Panikkar Raimon, Pensiero filosofico e teologico – Jaca Book

Forse solo in un periodo come questo ‒ all’insegna della reclusione coatta, a causa del corona-virus (Covid-19) ‒ i lettori interessati al pensiero di Panikkar prenderanno la decisione di leggere le ben 672 pagine dell’ultimo ponderoso/poderoso volume della sua Opera Omnia, recentemente dato alle stampe da Jaca Book e intitolato Pensiero filosofico e teologico. Ma ne vale senz’altro la pena, in quanto l’autore intende superare la moderna contrapposizione tra pensiero filosofico e religioso; in quanto: se la riflessione teologica (il discorso su dio e/o sul sacro) oggi non può fare a meno di confrontarsi in primo luogo con la critica di chi si professa ateo, la filosofia odierna è costretta ad affrontare tematiche/interrogativi esistenziali che da sempre appartengono all’ambito d’una autentica religiosità, non certo più riducibile a mera credenza in questa o quella dottrina.

Basterebbero solo le prime pagine di questo libro a renderlo degno della più attenta considerazione, laddove Panikkar afferma, convidisibilmente, che: “La filosofia è tanto la saggezza dell’amore quanto l’amore della saggezza. E un vero amore è non solo spontaneo, ma anche estatico, vale a dire non-riflessivo: non si rivolge verso se stesso con analisi critica. Non ha un perché”. A proposito di quest’ultima considerazione, come non ricordare lo splendido verso di Angelus Silesius: «La rosa è senza perché. Fiorisce poiché fiorisce», col quale il grande mistico di lingua tedesca invita a non andare in cerca d’alcun perché in merito al senso dell’esistenza ‒ né a livello causale né a livello finalistico ‒, in quanto, tale e quale alla rosa, pure la vita non si spiega, non c’è ragione di essa, che semplicemente accade/fiorisce. Così una filosofia che si occupi solo di concetti e teorie scordando la prassi (la vita) non è buona filosofia. Parimenti una religiosità che si trinceri nel suo orticello dogmatico non è vera religione, il cui intento dovrebbe essere semmai quello di aprirsi ad una: “comunione piena con la Realtà”.

Detto altrimenti, riferendoci ai due termini spesso ritenuti inconciliabili di mythos (la parola a-razionale della tradizione: cifra del dire religioso) e logos (la parola della razionalità/logica: cifra del dire filosofico), essi non andrebbero visti come incompatibili/opposti, in quanto ogni discorso spirituale finisce col venir soffocato dal solo impiego del logos; esattamente come una trattazione meramente razionale, se non viene vivificata dalle intuizioni del mythos, si cristallizza in rigide, presuntuose ed algide proposizioni formali. Per superare tale dicotomia Panikkar si augura piuttosto che le diverse peculiarità del pensiero religioso e filosofico non finiscano per venire più assolutizzate in una serie di dualismi sterili (materia-spirito, fisica-metafisica, mondo-dio), né negate (senza alcun dubbio: una cosa è la scienza, altra la mistica), ma riconciliate attraverso quella da lui ritenuta un’auspicabile “unione amorosa” tra mythos e logos.

Ovviamente è impossibile, nel limitato spazio concesso ad una recensione, accennare anche solo concisamente a tutti gli innumerevoli aspetti e temi affrontati in quest’opera, che comprende numerosi scritti ‒ saggi brevi, discorsi accademici e articoli vari ‒ redatti nell’arco di oltre cinquant’anni, i quali vanno: dal testo giovanile F.H. Jacobi e la filosofia del sentimento, fino al senile (ma lucidissimo) Morte e resurrezione della teologia. Notevoli, altresì, sono i due brevi scritti conclusivi, aggiunti come una sorta d’appendice/epilogo, ovvero: Una sinfonia incompiuta ‒ sempre dell’Autore ‒, in ricordo di Martin Heidegger, nonché la poesia Sprache (linguaggio/parola), inviatagli da Heidegger poco prima di morire, quale attestazione non appena della stima nei confronti di Panikkar da parte di uno dei più grandi filosofi della modernità, ma innanzitutto a testimonianza della incontestabile prossimità spirituale tra i due pensatori, entrambi ben convinti di quanto un autentico e propositivo dialogo fra filosofi e teologi possa darsi soltanto nel rispetto reciproco e nella consapevolezza che: “la domanda assolutamente ultima, che rende dubbio e problematico tanto l’interrogante quanto l’interrogazione, non è la somma delle frammentarie domande della scienza, e nemmeno la domanda filosofica sull’Essere, ma la domanda dell’Essere stesso che si chiede perché è”.

Francesco Roat

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