Storie di guerra

ALESSANDRIA guida e foto della citta'

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STORIE DI GUERRA

A cura di

  • Giancarlo Patrucco
  • Clemente Accornero

Resoconto delle principali battaglie combattute dagli alessandrini sulle porte di casa in più di 850 anni di vita (compresa quella di Marengo con gli austriaci, Napoleone e la famosa morte di Desaix)

La fondazione di Alessandria

Alessandria non è stata fondata da un giorno all’altro come vuole la leggenda. È stata una impresa collettiva, lenta, faticosa, risultato di collaborazione da parte di genti diverse.

Il controllo dell’Italia nel 774 passò dai longobardi al regno franco. A quest’epoca risale probabilmente la nascita della corte di Rovereto, che avrà un ruolo centrale per la nascita di Alessandria. Nel 962 il re di Germania Ottone I di Sassonia conquistò il regno d’Italia e istituì il Sacro Romano Impero. Le città italiane, comunque, mantennero grande autonomia ed erano costrette a pagare le tasse all’imperatore solo quando questo viaggiava in Italia. Federico Barbarossa decise che la situazione doveva cambiare, per cui istituì la dieta di Roncaglia e, nel 1162, distrusse Milano, il più importante comune dell’epoca. Gli altri comuni decisero allora di unirsi per lottare contro l’imperatore, per mantenere la loro autonomia, per cui crearono la Lega Lombarda. Per attirare il Barbarossa in Italia la Lega decise di creare una nuova civitas, atto che era un privilegio esclusivamente imperiale. La città, nota semplicemente come Civitas Nova, venne istituita presso il territorio di Rovereto, sia perché si trovava vicino alle terre del marchese del Monferrato, fedele alleato dell’impero, sia perché, posizionato tra il Tanaro e la Bormida, godeva di una posizione facilmente difendibile. La città venne popolata con il contributo dei borghi vicini e fortificata con fondi del comune di Genova. Il 3 maggio 1168 i tre consoli di Civitas Nova firmarono l’adesione alla Lega Lombarda presso Lodi e due anni più tardi la città venne offerta a Papa Alessandro III, che accettò di farla diventare un suo feudo e, così facendo, di legittimare la lotta dei comuni contro l’impero. Il nome della città venne quindi mutato in Alessandria, per esplicitare la sua appartenenza allo Stato della Chiesa.

La provocazione dei comuni ebbe l’effetto sperato: l’imperatore giunse in Italia nel 1174 e il 29 ottobre, dopo aver distrutto Susa e ottenuto la resa di Asti, pose l’assedio ad Alessandria. Oltre ogni aspettativa, gli alessandrini resistettero agli attacchi per tutto l’inverno; il 12 aprile l’imperatore si arrese, poiché l’esercito della Lega si stava muovendo in difesa di Alessandria . Le armate si incontrarono presso Montebello, ma invece di combattere sospesero le ostilità per negoziare la pace. Il fallimento delle trattative sfociò nella nota battaglia di Legnano, che costituì una netta sconfitta per Federico Barbarossa. Ciò nonostante, durante la pace di Costanza il controllo di Alessandria passò direttamente all’imperatore e la città venne rinominata Cesarea.

Venne concessa in feudo a Bonifacio I del Monferrato nel 1193. Pochi anni più tardi, tuttavia, i cittadini della città si ribellarono all’autorità imperiale, abbandonando il nome Cesarea e stringendo alleanza con le vicine Asti e Vercelli, ma la disputa fu risolta dall’arbitrio dei comuni di Milano e Piacenza. Per Alessandria e il marchesato del Monferrato cominciò quindi un periodo di tregua, caratterizzato da innumerevoli dispute diplomatiche e sporadiche

La storia del galletto rubato ai casalesi

di Piero Archenti

Una storia, quella del Galletto strappato ai casalesi nel 1215,attualmente poco nota nella sua interezza alla maggior parte degli alessandrini. Insomma, un particolare che ormai si perde nella notte dei tempi ma che ci ricorda appunto che furono gli alessandrini a muovere guerra ai casalesi i quali, a loro volta, circa duecento anni dopo, con Facino Cane, nel 1403, si ripresero, con gli interessi, secondo le cronache dell’epoca, quanto fu loro sottratto duecento anni prima.

