Solo poche settimane fa si trovava su “quel treno per Yuma” (cioè per Kiev) con Macron e Scholz. Ancorché non se ne condividano i contenuti (l’Europa deve andare verso un maggior coordinamento di politica estera e di difesa e non verso l’aumento delle spese militari) l’idea di presentarsi insieme a Kiev come referenti dell’Europa e tentando di definire una linea comune era una iniziativa giusta e se Draghi avesse avuto e avesse una sincera dedizione all’interesse nazionale e a quello dell’Europa, nonché un minimo di vera ambizione politica (che evidentemente non ha, parliamoci chiaro) avrebbe lottato col coltello fra i denti per mantenere quella posizione conquistata da membro del già ahinoi abortito triumvirato europeo (dato che su quel treno c’era lui e non il premier spagnolo per esempio) e non mandato a gambe all’aria il suo stesso governo poche settimane dopo rifiutandosi di mediare con quello che era il principale gruppo parlamentare fino alla scissione di Di Maio. Quello che al suo posto avrebbe fatto il tanto bistrattato Giuseppe Conte, il parvenu odiato da tutti i “professionisti della politica” (rivelatisi come sempre dei cialtroni ben poco professionali) ma a cui il mestiere di presidente del consiglio invece piaceva assai, e aveva dimostrato delle improvvisate ma reali doti di mediazione politica, capace di tessere con pazienza e camaleontismo, spaziando con abilità fra moroteismo e progressismo, trovandosi per caso a capo di una banda di simpatici inconcludenti come i 5S – simpatici naturalmente adesso che sono in disgrazia ma che con l’arroganza tipica dell’antipolitica si sono rovinati da soli (*). Scalzato da una bieca congiura di palazzo ordita dai soliti personaggi a noi noti per portare al governo uno che invece a Palazzo Chigi ci è andato controvoglia, rispondendo alla “chiamata” della classe dominante a cui non poteva sottrarsi, essendone il più fedele e prestigioso esecutore, con l’unica prospettiva in cambio (l’atteso guiderdone) di salire a breve al Quirinale poi abortita in modo catastrofico per i cattivi consigli dei suoi mediocri amici intorno. Dunque tutti i suoi referenti gli chiedevano pressantemente di sostituire Conte al governo (sbagliando e mettendo l’ex banchiere in difficoltà in una posizione troppo poco sua) per mettere le mani sul malloppo del PNRR, ma era chiaro che stava andando a fare qualcosa che non era lontanamente il suo mestiere a partire da quella grottesca, troppo zelante, richiesta di fedeltà euro-atlantica durante le consultazioni di febbraio 2021 che Moro, Fanfani e Andreotti avrebbero semplicemente data per scontata. Ed è poi ancora del tutto chiaro che gli errori che hanno portato alla crisi sono stati commessi da lui e da certi ambienti del PD che lo hanno malconsigliato. L’ideona di spaccare i 5 Stelle concedendo la patente di statista e responsabile alla nullità politica Di Maio (ma solo una classe dirigente completamente marcia e fuori dalla realtà può dare il “green pass” a una simile operazione) e poi di umiliare i 5 Stelle residui non dando di fatto nessuna reale rassicurazione sui punti da loro posti, ha portato evidentemente alla crisi. Almeno una forte rassicurazione sul reddito di cittadinanza, che va sicuramente migliorato ma non nel senso punitivo prefigurato sia dalla maggioranza di governo uscente che dalla opposizione fasulla della Meloni (la carta di riserva dell’establishment). Sapendo anche che tutte le proposte peggiorative del rdc sono state definite da diversi esperti (come Chiara Saraceno) del tutto inapplicabili oltre che socialmente odiose. E non è forse quello del salario minimo un tema centrale di dignità sociale che merita un impegno rilevante da parte di chi si trova nei panni dell’uomo di stato in un momento di crisi e incertezza? La seconda ideona è stata di Draghi medesimo: dopo il niet al Cinque Stelle, che fa il nostro uomo? attacca la Lega sulla politica estera e fa saltare per aria il centrodestra, che a quel punto si incarta a sua volta e pone di fatto fine al governo. Quindi Draghi si sente in realtà in difficoltà per le sfide autunnali e preferisce darsela a gambe, così dopo il braccio di ferro con i Cinque Stelle silura pure i suoi alleati di destra e il governo evidentemente viene giù. Quante volte noi critici del governo cosiddetto di “unità nazionale” a forte marca tecnocratica abbiamo detto che la politica è una bestia difficile da domare per un tecnocrate di origine bancaria, per quanto sia di alto livello. Perfino questa politica burlesca, mediocre e autoreferenziale, è pur sempre una lotta fra interessi contrapposti e non si può pensare di tenere tutto insieme solo col ricatto del “sentimento dei mercati” e con la pretesa del comando umiliando continuamente il parlamento (che si è vendicato non eleggendolo al Colle) senza discussione né verifica democratica.
