I ragazzi della Via Pal (di Alessandria)

I ragazzi della Via Pal (di Alessandria)

“C’era una volta, ora non c’è più”, un po’ come il “treno dei desideri che all’incontrario va” e della mitica (milanese) Via Gluck. Anche noi avevamo una periferia (anzi, tante periferie “vissute”, pensando agli Orti, al Cristo, all’area di Piazza santa Maria di Castello…) di cui andare fieri. Luoghi, o “non luoghi” in cui si viveva, si dormiva, ci si alzava presto per andare a scuola, in cui si andava a comprare il pane, si correva in bicicletta, si giocava a pallone,…raramente – data l’età – in cui ci si attardava nei bar. Erano i primi anni Sessanta e le stagioni erano “le stagioni”. D’inverno un bel sessanta centimetri di neve, almeno una volta, serate terse con luci brillanti da far concorrenza alla stella cometa, estati roventi ma allietate dalla sirena di Borsalino, dall’aria aperta, allora, pulita e da tanto spazio a disposizione. E molto tempo per stare con gli amici. Sì, con gli amici, specie in parrocchia – quella con l’entrata dal portone dalla Via Pal (1) – proprio dirimpetto a dove abitavo io. D’altra parte ero (un pochino) famoso. Nel negozio di “Commestibili” dei miei ci passavano praticamente tutti i “sodali” di giochi, la perpetua Nilde (per chi se la ricorda), i vari don che si sono succeduti, a cominciare dal parroco De Martini, la famiglia del sacrestano, i vicini operai e impiegati dell’OLVA (2). E, ancora, gli altrettanto vicini operatori comunali del Magazzeno, sempre nella vecchia Via Pal, sempre nello stesso (semidiroccato) edificio da poco passato in proprietà ai Guala. Una via piena di professionisti, di geometri (proprio così, …plurale di geometro…), di medici, di infermieri (già allora funzionava egregiamente il vicino centro ospedaliero “Luigi Patria” ) , di insegnanti della vicina Scuola Elementare “Galilei” e della nuova “privata” delle Suore della “Villa delle Rose” (ora Via Galvani).

Un mondo a parte che partiva dai passaggi a livello di piazza Mentana (non c’era assolutamente traccia di “sottopasso”), si allargava verso la “Borsalino”, fin quasi alla Stazione ferroviaria e che, dall’altra parte arrivava fino alla SILA (dove oggi c’è il bar Koela) e agli impianti dell’Enel. Uno spazio di vita pulito, semplice, non chiassoso, fatto di poche cose, di cinema all’aperto, addirittura due (uno, lo “Splendor” a fianco di piazza D’Annunzio, l’altro – l’”Aurora” proprio a fianco della Chiesa di Nostra Signora del Suffragio, grande edificio religioso costruito negli anni Trenta dal prelato Don Milone), di lavoro, di riposo domenicale, di televisione, per chi ce l’aveva.

La grande chiesa citata, d’altra parte, vedrà all’opera ottimi sacerdoti come Don Ferruccio, Don Ugo Gho, Don Angelo Campora, Don Giovanni Cossai, Don GianPiero Armano… e spero di non dimenticare nessuno. Ah…c’era anche il “mistico” Don Giovanni, figura smunta, bionda, boreale, di pochi parole… alter ego degli altri citati prima… più disponibili alla battuta e al dialogo. La “copertura”, come sempre, era di Don Antonio De Martini, decano di lungo corso della Via Pal e delle circonvicine Via Trento e Pacinotti. Sapeva tutto o quasi di tutti, aveva le informazioni giuste e le conoscenze che contavano… ma non lo faceva vedere. Era troppo compito e serio nel suo ruolo di pastore, specie in presenza di un centinaio (sì, proprio di un centinaio) di marmocchi vocianti inclini al gioco – dal calcio, al basket, alle bocce, ai giochi da tavolo, al ping-pong al calciobalilla – dispersi fra il campetto lungo Via Trento e le sale al coperto di Via Pacinotti. Un punto di rifermento fisso per poter passare qualche ora in relax senza l’assillo di genitori, maestri e professori.

C’erano anche le lezioni di catechismo, come le “riunioni” dei giovani di Azione Cattolica ma, almeno per quanto ci riguardava, la “parrocchia”, l’ “andare dai preti” era altro, era libertà, svago, socialità. Anche una precoce forma di confronto con realtà sociali diverse…. visto che, come potrete leggere nella seconda parte del testo a firma di Angelo Campora, nel gioco, nell’agonismo sincero, non c’è povero o ricco, non c’è figlio di bottegaio o professore, non c’è meridionale o settentrionale, nero , bianco o giallo (con noi anche due somali e un filippino)… c’è semplicemente schiettezza. Che significa? Molto concretamente … se eri “scemo” (o se “facevi lo scemo” o il “furbetto”) te lo facevano capire…Dapprima con qualche battuta e una risata…poi con un chiaro “isolamento”. Se non bastava….arrivava uno schiaffone o un pugno ben piazzato. Niente di che. Così si cresce.