Ma, andiamo per ordine: nel 1215 gli Alessandrini, alleati con il conte Tommaso di Savoia, i Milanesi, i Vercellesi e i Tortonesi dopo aver cinto d’assedio la città di Casale che era sotto il dominio dei Marchesi del Monferrato, riescono ad espugnarla il 2 agosto. Il saccheggio e le violenze sono senza limiti e molti abitanti vengono trucidati, le donne violentate, oltre a rubare in Cattedrale i corpi dei Santi Evasio, Natale e Proietto, che restituiranno in occasione di uno degli infiniti accordi stipulati con l’animo di violarli.

Si impossessano altresì di un galletto e di un angelo di ottone che erano sulle torri della cattedrale di S. Maria Assunta fissandole sulle guglie, a mò di trofeo, della vecchia cattedrale di S. Pietro, in Alessandria, dove vi rimangono fino al suo abbattimento avvenuto sotto il governo napoleonico nel 1803.

Dove sia finito l’angelo non si sa, è probabile che sia andato ad adornare la casa di qualche amante delle memorie del passato, facendo una fine migliore delle catene tolte dagli alessandrini nel 1282 al ponte dei pavesi che, poste nella cappella di Santa Croce in duomo, secondo quanto racconta lo Schiavina, vennero da un sacrestano ai suoi tempi adoperate per attrezzare il camino della cucina. Il galletto recuperato (una copia, l’originale è custodito presso il Museo civico), è tutt’ora fissato sulla base di ferro e lamiera che sovrasta l’orologio a tre quadranti posto sul punto più elevato del palazzo Municipale di Alessandria.

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GUGLIELMO VII

marchese di Monferrato. – degli Aleramici di Monferrato, nacque intorno al 1240 da Bonifacio II e da Margherita di Savoia, e successe al padre nel 1253, restando sotto la tutela della madre. I primi segni di una sua politica personale appaiono nel 1260, quando acquistò la signoria ad Alessandria e si unì ad Asti per arginare la dominazione di Carlo I d’Angiò, che andava allargandosi in Piemonte. Nuovo e più forte alleato trovò nel 1261 in Manfredi di Sicilia, dal quale peraltro si staccò per collegarsi con Carlo nel 1264, appena questi ebbe deciso la spedizione contro lo Svevo. Dopo Benevento, Carlo continuò le conquiste in Piemonte, attraversando la via a Guglielmo, che, presi accordi con un forte gruppo di cardinali antiangioini, (1271) alla corte di Alfonso X di Castiglia, aspirante alla corona imperiale, ne sposò la figlia Beatrice (era vedovo di Isabella di Gloucester) e fu da lui creato suo vicario in Italia. Tornato in patria, combatté dapprima con forze impari contro gli Angioini; poi, alleatosi con Asti e Genova, e successivamente con altri comuni e feudatarî subalpini, concorse a distruggere il dominio di Carlo in Piemonte (1278). Poté allora raccogliere i frutti della sua politica: dal 1278 al 1280 ottenne la capitania di guerra e la signoria in alcuni comuni (Vercelli, Alessandria, Acqui, Tortona, Casale, Ivrea, Milano), che, travagliati da crisi sociali e costituzionali, avevano già fatto i primi esperimenti di signoria con altri e con lo stesso Guglielmo.

Il suo dominio ha caratteri singolari: quasi dappertutto i trattati che stipulano con lui i Comuni, hanno nello stesso tempo la forma dell’assunzione in servizio di un capitano di guerra, a cui si conferiscono soltanto poteri esecutivo-militari, quella dell’alleanza col grande feudatario, investito di ampî poteri giurisdizionali su terre e uomini, e infine, dove Guglielmo. faceva valere antichi diritti feudali della sua casa, quella della soggezione feudale. In qualche comune (Vercelli, Alessandria, Milano) conseguì, subito o in processo di tempo, la piena signoria. La sua soverchia potenza – accresciuta dalla capitania conferitagli da una possente lega di comuni, nonché dal nuovo prestigio acquistato, con l’amicizia di Pietro III d’Aragona, che lo chiamò a sé (1280) perché gli procurasse l’alleanza di Alfonso di Castiglia – svegliò inquietudini ad Asti, nei conti di Savoia, nei Visconti, che a Milano lo subivano, a Genova e in altri comuni; i quali tutti gli si collegarono contro. Nel 1290 Guglielmo fu preso con inganno ad Alessandria, gettato in una gabbia e lasciatovi morire (1292). Con lui rovinò il suo dominio.

