Silvio Berlusconi, la parabola politica di un “supplente” inadeguato

Paolo Ferrero sul Fatto Quotidiano elenca i punti più critici dell’esperienza berlusconiana, che sicuramente hanno lasciato un segno indelebile nella cultura e nella politica del paese: l’invenzione di un nuovo populismo televisivo che ha fatto poi scuola in Europa e nel mondo anglosassone con Trump e Boris Johnson. Il forte anticomunismo e lo sdoganamento dei post-fascisti e della Lega secessionista. E comportamenti personali discutibili a tutti noti che riguardando una persona pubblica hanno influenzato in negativo la cultura del paese e gravemente danneggiato l’immagine dell’Italia all’estero (nonché reso il governo Berlusconi più debole e vulnerabile quando arrivò l’attacco speculativo contro il debito italiano nel 2011 con i conseguenti drammatici eventi che portarono alla formazione del governo Monti non eletto, nominato pochi giorni prima senatore a vita da Napolitano). Certamente, facendoci tornare indietro sotto molti aspetti: anche se questa regressione è responsabilità condivisa con una sinistra post-comunista che avendo smarrito la tensione per l’uguaglianza e il progresso sociale in favore di una visione individualista (in sostanza la stessa di Berlusconi) utilizzò l’occasione di polarizzazione mediatica spinta fornita dall’antiberlusconismo per mascherare la sua piena adesione ai valori del modello neoliberale, con le privatizzazioni e la regressiva riforma Treu del mercato del lavoro (anticipando gli stessi Blair e Schroeder).

Però penso che sull’anticomunismo Ferrero si sbagli. L’anticomunismo di Berlusconi era sicuramente sincero, ma era anche e soprattutto un prodotto di successo da vendere a un elettorato smarrito che aveva perso i riferimenti dopo il drammatico crollo del sistema politico nel ’92-’93. Anzitutto Berlusconi era, più che un anticomunista, un sincero oppositore degli ispettori del fisco come ogni accumulatore miliardario che si rispetti (salvo eccezioni). E poi Berlusconi era soprattutto un eccezionale venditore e come i migliori venditori di sogni e di bufale credeva nelle proprie bugie. Nella realtà le aziende di Berlusconi intrattenevano dagli anni ‘80 buoni rapporti non solo con il partito socialista di Craxi e con la componente migliorista del PCI ma anche con Veltroni, e poi in seguito con lo stesso D’Alema, dunque con… tutto il partito! (post-berlingueriano): i miglioristi di Napolitano avevano solo aperto la strada. Ci sono diversi libri che ne parlano, per esempio “I panni sporchi della sinistra” di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara. L’area politica di Napolitano era finanziata generosamente dalle aziende di Berlusconi con ampie paginate pubblicitarie sulle riviste di tendenza. Nel 1986 Il Moderno, la rivista dell’area migliorista del PCI scriveva: «la rivoluzione Berlusconi è di gran lunga la più importante, cui ancora qualcuno si ostina a non portare il rispetto che merita…». E mentre Veltroni polemizza col modello culturale di Berlusconi è impegnato a trattare alacremente per le televisioni: ne parla Michele De Lucia ne “Il baratto. Il Pci e le televisioni: le intese e gli scambi fra il comunista Veltroni e l’affarista Berlusconi negli anni Ottanta”. Veltroni in seguito è stato colpito da una grave forma di amnesia e si è totalmente dimenticato di essere stato comunista e si è scoperto un liberal americano, ma questa è un’altra storia. Poi Berlusconi riesce addirittura a ricevere Gorbaciov ad Arcore nel 1993 e a mostrargli, con entusiasmo infantile, il Mausoleo di famiglia progettato dallo scultore (anche lui a lungo comunista…) Pietro Cascella da Fivizzano. Alcuni anni prima fu in trattative con l’URSS di Gorbaciov (senza l’aiuto del PCI? Ma dai…) da cui riesce a ottenere esclusivi vantaggi pubblicitari per Publitalia in Russia.

