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E all’improvviso succede che un evento imprevedibile ti metta davanti a delle scelte inedite ma necessarie. La pandemia in atto ha provocato, infatti, un’accelerazione della storia, che richiede di essere letta ed interpretata, ribaltando schemi mentali ed organizzativi abitudinari e desueti. Così, chi era stato e si era abituato a lavorare nella scuola secondo una logica della “a domanda, risponde”, si deve inevitabilmente reinventare sul luogo di lavoro e ovunque egli si trovi. Lo esige una nuova realtà sociale e culturale, che affida all’insegnamento il compito di sostenere il pensiero, nonché di abilitare l’uomo a saper fare domande, per poter dare – a seconda dei bisogni – risposte contestualizzate e, volta per volta, rinnovate.
Sperimentare, sbagliare, innovare
La scuola, secondo questa prospettiva, deve essere in una posizione di anticipazione rispetto al cambiamento. Essa, pertanto, ha l’obbligo di abbandonare le tranquille stanze di un’istruzione programmata a priori e scegliere il rischio, in proprio, di sperimentare, sbagliare, innovare. In poche parole, la sacralità di una scuola-monumento deve superare di slancio le visioni ed i tagli della politica del risparmio, costruendo – nel contempo –percorsi di insegnamento/apprendimento snelli, originali, atipici, tonificanti e produttivi. Per i docenti e per i discenti.Il passo necessario deve partire dalla revisione del come (di cosa, del perché) insegnare. Come sempre deve, perciò, rispondere a un criterio di scelta. E chi sceglie con consapevolezza e coscienza, anche in tempi di pandemia, è solitamente definito eretico
La giovane pakistana Malala Yousafzai (1997) nel 2014 ha ottenuto il Premio Nobel per la pace
Laddove si tende a dare alla parola eresia (ed ai suoi derivati) il significato quasi di blasfemia, di protesta costruita, di pericolosa devianza, se non proprio di dissoluzione. E, invece, l’eresia è sinonimo di scelta di chi sa pensare con la propria testa, di chi dissente (chi sente diversamente) del potere delle certezze, di chi è tormentato dal dubbio. Riescono ad essere, non per caso, esempi concreti di scelte in dissonanza ma intelligenti e remunerativi in termini di restituzione sociale, sia la pedagogia innovativa di don Lorenzo Milani sia il pensiero di Malala Yousafzai, rappresentando essi l’applicazione più coerente di un agire eretico nella scuola.
Un plof nell’acqua cheta
Oggi, in piena pandemia (ma anche in seguito), l’eresia della scuola risiede nella didattica. Il virus ha avuto la funzione di un sasso in uno stagno. Il plof (suono onomatopeico) a contatto di una acqua cheta (la scuola) è valso ad aggiungere un rumore ad altri rumori: organici, concorsi, banchi con rotelle, classi numerose, distanziamenti, trasporti, orari sfalsati fino alla perla del “tutti a scuola di domenica”. Ma sono i cerchi concentrici (didattica, conoscenze, competenze, finalità formative, valutazione) conseguenti al plof (suono onomatopeico), che necessitano, tuttavia, di una generale palingenesi, di sangue e di passione, di lungimiranza e di speranze.Anche se non è solo con la speranza che può cambiare la scuola. Sono troppi i guasti prodotti negli ultimi anni e la scuola non è altro che lo specchio di una società in decadenza, senza ideali, senza motivazioni, senza risorse e senza cultura. Ci sarà pure qualcuno che l’ha voluta ridurre così? «Spesso c’è venuto fatto di parlare del padrone che vi manovra. Di qualcuno che ha tagliato la scuola su misura vostra. Esiste? Sarà un gruppetto di uomini intorno a un tavolo con in mano le fila di tutto: banche, industrie, partiti, stampe, mode» (Don Milani). Diabolico, forse, è stato accettare, sostenere e, talvolta, difendere le logiche e le giustificazioni di quel “gruppetto di uomini intorno a un tavolo” per contiguità partitica, per simpatia, per fede o solo per vigliaccheria.