Sotto, il palazzo del pretorio in piazza della Libertà, dove Guglielmo passò gli ultimi giorni di agonia

PALATIUM VETUS” Alessandria Piazza della Libertà, 28, di Pier Carlo Lava – Alessandria today @ Web Media. Pier Carlo Lava

La battaglia di Alessandria

Via san Giacomo della Vittoria ad Alessandria è una strada lunga e stretta affondata nel centro storico, nell’incastro di vie delimitanti il vecchio ‘recetto’ medievale della città. Al centro circa del percorso viario, addossata alle altre case di antico segno gentilizio, si erge la chiesa di san Giacomo della Vittoria. Tale intitolazione si riferisce alla grande vittoria sui francesi di Giovanni III di Armagnac, conseguita il 25 luglio 1391 dal veronese Jacopo del Verme, capitano del Visconti.

Il conte D’Armagnac giunge alle porte di Alessandria e la pone sotto assedio. Alcuni cittadini alessandrini, avuta notizia del suo arrivo, vanno incontro al condottiero per informarlo dell’esatta posizione delle truppe francesi asserragliate presso Alessandria.

Lo scontro decisivo avviene nei pressi di Castellazzo il 25 giugno del 1391. La battaglia dura complessivamente tre ore, nelle quali la cavalleria del duca D’Armagnac si difende dagli attacchi in maniera valorosa, cercando più volte di non farsi accerchiare dalle soverchianti truppe nemiche. Ma la stanchezza dovuta alle scaramucce militari dei giorni precedenti e le capacità di direzione del Dal Verme, oltre che la disparità enorme delle forze in campo e la bravura inesorabile dei balestrieri, (ai tempi arma micidiale contro la cavalleria), hanno ragione delle forze francesi..

Dopo la brillante vittoria delle truppe viscontee e degli alessandrini guidati da Jacopo dal Verme, grazie al clamore suscitato dall’episodio militare è lo stesso condottiero veneziano a prendere l’iniziativa per la costruzione di una chiesa celebrante l’importante episodio bellico. Ricorrendo al bottino conquistato, il Dal Verme compra alcune case e poi le fa abbattere, recuperando così lo spazio utile alla costruzione del monumento. Il nuovo luogo di culto viene denominato “San Giacomo della Vittoria” per celebrare così il conflitto concluso con successo.

Risultato immagini per alessandria - arco di trionfo della battaglia del 1391

Facino Cane: sagacia e astuzia nei travagli d’Italia tra fine 300 e inizi 400

di Roberto Maestri:

Le vicende di Facino Cane e di Alessandria si incrociano nel settembre del 1403. Ad Alessandria nel mese di settembre i guelfi, comandati da Gabriele Guasco, si erano impadroniti della città e avevano innalzato la bandiera francese degli Orleans: il presidio della cittadella, rimasto fedele al governatore Zanotto Visconti, morto il giorno dopo esservisi rifugiato, stava per arrendersi agli assedianti. Il Guasco, con l’aiuto di trecento cavalieri, comincia a bombardare le mura della cittadella, ma i ghibellini viscontei resistono e l’unica possibilità di costringerli alla resa è quella di prenderli per la fame, speranza in parte delusa in quanto i ghibellini del terziere di Bosco riescono a introdurre di nascosto molta farina. Ma, nonostante questo stratagemma, alla fine di settembre i viscontei sono ormai disposti a trattare la resa con il Guasco.

La situazione si evolve improvvisamente: il 21 settembre Facino, con seicento cavalieri, raggiunge Alessandria, entra in Cittadella e avvia il contrattacco; i guelfi non sono in grado di opporsi e il Guasco è costretto a rifugiarsi in Bergoglio ..

Alessandria è saccheggiata per otto giorni e, dopo aver represso nel sangue ogni resistenza, Facino rivolge le sue attenzioni a Bergoglio, ancora nelle mani del Guasco, iniziando a bombardarne le mura e costringendo il 21 settembre gli occupanti alla resa e ad abbandonare la città; Gabriele Guasco si ritira in Asti e successivamente in Francia. Agli abitanti di Bergoglio è imposta una taglia di 22.000 fiorini d’oro. Facino fa riesumare dalla cattedrale di san Pietro le reliquie di san Evasio, patrono di Casale, che vengono alla fine trasportate solennemente nel duomo casalese.