Purtroppo in quel tratto di Via Pal verso Piazza Mentana ora l’entrata del negozio “Cooperativa dei Ferrovieri – rivendita n.2” non esiste più. I tre gradini in travertino che mi videro per anni chino (…ma non troppo) sui libri di testo delle Scuole dell’Obbligo, sono stati assorbiti all’interno di un anonimo salone di un nuovo proprietario, così come il locale del grande frigo è diventato uno sgabuzzino e il corridoio di tante partite di calcio con una pezza di tela…un tristo secondo bagno. Ci sono stato nel 2002, perché – …i casi della vita – la moglie del proprietario era la zia di un’alunna del Liceo “Saluzzo-Plana”, proprio quello in cui mi trovai ad insegnare. Ma lì, appena svezzato, mi ci trovai a vivere io…E i ricordi non si cancellano.

Ma torniamo a noi… Allora… Una sera d’inverno, penso di gennaio pieno, con il termometro sottozero e una leggera neve a fiocchi, mi trovai – seienne – a dover raccogliere dati sul “Concilio Vaticano II” per una “parolona” di cui non sapevo nulla: una ricerca. Attraversai la strada con cappottino e berretto, rigorosamente da solo, dato il lavoro dei genitori e bussai alla porta della Canonica che dà – ancora – sulla mitica Via Pal . Spiego “la bisogna” ad una sempre disponibile “perpetua” lunga, magra e simpatica (Nilde) e, dopo poco, ho bell’e confezionata la ricerca, con tanto di immagini di Papa e Cardinali appiccicati con la “Coccoina”. Il testo era “misto”, qualche pezzo di ritaglio della “Domenica del Corriere” o dell’ “Osservatore Romano” e qualche mia riga in stilografica blu. Un successone. Oppure, coinvolgendo nei ricordi una persona da poco scomparsa e a cui tutti dobbiamo qualcosa… E’ ancora forte l’impressione per la partecipazione che mise Don GianPiero Armano, viceparroco alla prima nomina, nell’impegnativo incarico di “allenatore della squadra di calcio dell’Aurora”. Preciso e puntuale, competente nel far eseguire gli esercizi di riscaldamento e di allenamento, puntigliosissimo nello svolgersi delle partite, con tanto di bottigliette (di plastica bianca, dura, scagliate distanti). Più volte mi fece fare l’ala sinistra e mi esortava a correre e a seguire l’azione… Finchè, in una trasferta a Casale M.to (a soli 15 anni) persi metà dente incisivo per una gomitata. Cosa che non comunicai subito e che tenni per me per un giorno intero. Ma il danno era evidente e, data la reazione, diciamo, “nervosetta” di mia mamma…La mia carriera agonistica finì lì. Non quella di sostenitore dell’ Aurora e del suo allenatore, che ebbi modo di accompagnare fino a vent’anni. Andando qualche volta ad occupare il ruolo, molto meno pericoloso e faticoso, di portiere. Numerosissimi sono gli amici che potrei ricordare di quel gruppo. Persone che conosco ancor oggi e con cui intrattengo volentieri lunghi discorsi. Cosa per me rivelatrice di quanto sia “vicino” al mio interlocutore, visto che – con molti “nuovi” amici – scambio a malapena un buongiorno/buonasera.

E poi ci fu Angelo, Don Angelo Campora. Originario di Capriata, morto a soli 44 anni all’inizio degli anni Novanta. Sempre attento alle esigenze del prossimo, sempre disponibile a scambiare due chiacchiere, sempre pronto – e qui viene il bello – ad esporsi quando tutti stavano nascosti nel mucchio.

