Serve ancora la “democrazia”?

Già….serve ancora la “democrazia”? A fronte della insperata vittoria del raggruppamento politico turco che fa capo a Recep Tayyp Erdogan è più che lecito farsi alcune domande. Perché un popolo di circa ottanta milioni di abitanti, in maggioranza, seppur risicata, preferisce continuare con Erdogan piuttosto che provare nuove strade, presumibilmente più libere, autonome e “democratiche”? I numeri alla fine saranno intorno al 55 per cento per il presidente uscente e  di 45 a favore dello sfidante. Ma la vittoria resta e peserà. Oltretutto lo sfidante era uomo conosciuto e rispettato, non particolarmente estremista, anzi. Kilicdaroglu ha cercato alleanze con tutte le possibili forze di opposizione al neokemalismo di Erdogan, dalla variegata area socialista a componenti della “destra sociale” non contenti di alcuni passaggi delle forze di governo. Forze di sostegno a Erdogan che hanno tenuto la Turchia sulla corda fino ad ora. Il termine “sulla corda” non è nostro ma del Frankfurter Zeitung che da tempo segue il processo di cambiamento, soprattutto economico , del colosso mediorientale. Ecco, forse è proprio quell’essere “sulla corda”, “sulla bocca di tutti”, su media e televisioni di mezzo mondo, ad aver fatto la differenza. Meglio una nazione riconoscibile e temuta all’estero che un Paese alla ricerca di un suo equilibrio interno, di una sua democratizzazione, che fa molto meno “audience”. I fatti lo stanno dimostrando…ai Turchi, e forse i Turchi sono la cartina al tornasole di un fenomeno ben più vasto che riguarda l’accettazione della perdita di libertà personali e di movimento, va  bene così.

Ma vediamo cosa un popolo è disposto a sopportare (tra inganni e promesse)

 

 

Secondo il Ministero degli Interni turco, attualmente ci sono 315.000 detenuti nelle carceri turche, sebbene la capacità delle carceri sia solo di 274.000. (1)

Più di 38.000 prigionieri sono in custodia senza condanna, per lo più prigionieri politici: cittadini curdi o membri di organizzazioni della società civile. L’onere per la popolazione delle regioni curde (quasi un quarto dell’intera Turchia) è grande: praticamente ogni famiglia ha un membro in prigione, secondo UIKI Italia. Un altro grosso problema è che le carceri turche sono progettate per gli uomini: la situazione delle persone LGBTI+, delle donne, dei bambini e dei disabili nelle carceri è, quindi, particolarmente problematica. Più di 300 bambini vivono in carcere insieme alle loro madri arrestate o condannate. Altri minori sono lì come detenuti o detenuti in custodia cautelare. In un rapporto, il Consiglio d’Europa (2) ha criticato le scarse strutture delle carceri: la media europea è di 1,7 detenuti per ogni agente penitenziario, mentre in Turchia è di 4,8.

Durante la pandemia da coronavirus, i commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa hanno chiesto alla Turchia di migliorare le condizioni e rilasciare politici, giornalisti e studenti curdi che sono stati ingiustamente detenuti. Di conseguenza, la Turchia ha rilasciato molti prigionieri, è vero, ma nessun prigioniero politico, poiché si trovavano (e si trovano) in un’area separata a causa della loro condanna ai sensi della “legge antiterrorismo”. Altra falla nella “democrazia” così come viene solitamente intesa, che in Anatolia ha una evidenza particolare. E’ sufficiente una legge emergenziale per cambiare le condizioni di fondo del vivere civile, le garanzie minime di espressione… ma anche, e lo vediamo continuamente anche in Italia, l’allentamento delle normative di sicurezza sul lavoro o di garanzia di corretto svolgimento delle gare d’appalto.