Facino morì a Pavia nel marzo del 1412. Restano tracce della presenza di Facino in Alessandria? A mio avviso sì, e in bella evidenza. Presso la sala conferenze di Palatium Vetus possiamo ammirare in un affresco, la curiosa raffigurazione di un cane, in atteggiamento ostile, collocato come cimiero per un elmo, il tutto posto al di sopra di uno scudo scaccato di nero e di argento. Il disegno del levriero mi ha suggerito un collegamento dello stesso con Facino. Infatti, esaminando la bandiera del condottiero appare evidente come si tratti dello stesso cane, in altre parole di quel levriero che, come nella raffigurazione della bandiera, indossa un collare ed è presente anche sul sigillo del capitano di ventura. Lo scudo appartiene alla famiglia bolognese Pepoli e, in particolare, al conte Taddeo Pepoli, che fu governatore e podestà di Alessandria..I Trotti, rientrati in Alessandria, dopo la morte di Facino Cane, commissionarono l’affresco che ricordava: Trotti Andreino (le lettere T e A) e il bolognese Taddeo Pepoli la cui famiglia era stata cacciata da Bologna, nel 1403, da Facino Cane e, proprio ad una “vendetta postuma”, si riferirebbe il braccio che nell’affresco tiene “al guinzaglio” il condottiero.

Facino Cane - Wikipedia

Mayno della Spinetta

Bicentenario della morte di Mayno della Spinetta (1806-2006) | ISRAL Nacque a Spinetta Marengo in una famiglia umile e numerosa, figlio di Giuseppe Mayno (carrettiere) e Maria Roveda, Studia in seminario fino a quando, nel 1794, si arruola nell’esercito regio. Di carattere ribelle, dopo un litigio con un ufficiale, diserta il suo reggimento stanziato a Tortona, Si rifugia presso la comunità valdese del cuneese, in cui rimane fino al 1796, anno in cui si arruola nell’armata di Italia. Congedatosi nel 1803, il 19 febbraio dello stesso anno sposa Cristina Ferraris, nipote del parroco di Spinetta, Secondo la tradizione si diede alla macchia il giorno del suo matrimonio per aver infranto una legge degli occupanti francesi che vietava l’utilizzo di armi da fuoco durante le celebrazioni e ucciso uno dei gendarmi che ne contestava l’uso. Secondo altre versioni rifiuta con alcuni fratelli il servizio di leva nell’esercito napoleonico e diventa capo di una banda armata che arriva a contare, secondo le cronache popolari, 200 uomini a piedi e 40 uomini a cavallo. Da quel giorno entra nella leggenda popolare come l’eroico bandito che difende i contadini e la povera gente dalle angherie degli occupanti francesi. Diventa un simbolo del riscatto sociale e della resistenza alle truppe napoleoniche, un Robin Hood piemontese che si nasconde nel bosco della Fraschetta, zona alle porte di Alessandria e teatro della battaglia di Marengo ed organizza azioni contro le truppe francesi di stanza in quel luogo. Tra le azioni più famose della sua banda, le più clamorose sono l’aggressione al ministro Antonio Saliceti, commissario del governo napoleonico, al generale Eduard Jan-Baptiste Milhaud e nel novembre 1804 al convoglio di papa Pio vii diretto a Parigi per l’incoronazione di Napoleone. Le sue gesta proseguirono per tre anni, grazie alla collaborazione della popolazione e ad una leggendaria abilità nei travestimenti. Noto ai francesi come il bandito di Marengo, Mayno amava definirsi Re di Marengo e Imperatore delle Alpi in sberleffo a Napoleone. Il 12 aprile 1806, andando nottetempo all’abitazione della moglie Cristina, gli viene tesa un’imboscata favorita probabilmente da una spia. Prima di essere ucciso, Mayno riesce comunque a uccidere anch’egli tre gendarmi tra cui il luogotenente Gouin. Il corpo del Mayno, sfigurato dai colpi d’arma da fuoco e dai fendenti di spada, viene esposto per tutta la giornata in Piazza D’Armi ad Alessandria (oggi Cittadella), con appeso un cartello con su scritto “Così finisce Giuseppe Mayno della Spinetta, brigante”, Il suo corpo, gettato in una fossa comune, non sarà mai più rintracciato dopo il seguente fatto: il becchino che ha effettuato la sepoltura, tale Giacomo Sala, è stato infatti poi arrestato il 15 aprile poiché aveva sotterrato il cadavere di Giuseppe Mayno completamente nudo. La polizia ritenne che il motivo di tale gesto fosse il fatto che i vestiti del povero Mayno fossero stati venduti o conservati come reliquie.

Napoleone e la battaglia di Marengo

La battaglia di Marengo fu combattuta il 14 giugno 1800 nel corso della seconda campagna d’Italia, durante la guerra della seconda coalizione, tra le truppe francesi dell’Armata di riserva, guidate dal Primo console Napoleone Bonaparte, e l’esercito austriaco, comandato dal generale Michael von Melas.

