Il prezzo da pagare per essere obiettori di coscienza in Israele

Siamo a conoscenza delle manifestazioni degli israeliani contro il proprio governo per lo scarso impegno riguardo alla liberazione degli ostaggi, considerata da Netanyahu non prioritaria, ma poco si sa degli uomini e delle donne israeliani che si rifiutano di prestare il servizio militare, i cosiddetti
refusenik.
Il Movimento Nonviolento con altre associazioni da due anni sostiene con la Campagna “Obiezione alla guerra” gli obiettori di coscienza russi, bielorussi ed ucraini anche con un supporto legale e ultimamente si è occupato anche degli obiettori israeliani.
Sul sito della rivista Azione Nonviolenta è riportata la notizia di Tal Mitnick, israeliano diciottenne, che è stato arrestato per la prima volta il 26 dicembre 2023, per il suo rifiuto di prestare servizio nell’esercito ed è diventato il primo obiettore di coscienza israeliano dall’inizio della guerra a Gaza. Dopo una
detenzione di trenta giorni è stato nuovamente arrestato il 23 gennaio.
Questa la sua motivazione: “Il mio rifiuto è un tentativo di influenzare la società israeliana e di evitare di prendere parte all’occupazione e al massacro che sta avvenendo a Gaza. Sto
cercando di dire che non è in mio nome. Esprimo solidarietà agli innocenti di Gaza. So che vogliono vivere; non meritano di essere resi profughi per la seconda volta nella loro vita”.
Ringraziamo il giornalista Murat Cinar per il dettagliato articolo sulla situazione degli obiettori in Israele, coraggiosi e determinati, nonostante nel loro Paese siano spesso considerati traditori e simpatizzanti dei terroristi, per noi sono preziosi costruttori di pace. (*)

I conflitti armati e sociali in Medio Oriente sono abbondanti. Ormai la regione è diventata il palcoscenico di una guerra permanente, ma con un profilo bellico ben diverso rispetto al periodo della guerra fredda. Così come le armi non mancano, né per gli eserciti ufficiali né per le organizzazioni armate, non mancano neanche coloro che dovrebbero utilizzarle. Nei paesi che rivestono un ruolo e un potere maggiore nella regione, il servizio militare è obbligatorio e ottenere l’esenzione è difficile, mentre l’obiezione di coscienza, quasi sempre, non è un diritto riconosciuto. Proprio come avviene in Turchia, anche in Israele per coloro che si oppongono all’obbligo del servizio militare è previsto un futuro difficile e travagliato.

Sul numero delle persone che dichiarano l’obiezione di coscienza c’è poca trasparenza e chiarezza in Israele. Secondo l’organizzazione Yesh Gvul (“c’è un limite”), che si occupa delle persone che si rifiutano di prestare servizio militare, solo nel 2023 c’erano più di 150 persone, compresi alcuni alti ufficiali, che avevano dichiarato la loro obiezione a indossare l’uniforme e a prendere le armi. Il fatto che tra il 2022 e il 2023 ci fosse stato un significativo aumento (pari all’80%) del numero degli obiettori di coscienza era stato riferito al parlamento anche da Gil Regev, l’ex capo del personale dell’esercito israeliano.

Ultimamente, soprattutto dal 7 ottobre in poi, leggiamo spesso la parola refusenik quando si parla degli obiettori di coscienza in Israele. Si tratta di un fenomeno che si è manifestato in varie ondate nella società israeliana. Il governo e l’esercito tendono spesso a minimizzare la portata politica di questa scelta, riducendola a una questione personale, talvolta associata a complicazioni mentali. Tuttavia, oggi possiamo parlare di un vero movimento composto da diverse persone con diverse visioni, che si rifiutano di servire nell’esercito israeliano per vari motivi. Con il passare del tempo sono nate varie organizzazioni di diversa natura per sostenere gli obiettori, come ShministimNeturei KartaOmetz LeSarevCourage to RefuseMateh Chomat MagenCombatants for PeaceMesarvot e New Profile.