Sono stati anni di frequentazioni assidue, di “messe” celebrate in casa, “vissute”, di visite al limite del lecito a famiglie allo sbando, senza casa, senza vestiti, senza nulla. Pure in montagna ho avuto modo di apprezzarne l’affetto, la competenza e l’amicizia. Stava alzato fino alle tre di notte se qualcuno non era ancora ritornato dalla discoteca di Valtournanche, chiudeva un occhio, anzi tutti e due, quando si verificavano fatti poco piacevoli che riguardavano una parte dei marmocchi di cui sopra: incursioni notturne in cambusa con latrocinio di salami e forme di formaggio, scherzi – a volte di cattivo gusto – che segnavano le permanenze montane a metà fra una colonia spensierata ed una villeggiatura di gruppo. Un profilo positivo che si manifestò in tutta la sua forza con l’istituzione del “Gabbiano” (3), realtà forte e propositiva quant’altre mai. Una vita di sacrifici e di slanci che, forse, hanno consunto prematuramente una fibra pur fortissima.

Di che pasta era fatto Angelo lo potete constatare dalla lettura del suo accorato appello al Vescovo di allora (1969) mons. Almici (4). Un inno alla “chiesa dei poveri”, alla scelta radicale di campo. Un segnale di vita ecclesiale che molti hanno, per fortuna, in seguito ripreso. Un testo di cui abbiamo avuto l’autorizzazione alla pubblicazione e che presentiamo con enorme piacere. Una “lettera” scritta di getto, che ha cercato – con successo – di superare remore curiali alla sua definitiva ordinazione sacerdotale.

Per ora fermiamoci qui ad una prima puntata a cui, chissà, ne potrebbero seguire altre. Sempre sul “fronte della Pista.”

Reverendo Monsignor Vescovo,

 

vorrei entrare subito nel vivo, esponendoLe un po’ le mie idee di fondo. Devo subito scrivere questo: Cristo è per me qualcuno vivo, presente, che chiede che continuamente io entri in rapporto con Lui, ma nello stesso tempo mette un po’ in subbuglio la mia vita. Da quando la mia fede in Gesù è diventata personale e adulta, devo dire sinceramente che in me c’è stato uno sforzo per migliorarmi e un impegno serio di preghiera. La strada è ancora lunga e impegnativa prima di poter dire a me stesso di essere soddisfatto, ma questo, credo, non avverrà mai nella vita.

Sono convinto che le cose attualmente non vadano troppo bene: cioè mi sembra che sia giunto il tempo di tentare con coraggio nuove esperienze; è vero, è un rischio, mail rimanere fermi vuol dire andare indietro, perché il mondo cammina e la Chiesa deve fare la stessa cosa.

Faccio un esempio: la parrocchia; dato che, se a Lei sembrerà giusto e opportuno ordinarmi, andrò in una parrocchia ad impegnarmi. Sono convinto che ancora oggi la parrocchia è un ente burocratico e amministrativo (è vero, in molti luoghi si è cercato un po’ di cambiare). L’impostazione che a me sembra giusta e che mi sembra confacente con esigenze attuali è questa: la parrocchia dovrebbe essere l’insieme di tanti piccoli gruppi o comunità, quindi il compito del prete è quello di creare e unire questi gruppi (quindi mi sembra che le strutture parrocchiali dovrebbero essere ridotte al minimo: uno chiesa e un salone).

Il fatto del prete che aspetta che la gente venga a parlare con lui mi sembra superato: è necessario che il prete si immerga totalmente nella sua parte; continuamente girare, conoscere gente, (e) per portare la con la Parola di Dio. Anche questo è importante per me: oggi è necessario evangelizzare prima di tutto, e per realizzare questo compito bisogna inventare nuovi metodi e nuovi modi di incontro con la gente.

La parrocchia dovrebbe essere l’insieme di questi gruppi che si mettono in ascolto della Parola, che celebrano l’Eucarestia e gli altri sacramenti, ma deve essere una comunità viva, che entra nei problemi del mondo.

Oggi, mi sembra non troppo giusto parlare delle parrocchie attuali come comunità quando ci sono ancora ricchi e poveri nella stessa chiesa, quando alla stessa mensa si accostano chi compie le ingiustizie e chi le subisce, ma quello che è più grave oggi è che non si faccia nulla per togliere queste situazioni;al massimo si fa un po’ di elemosina “per i poveri della parrocchia”. Questa situazione non mi sembra giusta e mi pare necessario doverla smascherare e superare.

E’ vero, quando si parla di povertà, il primo esame di coscienza lo devo fare io stesso (e riguardo alla povertà non mi sento per nulla tranquillo in coscienza), però ugualmente, siccome faccio parte della Chiesa, mi sento interessato a guardare anche alle strutture parrocchiali, diocesane ecc. per controllare se sono nella linea della povertà; e anche questo mi sembra un discorso da farsi oggi e con coraggio, affinchè la Chiesa possa essere credibile.