Un’occasione nuova, una speranza
Però, è doveroso, ora, in risposta soprattutto ai danni della pandemia, prenderne atto: si sta presentando un’occasione nuova, una speranza che qualcosa possa cambiare, nella società come nella scuola! Tutti insieme bisogna dare una spinta alla ripresa di quota, alla voglia di reinvestire nell’arma formidabile dell’istruzione nel suo significato originario di costruire su.Per una scuola adeguata ai bisogni di questi tempi, è, però, d’obbligo passare attraverso un paio di processi innovativi quali la formazione permanente e la costruzione di nuovi assi formativi.
Per sconfiggere, infatti, la pratica usuale di affidare l’acquisizione delle nuove conoscenze (il presente e il futuro) o il rafforzamento di quelle pregresse (il passato, la memoria) unicamente alla televisione – lo aveva scritto, già vent’anni fa, Lucio Magri, un altro eretico, nel saggio “La Madre di tutte le riforme” – si deve pensare una nuova idea di scuola e della sua funzione, «rivolta alla effettiva promozione sociale e a fare di tutti realmente degli intellettuali». Laddove l’intellettualità non è sinonimo della traduzione di un requisito culturale elitario ma, semplicemente, la capacità di saper affrontare i problemi complessi con le armi fornite da una generale crescita culturale e professionale.
Una didattica ibrida, in presenza e da remoto, in classe e fuori
Siffatta nuova finalità educativa richiede, innanzitutto, che lo spazio dell’elaborazione dei “significati” non sia calato dall’alto, ma possa vivere di una sua indipendenza. Si deve invocare, in altre parole, l’esigenza di un’autonomia formativa, in grado di creare una cooperazione competitiva dei saperi con metodi e progetti culturali di ampio spessore, mediati da una didattica ibrida (laboratoriale, in presenza e da remoto, in classe e fuori, con operatività razionale e manuale, hardware e software) e non perennemente statica e ripetitiva. Visione intrigante e per niente utopistica della scuola, certamente opposta ad ogni tentativo di logica aziendale.Così, anche la scuola di massa non sarà più considerata (né poteva esserlo, visto lo spessore culturale e politico dei suoi ideatori) come un incolpevole responsabile di tutti i mali e di tutti gli insuccessi sociali, culturali e politici contemporanei! Anzi, a meglio definire l’idea significativa e profondamente innovativa di alternatività – non solo nella differenza tra scuola pubblica e scuola privata ma, soprattutto, tra scuola pubblica e scuola statale – l’asse portante di un’indispensabile riforma dell’istruzione dovrà garantire una scuola di massa dura, difficile, che non indulga più a perseverare negli aspetti ludici o ad esaltarsi unicamente per percorsi di creatività, di socializzazione o di scontata scolarizzazione.
La dura fatica del lavoro intellettuale
E, per fronteggiare i denigratori arroccati nelle cittadelle oltranziste – per fede o per appartenenza – del Dio, Patria e Famiglia o dell’ideologia dei Buoni Sentimenti o del Mercato del Consumismo, dovrà garantire un rinforzo a una visione gramsciana di una scuola che «deve far capire la – e abituare alla – fatica (perfino muscolare) del lavoro intellettuale».Non per ultimo, però, bisogna ripensare – fra i tanti altri – anche l’importante compito educativo svolto dalla famiglia. Perché non basta e non serve più solamente denunciare i sintomi di una crisi grave, visibile, irreversibile. Come non basta e non serve più assumere quella sorta di autocompiacimento della cultura della crisi, che riconosce e “giustifica” le mille emergenze della società. Altrimenti, nel caso della conclamata “emergenza educativa da covid”, si correrà il rischio di far calare pesantemente il sipario sugli allarmanti dati degli analisti e degli educatori, letti solo come notizie di stampa o assunti, nella coscienza collettiva, come uno ed ulteriore elemento dei tanti fallimenti dell’istruzione e, quindi, della società e dell’intero Paese.
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- Ciro Raia. Preside in pensione. E’ Presidente dell’I.Re.S.CO.L. (Istituto regionale per lo Studio della Storia dei Comuni e delle Comunità Locali).
- (Immagine di lancio e interna da Raccolta “Albacete” di Salvador Dalì)
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