Una persona che ha preferito rimanere anonima e che fa parte dell’organizzazione New Profile ci presenta così le caratteristiche del servizio militare obbligatorio in Israele: “La leva è obbligatoria per tutte le persone residenti in Israele, anche se non possiedono la cittadinanza israeliana. La religione e il genere non sono determinanti, e anche coloro che possiedono la cittadinanza israeliana ma risiedono altrove sono soggetti all’obbligo di servizio militare. Inoltre, i rifugiati provenienti dal Sudan o dall’Eritrea, residenti in Israele da almeno cinque mesi, possono essere convocati per il servizio militare”.

Quando desideriamo conoscere chi potrebbe essere esentato da questo servizio, possiamo consultare una guida dettagliata sul sito della stessa organizzazione. Essa elenca diverse categorie di esenzione: “Profilo 21” per motivi di salute, esenzioni per le donne religiose, esenzioni per le donne sposate, donne incinte e madri, e l’esenzione per “incompatibilità”, concessa a coloro che hanno trascorso un periodo significativo in carcere militare (a causa del rifiuto ideologico di prestare servizio militare o per qualsiasi altro motivo), per coloro che hanno persuaso il comitato militare della loro vocazione pacifista, per coloro che l’esercito ha stabilito non essere in grado di soddisfare gli “standard di arruolamento”. Alcune di queste forme di esenzione sono disponibili per tutti, inclusi i soldati regolari e i soldati di riserva, mentre altre vie di esenzione sono limitate a specifiche popolazioni o dipendono da altri fattori. Inoltre, sono previste disposizioni per il rinvio dell’arruolamento per i cittadini israeliani emigrati da Israele da bambini e per vari gruppi religiosi. Il rispetto delle regole di questi accordi potrebbe eventualmente portare all’esenzione totale in età successiva.

Sulla carta le condizioni sembrano molto meno severe rispetto a quanto viene riportato dai media. Infatti, per ottenere una visione più chiara, possiamo fare affidamento sulle informazioni fornite dal nostro contatto: “C’è una differenza tra essere esenti ed essere obiettori di coscienza. L’obiezione di coscienza è un atto politico che riguarda coloro che rifiutano di prestare servizio militare. Ad esempio, le vittime di razzismo o le persone provenienti dall’Africa decidono di non servire in uno Stato che le discrimina”. Nella descrizione ufficiale si fa spesso riferimento alla parola “pacifisti”; quindi, è importante comprendere le caratteristiche di questa eccezione: “Esiste un comitato composto esclusivamente da uomini dell’esercito che valuta la posizione pacifista di un ragazzo di 18 anni attraverso un colloquio. Tuttavia, per questo comitato essere contrario all’occupazione non è considerato una posizione da “pacifista”.

Sofia Orr, intervistata dalla piattaforma online turca +90, ha dichiarato che in Israele quasi il 50% delle persone non svolge il servizio militare o lo interrompe prima della conclusione. Si tratta di una percentuale molto elevata, confermata anche dal nostro contatto di New Profile, che ci illustra le conseguenze del rifiuto di svolgere il servizio militare nell’Israele di oggi: “Se dichiari ufficialmente la tua scelta, finisci in carcere e non esiste un criterio chiaro riguardo alla durata di questa detenzione. È possibile essere rinchiusi più volte, con la decisione che spetta all’esercito”. Sofia Orr, nell’intervista con +90, ha annunciato che il 25 febbraio si sarebbe recata all’ufficio di reclutamento per dichiarare la sua obiezione di coscienza. Oggi Sofia dovrebbe essere sotto arresto.

Oltre alla presenza diffusa degli organi di un sistema militare molto radicato sul territorio, in Israele, così come in Turchia (e altrove), quando si parla del servizio militare obbligatorio è essenziale considerare anche la pressione sociale che grava sulle persone che dichiarano la propria obiezione. “La maggior parte delle persone rifiuta di svolgere il servizio militare, ma non lo dichiara. La legge vieta di discutere questo argomento, ad esempio, durante i colloqui di lavoro, ma ci sono comunque conseguenze nella vita di tutti i giorni. Non tutte le opportunità di carriera accademica sono aperte agli obiettori, e molte famiglie non accettano positivamente questa scelta. Se sei economicamente svantaggiato, ovviamente, questo può avere ripercussioni sulla tua vita, oppure, come nel mio caso, se la famiglia non è d’accordo, si rifiuta addirittura di comunicare con te.”