Silvio Berlusconi con Mikhail Gorbaciov a Villa San Martino, 1993
Silvio Berlusconi con Mikhail Gorbaciov a Villa San Martino, 1993, fonte: Silvio Berlusconi da Twitter

In realtà a differenza di quello che dice Ferrero, che spesso è troppo schematico, molti italiani di destra perbene hanno una struggente nostalgia dei “comunisti” perché nel loro intimo sapevano di avere bisogno di una coscienza critica. Anche la nostalgia dell’anticomunismo è una forma di nostalgia del comunismo (o meglio dei comunisti all’italiana che erano beninteso cosa molto diversa da quelli sovietici). Ma qui si parla naturalmente dei veri comunisti integerrimi, quelli rappresentati in ultimo da Longo e da Berlinguer, non degli spompati e individualisti post-berlingueriani. Pensiamo solo a Pasolini che scriveva sul Corriere della Sera, il grande quotidiano della borghesia italiana denunciando apertamente la “coscienza infelice” della borghesia italiana, peccatrice e golpista e allo stesso tempo sofferente per i suoi peccati antisociali e antidemocratici, che cercava in qualche modo di espiare prestando orecchio e concedendo spazio di tribuna ai propri oppositori più autorevoli. Sono i vari eredi del social-comunismo italiano che non sono stati all’altezza di rilanciare un moderno socialismo democratico fondato sull’uguaglianza (come li invitava Bobbio inascoltato!) e hanno pensato ai fatti loro. In definitiva Berlusconi, indubbiamente persona di talento e brillante piazzista e inventore di nuove forme di comunicazione (il populismo della nuova destra oggi al governo come ricorda giustamente Ferrero) è stato però soprattutto un supplente del sistema politico democristiano che si è sgretolato. Che se non fosse caduto, Berlusconi non sarebbe mai entrato in politica, ben consapevole che i propri intrecci affaristici controversi e oscuri lo avrebbero continuamente messo in difficoltà.

La “discesa in campo” di Berlusconi è stata certamente spontanea, per difendere i suoi interessi, per l’idea grandiosa di sé, ma anche soprattutto “spintanea” per via delle forti pressioni che lo stesso Berlusconi si è trovato ad affrontare da parte di influenti settori di potere che non si sentivano più garantiti nella nuova incerta situazione politica. E che erano pronti anche a mettere in atto strategie terroristiche, come dimostrano le stragi di mafia “continentali” a Firenze, via dei Georgofili, a Milano al padiglione d’arte contemporanea, il fallito attentato allo stadio olimpico di Roma ecc. C’è stato il vuoto di potere e in politica il vuoto viene sempre riempito da qualcuno.

Se il sistema politico non si tutela e non difende credibilmente la propria posizione, sia combattendo la corruzione al proprio interno sia respingendo la strumentalizzazione mediatica delle inchieste giudiziarie, volta a dare la spallata al sistema per ragioni intuibili ma ancora oscure, quel vuoto può essere riempito da forze oscure e tremende: e ci siamo andati molto vicini. In qualche modo l’ingresso in politica di Berlusconi (loro succube se non complice) ci ha salvati dal proseguimento della scia di sangue e questa realtà chiaroscura va comunque sviscerata. Gli italiani di destra smarriti (che beninteso avevano diritto a esserlo e a non voler votare per i loro avversari dopo il crollo repentino della DC e del Pentapartito) si sono affidati entusiasticamente a Berlusconi, facendosi rapire dal suo sogno. Si è ritrovato quindi con un grande potere che ha usato male perché non era la persona adatta (unfit to lead Italy, sentenziò correttamente l’Economist): enormi conflitti di interessi, rapporti mai chiariti con la mafia, nessuna riforma mai compiuta se non per aiutare sé stesso a difendere le sue aziende ed evitare la galera, riuscendoci (quasi) sempre. Ma va detto che questo potere poteva pure usarlo peggio e non lo ha fatto.