Tornando alla non prevedibile (almeno per chi vede la Turchia solo in TV) vittoria di Erdogan, le istituzioni internazionali come le Nazioni Unite hanno criticato la vaga definizione di “terrore” data dalla Turchia. Nel corso del processo al leader curdo Abdullah Öcalan, nel 2002 è stata introdotta la “condanna all’ergastolo più pesante“, dopo che gruppi nazionalisti avevano chiesto la pena di morte per lo stesso Öcalan. Quasi una “giustizia a richiesta” come se fossimo in piena anarchia. Rimanendo nell’ambito delle migliaia di famiglie interessate dalla repressione turca, che ha toccato avvocati, giornalisti, giudici, medici, personale dell’apparato statale e addirittura militari, i prigionieri malati che non sono condannati all’ergastolo dovrebbero essere rilasciati se non rappresentano una minaccia per lo stato o il pubblico. Tuttavia, questo regolamento non è attualmente in attuazione per i prigionieri politici. E ne è stato fatto, per di più, motivo di propaganda elettorale all’insegna del ‘kimseye bakmayız’ “Non guardiamo in faccia a nessuno”. Attualmente in Turchia ci sono oltre 1.400 detenuti malati che dovrebbero essere effettivamente rilasciati. Ma la situazione è tale che i medici indipendenti e le ONG non possono più entrare nelle carceri per vedere come stanno queste persone.

Un esempio è quello del politico dell’HDP A. K., incarcerato dal 2015. L’anno scorso, un rapporto dell’Università di Ankara affermava che il 50enne avrebbe dovuto essere scarcerato immediatamente a causa di una demenza cronica e progressiva. Il medico legale, tuttavia, ha certificato che era responsabile. Al contrario, un ex politico, generale e golpista (del 2015) è stato rilasciato dal carcere in una situazione simile con una diagnosi di demenza. Due pesi, due misure…il contrario della “democrazia” ma, evidentemente, la maggioranza – seppur risicata – dei Turchi pensa “basta stare dalla parte giusta”, “basta non dare fastidio e ingoiare qualche rospo”…alla fine “qualche briciola arriva anche a noi”. Ma questo è accettare di essere “sudditi”, non comprendendo o non volendo comprendere, quale sia la vera posta in palio. Libertà di pensiero, di espressione, di movimento, di religione e di manifestazione delle proprie scelte personali, sessuali o altro. …. Tutto in soffitta.

Situazione precaria dei rifugiati

Il sociologo İsmet Yolcuoglu (3) ha riferito sulla situazione dei rifugiati in Turchia, altro argomento di scottante attualità dato l’alto numero di persone “contenute” e “sopportate” all’interno dei confini della Sublime Porta. Con l’aggravante, per l’Europa, di consistente prebende per continuare a fare i gendarmi del fronte sud-est. Per ora bastano quattro miliardi di euro…ma dopo la vittoria di Erdogan che succederà?.

Secondo le stime locali, dall’inizio della guerra siriana fino al 2022 ci sono stati circa quattro milioni e mezzo di rifugiati registrati e sei milioni non registrati. D’altra parte la UE classifica la Turchia come un “paese terzo sicuro”. Tuttavia, i rifugiati non hanno sicurezza in Turchia poiché Erdogan ha firmato la Convenzione di Ginevra a condizione che coloro che provengono dall’esterno dell’UE non possano registrarsi come rifugiati nel sistema legale turco. Ai rifugiati siriani viene assegnato lo status poco chiaro di “protezione temporanea”. Dal momento che la Turchia è stata la prima – ufficialmente – ad assumere rifugiati, è l’unico attore a determinare lo status di un rifugiato in arrivo, senza che vi sia un’autorità indipendente per monitorarlo.