Un’altra cosa mi sembra importante: che si tenga conto, quando si mettono i preti nelle varie parrocchie, anche dell’amicizia. Cioè, quando c’è un gruppo di preti che vanno d’accordo, che vorrebbero lavorare in comune ecc., mi sembra giusto cercare di metterli tutti in una certa zona, in modo che possa essere favorita e incrementata questa loro amicizia. Non si possono più spostare i preti un po’ come dei burattini, ma bisogna cercare di tener presente il loro carattere, le loro qualità ecc. e anche cercare di chiedere loro qualche indicazione.

Non so se questo è già stato realizzato in passato ma, se sono con un parroco con cui posso essere in piena confidenza, se nelle parrocchie vicine ci sono miei amici, o meglio (se) si potessero realizzare piccole comunità preti, per me personalmente tutto questo è un vantaggio in tutti i sensi.

Il discorso che faccio riguardo il sacerdote è questo: ogni epoca ha i suoi modi di realizzare il sacerdozio di Cristo, anche oggi bisogna trovare un modo adatto o, meglio, non penso che vi sia un modo unico di incarnare l’unico sacerdozio di Cristo (es. “il prete che lavora”, “il prete che si impegna in gruppi particolari come gli Scouts o l’Azione Cattolica”, “il prete che vive in parrocchia” ecc.); cioè, il mio è un discorso pratico riguardo al sacerdozio, cioè riguardo ai modi di esercitare il sacerdozio. Anche per questo mi sembra importante e necessario saper valorizzare, da parte del Vescovo, le doti e le aspirazioni di ciascuno.

Di queste cose sono realmente convinto, formano un po’ la base della mia mentalità e del mio modo di agire. Mi è sembrato giusto esporLe queste mie convinzioni.

Spero che questo momento di dubbio nei miei confronti possa essere superato; in questo periodo ho pregato molto perché lo Spirito Santo possa guidare Lei e me sulla strada giusta. F.to Angelo

 

.1. Via Pal … cioè Via Palermo, ad Alessandria. Quartiere Pista. Parte da Piazza Mentana e arriva fino ai campi, dove oggi si trova il Supermercato “Panorama”. Ben fuori dalla “cerchia muraria” storica che, come è noto, arrivava al massimo a Corso Cento Cannoni e a Piazza Garibaldi.

.2. OLVA – Officine Luigi Volante Alessandria. Sita in Via Pacinotti, con grande entrata in corrispondenza dell’angolo con via Galilei. Ora “cancellata” dagli edifici ideati dall’arch. Krier. Stesso luogo. Interessante ciò veniva prodotto e che viene riportato in una ristampa anastatica: “Fabbrica ACCESSORI per SERRAMENTI. Brevetti OLVA. Catalogo n. 4. Titolo:  Fabbrica ACCESSORI per SERRAMENTI. Brevetti OLVA. Catalogo n. 4. Argomento:   Piemonte-Aziende-Alessandria Autore:  Officine Luigi VOLANTE ALESSANDRIA Anno stampa:  1954 Prezzo:  50 euro In-4° (cm. 30×21,3). pp. 184 pp. di cui 96 stampate; con 14 FOTO b.n. di ingressi di edifici anni ’40-’50 (impianti e comandi di apertura a distanza) e un migliaio di DISEGNI (spesso bicolori) di DISPOSITIVI (chiusure, maniglie maniglioni perni chiavistelli bracci nottolini aprisportelli riduttori cerniere, porte scorrevoli; apparecchiature compensatori serrature; chiudiporte idraulici; frena-finestre, fermaporte).

.3. Il Gabbiano Onlus . L’Associazione Comunità “Il Gabbiano” onlus opera in Piemonte e Lombardia dal 1983 per la promozione e la tutela della dignità della persona, in particolare nei casi in cui sono presenti problemi di tossicodipendenza e alcolismo.

Nel corso degli anni, per venire incontro alle crescenti richieste di intervento nell’ambito del disagio sociale, Il Gabbiano ha esteso i suoi servizi all’accoglienza di donne e uomini malati di AIDS e di giovani in minore età a grave rischio di marginalità sociale.

L’Associazione è iscritta nella Sezione Sociale del Registro Generale Regionale del Volontariato: sul piano giuridico è una Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS), riconosciuta, tra l’altro, dall’Ufficio Giustizia Minorile del ministero della Giustizia per il collocamento di minori in situazioni penali.

Il Gabbiano fa parte del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA), del Coordinamento Italiano Case Alloggio per persone malate di AIDS (CICA), del Coordinamento Regionale Case Alloggio per persone malate di AIDS (CRCA), del Coordinamento Enti Ausiliari della Lombardia (CEAL) ed è riconosciuto a livello regionale come Ente Ausiliario Gestore di strutture di riabilitazione e di reinserimento di donne e uomini con problemi di tossicodipendenza e di alcoldipendenza.