Veniamo qui al lato positivo di Berlusconi politico. E’ un lato positivo in… negativo, cioè è positivo che Berlusconi non abbia mantenuto le sue promesse più antisociali. Berlusconi non ha mai attaccato i poveri in quanto tali, solo perché sono poveri, come fa la Meloni: aveva un atteggiamento paternalista. Cioè, Berlusconi non è mai stato la Thatcher italiana. Tutta finzione. In fin dei conti è molto più morale attaccare i “comunisti” e il sindacato (che perlomeno sanno come rispondere agli attacchi, è il loro mestiere!) che non prendersela con le persone inermi, coi poveri e con i giovani che “non vogliono andare a lavorare nei campi” come fa il governo Meloni. Il governo Meloni è un grave arretramento della destra anche se è vero come dice Ferrero che Berlusconi ha una grossa responsabilità nell’avere sdoganato i post-fascisti e il secessionismo leghista.

Ma quello che fa la Meloni è molto grave, per incapacità politica se la prende con quelli a cui dovrebbe dare delle risposte se non reali perlomeno immaginarie come faceva Berlusca, vendendogli un sogno: votandomi vi darò un milione di posti di lavoro! Diventerete ricchi come me! Vi condonderò la casetta abusiva che avete costruito in mezzo a un campo.

Del resto Berlusconi attaccava il sindacato ma alla fine, incalzato con maestria e tenacia dalla CGIL di Cofferati, ha rinunciato a cancellare l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Che è stato poi eliminato da Renzi, cioè dal PD, ancora più asservito di Berlusconi ai dettami del neoliberismo e della Confindustria. Perché la verità è che le peggiori riforme neoliberali, contro il lavoro e i suoi diritti, sono state fatte dall’Ulivo e dal PD e non da Berlusconi, PD che continua del resto a balbettare e a non scusarsi per questo grave sfregio contro quella che una volta era la sua base sociale.

Ma Salvini e Meloni sono di caratura umana e politica molto più bassa del loro mentore e precursore e non sono nemmeno in grado di venderti un sogno, nemmeno piccolo. Finiscono con il prendersela non con i loro avversari politici, che sono lì apposta a dare e parare i colpi, ma di dare addosso direttamente agli italiani, portano il seme della discordia nel popolo: se paghi con il contante o con la carta, se sei gay o etero, se mangi la buona carne italiana o qualche nuovo ritrovato della tecnica. Se ti vaccini o non ti vaccini, se metti o no la mascherina (un dispositivo medico!). Culture wars trumpiane di bassissimo livello. E questo è un fatto molto grave che contiene i prodromi di una potenziale guerra civile anche se combattuta non con le armi ma a suon di divisione e diffidenza fra cittadini, distruggendo il capitale sociale. Mentre quella fra berlusconiani e antiberlusconiani è stata una grande sceneggiata all’ombra della globalizzazione neoliberale che in quel momento andava a gonfie vele, la tempesta si avvicinava ma era ancora lontana. Ora la Meloni tenta con questa esagerata e incontrollata celebrazione postuma di Berlusconi (che le era non poco ostile come dimostrano le ultime vicende parlamentari, prima dell’aggravamento finale delle sue condizioni di salute) di tenere insieme una coalizione che rischia di esplodere dopo la fine di Forza Italia. Per molte ragioni che forse nemmeno sappiamo e che emergeranno nei prossimi giorni. Si sa che il potere tiene sempre tutti uniti, specialmente a destra, ma come sempre chi esagera come fa Meloni per mancanza di idee, chi si appoggia sempre e solo su furbizia e opportunismo rampanti può finire rapidamente disarcionato mentre sembrava sulla cresta dell’onda, verso il trionfo finale. Del resto è successo allo stesso Berlusconi quando, complice il naturale rincoglionimento della vecchiaia e il servilismo sfrenato dei suoi adulatori, non è stato più attento a tenere a bada le proprie pulsioni personali.

Filippo Boatti

14 giugno 2023

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