Che il governo Draghi marciava male ed era in grave crisi si era già capito infatti con la disastrosa auto-campagna per il Quirinale che fra Natale e la Befana il banchiere aveva intrapreso (avrebbe fatto meglio a prendersi una pausa e pensare alle feste) ancora una volta mal consigliato dai suoi sponsor e da uno staff mediocre che guardava con arroganza e sussiego tutti quelli che sono i noiosi rituali della politica, ma che in una democrazia pur malandata come la nostra, sono strettamente connessi anche alla tenuta del processo democratico e istituzionale.
Mario Draghi un po’ colpevole e un po’ buggerato dalla sua “constituency” dei poteri forti, a forza di elogi sperticati e paradossali, sospinto dal clamore mediatico come l’uomo della provvidenza, ma in realtà non tagliato per la politica e ancora meno per la difficile arte del governo che non puoi permetterti mai di guardare dall’alto in basso con sufficienza anche quando la politica e gli alleati che hai intorno sono quegli impresentabili che conosciamo, ma se li è scelti anche lui e in passato sono stati fra gli artefici delle sue promozioni e del suo successo come grand commis dello Stato e banchiere centrale. Quindi non un estraneo a questa classe dirigente fallimentare come lo si è voluto ritrarre in modo artificioso.
Adesso che cosa succede? Piuttosto che avere un governo con le idee confuse è meglio stare per qualche mese senza un governo. La crisi di governo e le elezioni anticipate non sono la fine del mondo (anche se Draghi ha buttato via quell’occasione che dicevamo all’inizio). Il vero motivo di preoccupazione è che le sperdute e derelitte opposizioni progressiste alla destra post-post della Meloni (con quella lugubre “fiamma tricolore” di Predappio che campeggia ancora nel simbolo) e all’establishment neoliberale del PD-Draghi non hanno nessun tipo di visione, proposta né prospettiva per cui “morto un Draghi se ne fa un altro” e le alterne vicende di questi dieci anni, fra governi di destra (la destra xenofoba e sovranista da un lato, la destra neoliberale del PD dall’altro) e commissariamenti tecnocratici continueranno a ripetersi in un eterno ritorno che vede sempre più povera e umiliata la nostra democrazia e sempre più grave la sofferenza sociale. E’ chiaro che l’unico soggetto, pur malconcio ed evanescente, che pur non avendo nulla a che fare in realtà con la sinistra, ma le somiglia vagamente, come in uno specchio distorto, avendone raccolto alcune funzioni non presidiate, è quello di Conte, che però deve stare a sua volta attento a mantenere un profilo popolare e progressista e non scivolare nuovamente su posizioni puramente protestarie o per esempio antiscienza. Poi si vedrà, sapendo che se si vuole un’alternativa all’eterno ritorno della falsa contrapposizione fra i sovranisti xenofobi e il neoliberismo del PD bisogna letteralmente cacciare questa classe dirigente dell’attuale sinistra, totalmente inadeguata e autoreferenziale, e favorire con umiltà la crescita di una generazione politica completamente nuova, che sappia innestare idee innovative, quell’idea utopica della riconquista dell’armonia con la natura propugnata da Melenchon, sulle radici sempre verdi della “idea socialista”, che molti in Italia hanno cercato di cancellare – a partire da Scalfari con la sua pur grandiosa operazione editoriale – e sappia portare fuori la catastrofica sinistra della “seconda repubblica”, propiziata dai mostri mediatici creati dai Santoro e dai Guglielmi (gli inventori del populismo televisivo che ci ha portato fin qui) fatta di vuoti slogan giustizialisti e dagli ideologismi settari, che scambiano i mezzi con i fini e non sanno valorizzare come bene comune nemmeno i pochi successi quando li ottengono (pensiamo al referendum sull’acqua pubblica per esempio).
Filippo Boatti
26 luglio 2022
(*) l’autore qui presente simpatizza sempre con quelli che cadono in disgrazia avendo fra tanti difetti perlomeno la buona abitudine di avversarli quando sono all’apice del potere invece di accanirsi quando sono “nella polvere” praticamente lo sport nazionale. Perfino il povero Draghi infilzato da sé stesso anziché dalla lancia di un eroico San Giorgio (assente) sembra già più simpatico.
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