Evyatar Rubin, 20 anni, è un obiettore di coscienza e ha pagato con 4 mesi di reclusione la sua scelta, in un carcere militare. Evyatar racconta la sua storia in un servizio realizzato dall’emittente pubblica France24, redatto in lingua inglese: “In Israele c’è una cultura diffusa secondo cui ogni maschio ebreo deve necessariamente servire nell’esercito. Fanno di tutto per farti pagare la tua scelta. Nel 2022 sono stato incarcerato per un mese e poi, dopo la liberazione, sono stato riarrestato e ho trascorso altri 4 mesi dietro le sbarre. In ogni caso ero convinto, e lo sono tuttora, che Israele non abbia il diritto di bombardare i civili a Gaza e di occupare i territori. Per questo motivo ho deciso di non arruolarmi nell’esercito”.

Proprio come Evyatar, anche Sofia ha deciso di dichiarare la propria obiezione di coscienza perché si oppone alle politiche di occupazione e non desidera far parte della cultura militarista israeliana. “Sono stata etichettata come traditrice. Dopo aver dichiarato la mia obiezione con queste motivazioni, ho ricevuto numerose minacce di violenza, stupro e persino di morte”. In realtà, se si osservano le leggi sulla carta, sembra che ci sia un certo margine per diverse “categorie” di persone che non desiderano svolgere il servizio militare. Tuttavia, quando si affrontano questioni come “la cultura militarista, il razzismo e l’occupazione”, gli obiettori si trovano ad affrontare direttamente l’ostilità dell’esercito.

“Il razzismo, i problemi economici, la violenza che si subisce in caserma nei confronti delle donne e delle persone LGBTQI+, la possibilità di essere uccisi o di uccidere, i danni mentali causati dall’esperienza del servizio militare e l’occupazione sono alcuni dei principali motivi che portano gli obiettori di coscienza a sviluppare una posizione politica”. In questo quadro delineato dal nostro contatto di New Profile le figure sono chiare, ma purtroppo manca il colore.

Anche in Israele, così come in Turchia, ci sono sempre più persone che si oppongono alle politiche di assimilazione, occupazione e militarismo. Questa posizione politica ovviamente non è gradita alla cultura colonialista e bellicista.

“La guerra è una condizione di sofferenza sia per chi vive in Israele sia per chi vive sotto occupazione, ma anche per gli ebrei che risiedono al di fuori di Israele. Oggi, in Israele, ci sono molte persone che si oppongono alla guerra in corso e vengono accusate di “sostegno al terrorismo”. Tutto sembra funzionare perché diverse realtà traggono profitto da questa guerra, non solo in Israele. La guerra è “utile” per chi vende gas, petrolio, armi e anche per chi promuove politiche islamofobiche”, così ci racconta il nostro contatto di New Profile, esprimendo la sua visione su questa tragedia in corso a Gaza.

Quando si tratta di individuare eventuali soluzioni per superare questa cultura di guerra e distruzione, pronuncia le seguenti parole: “L’occupazione e la guerra difficilmente finiranno se non ci sarà una collaborazione tra i palestinesi e le persone che vivono in Israele e si oppongono alla guerra. Oggi questa possibilità è più fattibile all’estero. Lavoro e collaboro con persone antimilitariste e pacifiste provenienti da diverse parti del mondo fin dall’età di 20 anni, compresi i palestinesi. Tuttavia, sia in Israele che in Palestina persiste una forte e profonda ostilità e paura reciproca. Chi desidera promuovere il dialogo deve affrontare una forte pressione sociale. Il desiderio di vendetta e l’odio sono diffusi. Se non lavoriamo insieme, questa guerra non finirà e l’occupazione non cesserà”. (**)

Foto in copertina dal profilo Facebook di “New Profile”

Murat Cinar, giornalista esperto di Turchia

(*) La presentazione dell’articolo di Murat Cinar l’abbiamo lasicata alla coportavoce dell’ associazione per Pace e la Nonviolenza di Alessandria, Nicoletta Vogogna. Ha saputo promuovere e integrare al meglio l’articolo di Murat Cinar.

(**) L’originale dell’articolo si trova su: https://it.gariwo.net/magazine/diritti-umani-e-crimini-contro-lumanita/il-prezzo-da-pagare-per-essere-obiettori-di-coscienza-in-israele-27110.html

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