Privacy e controllo sociale

Nella discussione sulle varie misure ipotizzate per contrastare la diffusione del Covid 19 compare regolarmente la “preoccupazione” che le misure non rispettino i regolamenti previsti per la protezione dei dati personali più conosciute come norme sulla “privacy”, norme sul diritto alla riservatezza. Oltre che di garanzie relative al trattamento dei nostri dati affidati ad enti o società, si tratta anche del diritto del cittadino a che non vengano diffuse informazioni personali, a mezzo stampa o tramite i media senza l’autorizzazione dell’interessato, salvo la preminenza del “pubblico interesse”.

Non voglio certo mettere in dubbio il diritto alla riservatezza per i dati riguardanti la salute, le relazione personali o tutti i dati che, se divulgati, possono umiliare persone in situazioni di disagio o dati che, se finiscono nelle mani sbagliate, possono essere usati in modo fraudolento.

Ma quali altre informazioni riguardanti i nostri concittadini devono essere riservate? Dopo l’alluvione che colpì Alessandria nel 1994, la maggioranza che amministrava il Comune decise di non rendere accessibili i dati relativi ai rimborsi ottenuti dai cittadini che avevano subito danni. Criticai la scelta sostenendo che rendere pubblici tali dati non equivaleva a pubblicare l’elenco delle elargizioni ai poveri fatte dalla Caritas, ma, trattandosi di rimborsi statali richiesti  per i danni subiti, era giusto che i concittadini fossero in grado di sapere e farsi un opinione. Resto convinto della correttezza di quella posizione.

Esigiamo ormai che tutto ciò che ci riguarda non deve essere conosciuto dagli altri membri della comunità da cui però pretendiamo solidarietà e protezione. Ci sentivamo meno liberi quando i giornali pubblicavano i nomi dei promossi nelle varie scuole o l’elenco dei contribuenti con i dati delle somme pagate per le imposte comunali? ( Il Piccolo)

L’argomento è delicato e i confini fra interesse pubblico a conoscere per farsi delle opinioni sui concittadini e il diritto alla riservatezza sono difficili da tracciare. Occorrerebbe un trattato e non poche righe per fare chiarezza su un argomento di tale complessità.

Il fatto che tutti potessero sapere quanto un vicino pagava di tasse e spettegolare in proposito aiutava a combattere l’evasione? Non ho una risposta certa, ma ritengo che vada fatta qualche riflessione domandandoci se tutte le soluzioni normative che forse egoisticamente ci sembrano giuste, in realtà non mettano in crisi i meccanismi che hanno contribuito alla creazione di comunità “morali”.

Per stimolare la riflessione riporto alcuni brevi passi di alcuni studiosi che si sono occupati dell’importanza del pettegolezzo nel “mantenere in riga gli individui”

Storia naturale della morale umana
Michael Tomasello – Raffaello Cortina Editore

<Gli esseri umani moderni si sono perciò conformati alle norme sociali per almeno tre ragioni immediatamente prudenziali: per essere sicuri che altri potessero identificarli come membri interni al gruppo, per coordinarsi con il gruppo, per evitare le punizioni, comprese le minacce alla propria reputazione(Bicchieri, 2006). E per gli esseri umani moderni le minacce alla reputazione erano amplificate geometricamente tramite il gossip, in un linguaggio convenzionale, sicché anche se si era colti in flagrante a imbrogliare da una sola persona per una sola volta, la cosa poteva avere effetti disastrosi poiché tutti l’avrebbero saputo subito. La minaccia del gossip riguardava la reputazione puramente pubblica di un individuo, ma in un mondo culturale la reputazione pubblica è tutto. L’effetto è cosi forte che il semplice fatto di essere osservati tiene in riga la maggior parte delle persone per la maggior parte del tempo, come si evince da molte ricerche svolte sugli esseri umani contemporanei in contesti molto diversi tra loro: …..