Come stanno i profughi in Turchia in termini di assistenza sanitaria, istruzione e mondo del lavoro? Soprattutto come vengono vissuti dai cittadini Turchi, visto che la propaganda pseudoleghista è molto radicata pure in Anatolia…

Vivono precariamente in tutte le zone. Secondo questo studio, il 97 per cento dei profughi lavora al di sotto del salario minimo di 5.500 lire turche (250 euro ca.). Lo stato turco e l’UE sanno quanto sia grave la situazione dei rifugiati, ma fintanto che i rifugiati lavorano sottopagati e in condizioni di forte dipendenza, “va bene così”. E forse “va bene così” anche alle migliaia di aziende, soprattutto di medie dimensioni, di ogni parte del mondo, Russia e Ukraina comprese, che hanno interessi diretti sul mercato della Sublime Porta.  Ma non basta…. Si chiudono gli occhi anche su altri versanti e, come scritto all’inizio, non vorremmo che “fosse una cartina al tornasole” che a breve riguarderà tutti….

I diritti delle donne in Turchia

L’avvocato Seryll Dullery – membro degli Avvocati per la libertà e dell’Associazione delle donne  – ha tenuto una conferenza sulla Convenzione di Istanbul. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, è in vigore dal maggio 2011. Molte ONG in Turchia si sono battute per sviluppare politiche che proteggano la vita delle donne dalla violenza. Anche la Turchia ha firmato la convenzione, ma inaspettatamente ha interrotto l’adesione il 20 marzo 2021 con decreto – guarda caso – del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Quasi 200 ONG hanno protestato in Turchia contro la denuncia della Convenzione di Istanbul.  Al riguardo sono state presentate istanze e richieste di ogni tipo, anche da parte degli ordini degli avvocati. Successivamente, le organizzazioni femminili di molte parti della Turchia sono state coinvolte in questi processi. Sfortunatamente, la causa è stata archiviata. “I procedimenti giudiziari relativi alla Convenzione di Istanbul non sono ancora stati completati – continueremo a portare avanti il ​​​​processo legale“, ha affermato l’avv. Dullery. A nome della stessa organizzazione di diritti delle donne ha affermato che un numero estremamente elevato di donne è stato assassinato nelle regioni curde: tra gennaio 2022 e agosto 2022, 285 donne sono state assassinate in Turchia. Nella regione di Van, ad esempio, solo nel luglio 2022 ci sono stati 24 femminicidi. Dullery ha fornito quattro ragioni per questo: c’è una “guerra speciale” contro le donne nella regione di confine di Van, che spinge molte di loro a prostituirsi. In secondo luogo, le donne sono spesso vessate dalla magistratura: le donne sono state accusate di “appartenenza a un’organizzazione terroristica” dopo aver preso parte a manifestazioni femministe. In terzo luogo, i commissari governativi dispiegati nelle comunità curde hanno abolito realizzazioni come rifugi per donne e telefoni di emergenza. “Molte cose per cui abbiamo combattuto nel corso degli anni e dei decenni sono state distrutte“, sempre secondo Serill Dullery. In quarto luogo, anche ragioni economiche e il sistema tribale in Kurdistan contribuiscono all’elevato numero di femminicidi nella regione. L’associazione comunque non demorse, e ancor di più dopo il risultato elettorale odierno: “Anche se la Turchia ha rescisso la Convenzione di Istanbul, continueremo a lottare per delle alternative. I risultati di 40 anni nel movimento delle donne non possono essere semplicemente annullati”. Diritti che riguardano una pari possibilità di studio, di vita sociale, di pari retribuzione a parità di lavoro… tutti capisaldi della “democrazia”. Semplicemente spazzati via ma, a quanto pare, senza conseguenze. La campagna elettorale impostata sull’orgoglio turco, sull’attacco degli infidi europei e stranieri in genere, per la restaurazione della famiglia tradizionale, delle abitudini più diverse, confinanti spesso con pratiche tribali segreganti, ha vinto e ha mantenuto lo “statu quo ante”.   E a molti va bene così.