La battaglia si svolse a est del fiume Bormida nei pressi dell’attuale Spinetta Marengo, nel territorio della Fraschetta, nell’odierna provincia di Alessandria. Lo scontro iniziò di primo mattino con l’attacco a sorpresa degli austriaci, che mise in grave difficoltà Bonaparte; le truppe francesi, dopo una strenua resistenza, sembravano condannate alla disfatta; quando la sconfitta appariva inevitabile, l’arrivo nel pomeriggio dei reparti di rinforzo guidati dal generale Louis Desaix permise a Bonaparte di contrattaccare e sbaragliare il nemico.

Alla fine della giornata il Primo console aveva concluso la battaglia con una grande vittoria, e l’esercito austriaco era in rotta a ovest della Bormida; il giorno seguente il generale von Melas chiese un armistizio. Nella fase culminante della battaglia il generale Desaix era stato mortalmente ferito.

La battaglia divenne subito uno degli eventi più importanti della leggenda napoleonica ed ebbe un’influenza decisiva dal punto di vista militare, ripristinando il predominio francese in Italia, e dal punto di vista politico, consolidando definitivamente il prestigio e il potere del Primo console Bonaparte in Francia.

Questo dice la storia e la celebrazione del trionfo napoleonico. Ma Alessandria? Che ne fu in quei frangenti? Ebbene, Alessandria pagò il trionfo francese a duro prezzo.

Partendo dalla Cittadella, le truppe passarono schierate attraverso la città con soldati, carriaggi e cannoni. Il genio francese aveva già provveduto a far saltare in aria il duomo con le cariche esplosive cosicché i soldati poterono proseguire verso via Dante e passare al di là dell’arco di trionfo. Eccone un’immagine

NAPOLEONE - CONVENZIONE ALESSANDRIA - ANNO -1800-1803

Rimangono ancora alcune cose da dire, sulla morte del generale Desaix e sul ricordo della battaglia in Alessandria e a Spinetta Marengo.

Cominciamo da Desaix:

Il 13 giugno, Desay ricevette l’ordine di staccarsi dal grosso dell’armata ed attestarsi fra Rivalta e Novi Ligure per tagliare un’eventuale ritirata verso Genova agli austriaci del Melas, mentre Napoleone si sarebbe attestato nei pressi di Marengo (Torre Garofoli). Qui il giorno dopo Napoleone fu attaccato di sorpresa dalle truppe di Melas e del suo capo di stato maggiore generale Zach, e venne messo in rotta, per cui inviò messaggeri per richiedere soccorso al Desaix.

La battaglia si stava praticamente concludendo con la sconfitta dei francesi, ma l’arrivo delle truppe di Desaix ribaltò il risultato e quella che avrebbe dovuto essere una vittoria austriaca divenne la vittoria francese di Marengo. Alla testa dei 10 000 uomini della 9ª Brigata di fanteria leggera, Desaix si lanciò contro il nemico e l’azione cambiò le sorti della battaglia, permettendo ai francesi di ottenere la vittoria finale dopo un aspro e sanguinoso combattimento.
Nel corso della carica Desaix morì, colpito al cuore da una pallottola in località Vigna Santa sulla strada tra Spinetta Marengo e San Giuliano Vecchio. Il suo corpo venne ritrovato alla sera.

Ecco il dipino che illustra la sua morte,

La morte del generale Desaix nella battaglia di Ma...

Se rifate oggi il percorso della battaglia troverete nella frazione di Spinetta Marengo il Marengo Museum, dedicato alla battaglia. Incarnazione multimediale dello storico centenario Museo di Marengo, venne aperto ufficialmente nel giugno 2009.. Il museo ha sede all’interno di Villa Delavo, edificata nel 1846 per opera del farmacista Giovanni Antonio Delavo. Al suo interno sono conservati reperti e cimeli dell’epoca, accanto ad opere realizzate da artisti contemporanei. All’esterno del museo si estende il parco della villa, con il monumento funebre dedicato ai caduti della battaglia e al generale Desaix.

Simbolo del Marengo Museum è la Piramide, edificata nel 2009 prendendo spunto da un’idea dell’allora console Napoleone Bonaparte che, alcuni anni dopo la conclusione della battaglia, emanò un editto per dare ordine di costruire una piramide, sullo stile di quelle egizie, a imperitura memoria della sua vittoria e dei caduti in battaglia, primo fra tutti il generale Desaix, .

Home - Marengo Museum

Per eventuali visite, consigliamo di sentire il Comune di Alessandria che è proprietario della struttura qui sotto illustrata.

Marengo Museum - Wikipedia

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