Roma o morte

Ci sono alcuni episodi che mi hanno particolarmente colpito riguardo ai rapporti fra l’Italia come complesso e Roma, la sua attuale capitale.
Nel 1870, come sappiamo, le truppe del nuovo Regno entrarono nella città attraverso la Breccia di Porta Pia e a tutti sembrò un atto quasi dovuto di ricongiungimento della città millenaria a questo nuovo Stato creato dalla sapienza politica di Cavour, l’ispirazione quasi profetica di Mazzini e l’avventuroso coraggio di Garibaldi, per non parlare di tanti altri appassionati cultori dell’idea nazionale.
In realtà, come forse alcuni ricordano, c’era da molti anni a Roma una guarnigione francese, che proteggeva il Papato e che dovette esser ritirata in conseguenza dello scontro fra la stessa Francia e la Prussia, con il risultato che ben conosciamo.
Se la guarnigione francese fosse rimasta a protezione, per qualche altro decennio, non si sarebbe potuta realizzare l’Unità, vista la differenza delle forze in campo.
Questo non è un colpo inferto al mito della Patria, ma un ritorno alla Verità…
Un secondo episodio ci riporta alla mussoliniana marcia su Roma del 1922, in cui, come mi raccontava mio padre, testimone visivo, bande di laceri armati di nero vestiti attraversavano la Pianura Padana per seguire gli ordini del Capo, che, come sappiamo, raggiunse comodamente in treno, da Milano, la capitale, per esservi nominato Presidente del Consiglio dal re.
Anche in questo caso, non sembra che tutta la vicenda sia stata corredata da quei famosi trionfi che, 2000 anni prima, riportavano i consoli vincitori dopo l’ultima campagna di guerra.
La lunga marcia sembrava una sorta di parata di truppe scalcagnate, che sui camion, in treno, in bicicletta, volevano raggiungere la meta desiderata, senza che il re volesse o potesse opporre una resistenza armata, che avrebbe disperso questi desperados in poche ore.
Mi ricordo poi di un terzo episodio, altrettanto significativo, per chi vuole intendere, cioè la calata verso Roma dei barbari leghisti, e parlo di quelli originali, di Umberto Bossi.
Al grido di “Roma ladrona!” questi barbari scesero verso Roma e sembravano doverla distruggere, novelli Visigoti.
Ma, chissà perché, quando arrivarono a Roma, al Parlamento, ed entrarono nel I governo Berlusconi, questa ondata si calmò in pochi mesi, come se le acque del Po si fossero confuse con quelle del Tevere ed avessero prodotto un percorso lento, costante, sonnolento.
Roma quindi ci appare oggi come una sorta di spugna, che tutto assorbe e per cui nulla cambia, come in una sorta di gattopardesca rappresentazione.
A Roma tutto può cambiare, affinché nulla cambi.
Ma che c’è di importante, di veramente notevole, contro quest’Italia centralistica, Romacentrica, che sembra affondare nella retorica di un nazionalismo vecchia maniera, non più a contatto con la realtà globale?
Ci sono, e da molti decenni, le Regioni, che mi sembrano un elemento molto importante per definire la storia, le tradizioni, la cultura, la lingua, la cucina, e tante altre caratteristiche di questi popoli d’Italia, così diversi l’uno dall’altro.
Le Regioni sono una forza, sono un elemento di grande importanza, anche nel mondo d’oggi, contro una sorta di colonizzazione romana del tutto ingiustificata rispetto a quella repubblicana o imperiale di 2000 anni fa.
La lingua comune è un elemento importante, ma non è sufficiente a determinare un popolo, visto che a livello regionale esistono lingue o dialetti, a livello nazionale una lingua che fu creata per i dotti, ed abbiamo una lingua globale, mondiale quale l’Inglese, che ci permette di comunicare con tutti gli abitanti del mondo.
D’altronde, la piccola Svizzera docet: tre, anzi, quattro lingue, ma una Storia comune, e, soprattutto, una solidità di fondo, tanto superiore a quella italiana.
Parliamo di stati federali?
Il primo riferimento potrebbe essere la Svizzera, con i suoi Cantoni, il secondo la Germania Federale, appunto, con i suoi Lander, infine, fondamentali, gli Stati Uniti.
Ed allora, perché non riprendere le teorie, forse un po’ antiquate, ma molto logiche, di un Carlo Cattaneo, che sognava un’Italia federale, appunto, e che passò gli ultimi anni della vita in Svizzera, non a caso…
L’identità nazionale è importante, ma lo è altrettanto, e certe volte di più, quella regionale, che porta con sé secoli e secoli di Storia, mentre il futuro ci proietta in una realtà globale, dove le frontiere nazionali non hanno più valore e ciascuno sviluppa un proprio Internazionalismo per sentirsi veramente fratello degli altri uomini, anche se vivono molto lontano.
Un appello all’Italia federale è un richiamo al passato, una risposta al presente, una condizione necessaria per affrontare il futuro.

Giorgio Penzo

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