Massiccia fuga di cervelli dalla Turchia

Kilicdaroglu, per tutti mesi di espressione più o meno libera connessi alle elezioni, ha sottolineato che la massiccia repressione di qualsiasi opposizione significa che non solo gli intellettuali curdi stanno lasciando il paese in massa ma che gli stessi turchi, specie i più istruiti, mal sopportano una condizione di costrizione continua e di controllo strisciante. Nessun paese può permettersi di espellere le sue menti migliori. Non di “far uscire” ma di espellere proprio. Un po’ quello che si vive oggi nel mondo del lavoro, specie legato alle Università e alle grandi Fondazioni, dove non vale il merito, l’impegno di chi – partendo da pari opportunità rispetto ad altri – comincia a minacciare baronati o, comunque, situazioni ingessate specie nei massimi luoghi di dirigenza. Una diminutio che non viene più tollerata e che porta alla ricerca di altri lidi più favorevoli, più rispettosi e più equi. Altro che “democrazia”, di nuovo – e purtroppo non si vede limite al peggio – richiesta di accettazione prona di situazioni di fatto, di privilegi intoccabili che sono tutto meno che riferibili agli articoli dei principi fondamentali della nostra Costituzione. Vie d’uscita?

L’esempio turco ripreso da Orban e emiri del Qatar

Non è un caso che fra i primi a congratularsi con la vittoria/riconferma di Erdogan siano stati il premier di Ungheria e Qatar. Coloro i quali hanno bisogno, più di altri, di mantenere i confini dove sono, gli interessi economici ben distinti da risibili contestazioni di carattere sociale e, soprattutto, di continuare una politica di accarezzamento del vicino turco in vista di future operazioni. La celebrazione del “nazionalismo” e della demarcazione fra chi ha e chi ha poco o non ha nulla. Nessuna possibilità di riscatto o di ascensore sociale per chi ha avuto la ventura (“per volontà di un Dio” direbbero) è condannato a servire e vedere solo da spettatore chi “vive” veramente. Resta, per chi ce l’ha ancora come noi in Italia, qualche salvagente: il mondo sindacale, aree politiche o organi di informazione con la forza di esprimersi in modo indipendente e poco altro. Ma si ha come l’impressione che si tratti di un orologio (con sveglia annessa) che prima o poi ci ricorderà dove e chi siamo.

Ricordiamocelo… gli italiani, come tutti i cittadini del mondo, hanno provato l’ebbrezza della libertà e della democrazia (che ha nelle “libertà” uno dei suoi caposaldi)…. è nostro compito fare in modo che si rendano conto che non è “automatica” la democrazia, ma deve essere vissuta, costruita e difesa giorno per giorno. La “democrazia” è libertà di muoversi e scegliere, la falsa democrazia ne è la sua negazione. E se poi ci si rende conto che la “democrazia” di un popolo, di una nazione, di una regione, non può esistere a scapito del “vicino” o – meno percepibile – del “lontano”, ancora meglio. Ma anche la “globalizzazione” e l’integrazione mondiale, voluta o subita dagli Stati, sta segnando il passo (3). Il periodo pandemico post 2019 e la guerra mondiale strisciante che ci coinvolge tutti, stanno cambiando percezione del futuro, attese personali e di gruppo, combinate con una “chiusura di sicurezza” che trova nell’abbandono dei principi portanti della “democrazia” i suoi punti qualificanti. Sostanzialmente “si è in acqua, si cerca un appiglio e, se per un po’, si dovrà soffrire…pazienza”. Tutto dipende se l’ “acqua” in oggetto è un fiumicello padano o un oceano…

 

.1. I detenuti maggiorenni incarcerati in Italia, al 31 Dicembre 2021, sono 54.134, distribuiti in 192 istituti, di cui 2.237 donne (il 4,1%). Del totale dei carcerati maggiorenni, 17.043 sono stranieri, circa il 31,5%.   (fonte: https://italiaindati.com/carceri-in-italia/)

.2. https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/08/carceri-rapporto-del-consiglio-deuropa-1203-detenuti-ogni-100-posti-in-media-19-per-cella-peggio-solo-la-turchia/6158808/

.3. https://www.sosyalhizmetuzmani.org/kentselyoksulluk.htm

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