Dal 2001, tutte le unità di offerta per le dipendenze sono accreditate come erogatrici di servizi dalla Regione Lombardia.

La nostra buona causa Da oltre 35 anni l’Associazione Comunità il Gabbiano onlus crede che le persone che si trovano, ad un certo punto della loro vita, in condizioni di fragilità e solitudine vadano accolte, sostenute e accompagnate in percorsi individualizzati di responsabilizzazione, riscatto personale e cittadinanza, nel rispetto dell’individualità irripetibile di ognuno. Alla base del nostro lavoro c’è la PERSONA nella sua interezza e nella sua fragilità. Il nostro lavoro quotidiano consiste nel riannodare il tessuto lacerato che segna spesso i percorsi di vita di chi è in difficoltà. L’esperienza ci ha convinti che dalle difficoltà personali si esce insieme: senza un terreno fertile il seme della speranza non riesce a schiudersi in un nuovo progetto di vita.  In questi anni il territorio valtellinese ci ha permesso di portare avanti questo nostro tentativo, tanto che recentemente ci stiamo impegnando nello sviluppo di progetti di agricoltura sociale con una particolare attenzione all’integrità del territorio, alla manutenzione e al recupero di spazi faticosamente lavorati nei secoli, oggi a rischio di abbandono, nella consapevolezza che ecologia umana ed ecologia naturale devono camminare insieme. L’ Associazione Comunità Il Gabbiano onlus si impegna per l’inclusione sociale attraverso la realizzazione di progetti innovativi e sperimentali in tema di cura, residenzialità, socialità e inserimento lavorativo, accompagnati da un’opera diffusa di informazione e comunicazione. Lo facciamo in Valtellina, Alto Lario, Lecchese, Lodigiano e a Milano. 8 le strutture di accoglienza 13 gli appartamenti più di 330 le persone accolte stabilmente, in un anno, in percorsi di cura e inserite in processi strutturati di accompagnamento verso l’autonomia. 24 ore su 24. Accogliamo uomini e donne bisognosi di cure continue, ragazzi in fuga da paesi in guerra, famiglie che hanno perso la casa. Lo facciamo in comunità terapeutico-riabilitative, casa alloggio, comunità per minori, appartamenti. Promuoviamo attività lavorative in ambito cooperativo volte all’accoglienza di queste persone senza dimenticare l’importanza della promozione e della realizzazione di iniziative socio-culturali finalizzate all’abbattimento dei pregiudizi e lo sviluppo del territorio che da sempre ci ospita. Produciamo innovazione sociale, sperimentazione, sviluppo e benessere del territorio, coesione sociale.

.4. Difensore strenuo delle caratteristiche originarie e autentiche del movimento cattolico, don Giuseppe Almici divenne ben presto uno dei riferimenti della Resistenza bresciana, trasformando la sua casa e la sede dell’Azione cattolica da lui guidata in luoghi chiave del ribellismo partigiano.

Nato nel 1904, fu ordinato sacerdote a 24 anni dal vescovo Giacinto Gaggia. La sua attività pastorale ebbe inizio a Carrodiponte. Nominato, nel 1937, insegnante pastorale nel seminario bresciano, assunse, nello stesso periodo, la guida dell’Azione cattolica, che trasformò in un centro di resistenza morale al regime fascista, ormai sempre più oppressivo verso le libertà individuali e quelle delle associazioni cattoliche. Dopo l’8 settembre svolse un ruolo di rilievo anche nel definire, dal punto di vista dottrinale e teorico, il ruolo dei cattolici nel movimento partigiano, scrivendo, in collaborazione con don Giacomo Vender e padre Luigi Rinaldini, il noto Manifesto della Resistenza cattolica.

Si spese molto, mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità, per evitare rappresaglie e violenze durante i giorni terribili e drammatici della liberazione della città.

Nel dopoguerra il suo impegno non solo non si spense, ma, anzi, lo vide ancora più attivo nella ricostruzione morale e sociale di Brescia. Operò ancora nell’ambito dell’Azione cattolica ma stimolò anche la nascita delle Acli e della Cisl.

Dal 1961, poi, fu vescovo ausiliare di Brescia lavorando accanto a monsignor Tredici. Partecipò a tutti i lavori del Concilio vaticano II e, nel 1965, fu nominato vescovo di Alessandria.

Nel 1980 si ritirò a Zone dove attese la morte che la colse nel 1985 a Brescia.

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