pesante che ha lasciato tracce indelebili. I numeri sotto riportati lo evidenziano e, soprattutto, lo conferma la difficoltà a trovare un centro di stoccaggio sicuro in tutto il territorio italiano. Una patata bollente che sicuramente i “giallo-verdi” attualmente al governo nazionale, non vorranno affrontare, rimandando le soluzioni alle classiche “calende greche”. Ma vediamo, con l’aiuto di semplici diagrammi, come stanno le cose…
La situazione attuale (*)
“Impianto: Impianto Bosco Marengo – Bosco Marengo (AL)
Esercente: SO.G.I.N.
L’impianto di Bosco Marengo fu realizzato allo scopo di fabbricare elementi di combustibile nucleare per reattori ad acqua leggera a partire da ossidi di uranio a basso arricchimento. L’impianto è stato esercito dal 1973 al 1995 dalla Fabbricazioni Nucleari S.p.A. (FN), fabbricando combustibili per le centrali nucleari italiane (ricariche della centrale di Garigliano, prima carica e ricariche per la centrale di Caorso, ricariche per la centrale di Trino) e per reattori esteri.
Alla fine del 1995 l’ENEA, al tempo gestore dell’impianto, decise di non proseguire
ulteriormente con le attività di fabbricazione di combustibili nucleari e di procedere alla
disattivazione dell’impianto.
Dal 2003 l’impianto è gestito dalla SO.G.I.N. ed è in disattivazione sulla base del decreto di autorizzazione emanato dal MiSE ai sensi dell’art. 55 del D.Lgs. n. 230/1995 con Decreto Ministeriale del 27 novembre 2008.
Le operazioni di disattivazione hanno riguardato principalmente lo smantellamento dell’intera linea produttiva dell’impianto, con il recupero della maggior parte dei residui di materie nucleari dispersi all’interno dei macchinari, minimizzando così il quantitativo dei rifiuti prodotti. Tutti i materiali rimossi, dopo aver subito uno o più cicli di decontaminazione e caratterizzazione, sono stati collocati in una delle attuali strutture di deposito dell’impianto “locale B106” e poi trasferiti, a partire dal 2012, nel deposito provvisorio “edificio BLD”.
Nel corso del 2017 è stato approvato il Piano Operativo per la attività di trattamento e condizionamento dei rifiuti presenti sul sito.
Sono in fase di completamento le operazioni di adeguamento del locale B106 a deposito
temporaneo, approvato dall’ISPRA sulla base di uno specifico progetto particolareggiato. Tale deposito accoglierà tutti i rifiuti dell’impianto sino al trasferimento al Deposito nazionale. Nel 2018 sono proseguite le attività di trattamento e condizionamento dei rifiuti radioattivi pregressi presso la NUCLECO S.p.A..
Stima dei materiali derivanti dallo smantellamento
Da caratterizzazioni radiologiche preliminari viene stimata la seguente radioattività residua, aggiornata al dicembre 2017, presente nei sistemi, componenti e strutture dell’impianto Bosco Marengo: ‐ Contaminazione: 0,61 GBq.
I quantitativi di rifiuti condizionati che saranno conferiti al Deposito nazionale sono stimati in 477 m3 di rifiuti ad attività bassa e molto bassa, e 3 mc di rifiuti di media attività, risultanti dal condizionamento dei rifiuti presenti nel sito e dei rifiuti prodotti dallo smantellamento delle infrastrutture.
Inventario dei rifiuti radioattivi al 31 Dicembre 2017
In Tabella 6.9 viene presentato l’inventario dei rifiuti radioattivi al 31 dicembre 2017.
Tabella 6.9 – Impianto BM – Rifiuti radioattivi e sorgenti sigillate dismesse
6.15. Impianto: Deposito Campoverde – Milano
6.16. Impianto: Deposito Campoverde – Tortona (AL)
Esercente: Campoverde srl – Milano
La Campoverde inizia la sua attività come reparto di una società commerciale, operante in
Italia fin dai primi anni ’50 nel settore della chimica fine, farmaceutica, alimentare e diagnostica. La divisione si sviluppa nel settore del recupero, smaltimento e trattamento dei rifiuti e dei materiali radioattivi.
Nel 1986 la Campoverde viene strutturata come società autonoma. La Campoverde ha aderito al Servizio Integrato ENEA per la gestione dei rifiuti radioattivi.
L’attestato di adesione, rilasciato dall’Enea nel 1998, è stato rinnovato nel 2000. Nel 2000, a seguito del fallimento della Società Controlsonic, gestisce anche il relativo
deposito sito in Tortona. Nel 2012 è stata completata la bonifica del deposito ex Controlsonic.
Inventario dei rifiuti radioattivi al 31 Dicembre 2017
Le Tabelle 6.15 e 6.16 presentano, rispettivamente, l’inventario dei rifiuti radioattivi (a fine 2017)
“Là suta” un video curato e promosso da Legambiente che puo’ essere di grande aiuto
Proprio nella sera del 26 aprile a Cassinelle, presso Ovada, si è tenuta una concreta rievocazione di quanto è succsso in Italia in campo energetico nucleare, con un particolare attenzione alla situazione – di emergenza – in Piemonte. Siamo, infatti, nella regione con la massima concentrazione di rifiuti nucleari, sia di tipo energetico (come scarti di vario tipo delle centrali di Trino Vercellese, Caorso (PC), di Latina e del Garigliano (CE) ) sia di tipo medicale o industriale. Una situazione di stallo, pericolosissima e foriera di ulteriori complicazioni, che – praticamente -si trascina da anni a Saluggia, a Trino, a BoscoMarengo e a Tortona senza particolari soluzioni all’orizzonte. Il video “La’ suta” lo stigmatizza in modo preciso e documentato. Una ottima proposta da rilanciare in altri centri zona della provincia.
…
(*) informazioni tratte da “ISIN – Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione. Anno 2019”. Documento gentilmente divulgato da Legambiente regionale.
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