Baumard e collaboratori (2013, p.65) attribuiscono una speciale importanza alla reputazione e al gossip nel mantenere in riga gli individui:…>

Menti Tribali
Perché le brave persone si dividono su politica e religione
Jonathan Haidt – Codice Edizioni

<Tuttavia, appena si esce dalla società secolarizzata occidentale risuonano altri due idiomi morali. Il primo è l’etica della comunità, basata sull’idea che le persone siano innanzitutto e soprattutto membri di entità più vaste come le famiglie, le squadre, gli eserciti, le aziende, le tribù o le nazioni. Queste entità non sono soltanto la somma dei loro membri; sono reali, contano e vanno tutelate, e chi ne fa parte deve ricoprire il ruolo che gli è assegnato. È per questo che molte società sviluppano concetti morali come dovere, gerarchia, rispetto, reputazione e patriottismo. In queste società l’idea, tenacemente sottolineata in Occidente, secondo cui le persone devono essere libere di progettare la propria vita e perseguire i propri fini appare egoistica, pericolosa e destinata a minare il tessuto sociale e a distruggere le istituzioni e le entità collettive da cui tutti dipendono.

Non è che la natura umana fosse improvvisamente diventata egualitaria: gli uomini cercavano ancora di affermarsi gli uni sugli altri, se potevano farla franca, ma la nascita del pettegolezzo e delle armi aveva creato quelle che Boehm chiama «gerarchie a dominanza rovesciata» in cui la truppa si coalizza per affermare la propria supremazia e tenere sotto controllo gli aspiranti maschi alfa (un’evoluzione straordinariamente simile al sogno marxista della dittatura del proletariato35). Il risultato è una precaria condizione di egualitarismo politico che si instaura, attraverso la cooperazione, tra creature congenitamente predisposte alla gerarchia. È un eccellente esempio di come il termine innato si riferisca a una versione iniziale, a una sorta di prima bozza, della mente umana, mentre la versione definitiva può essere anche molto diversa: è un errore, perciò, guardare ai cacciatori-raccoglitori di oggi e dire: “Ecco la vera natura umana!”.

Questa transizione politica all’egualitarismo fu un vero e proprio salto quantico nello sviluppo delle matrici morali dei gruppi. Le persone si trovarono avviluppate in una fitta rete di norme, sanzioni informali e in qualche caso punizioni violente. Coloro che sapevano navigare meglio in questo nuovo mondo e conservare una buona reputazione erano premiati dalla fiducia, dalla collaborazione e dal sostegno politico del gruppo; chi invece non sapeva rispettare le regole o faceva il bullo finiva per essere emarginato, espulso o ucciso – ed eliminato così dal pool genetico. Tra geni e prassi culturali (come l’uccisione collettiva dei devianti) vi fu un’evoluzione congiunta.

Il risultato finale, dice Boehm, fu un processo che è stato anche definito di “autoaddomesticamento”: proprio come gli allevatori riescono a ottenere, attraverso la selezione, animali più arrendevoli e docili, i nostri progenitori cominciarono a selezionare (non intenzionalmente) nell’ambito del proprio gruppo individui capaci di elaborare matrici morali condivise e di vivere in modo collaborativo nel quadro di esse.>

Il declino della violenza
Steven Pinker – Mondadori

<Noi solidarizziamo con, ci fidiamo di, e proviamo gratitudine per coloro che è probabile cooperino con noi, e li ricompensiamo con la nostra cooperazione. E ci arrabbiamo o decretiamo l’ostracismo contro coloro che è probabile ci imbroglino, rifiutando a essi la nostra cooperazione o punendoli. Il livello di virtù di una persona è una scelta fra la stima che si conquista con una reputazione di cooperatore ben coltivata e i guadagni illeciti dell’inganno furtivo. Un gruppo sociale è un mercato di cooperatori di livelli diversi di generosità e affidabilità, e le persone si pubblicizzano come generose e affidabili più che possono, il che a volte significa un po’ più generose e affidabili di quanto siano in realtà.

La cooperazione umana ha un’altra caratteristica. Grazie al linguaggio, non siamo tenuti ad avere direttamente a che fare con questa o quella persona per sapere se tende a cooperare o defezionare. Possiamo chiedere in giro e scoprire come si è comportata in passato. Questa reciprocità indiretta, come la chiamano i teorici dei giochi, attribuisce un peso tangibile alla reputazione e al «si dice».>

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