Troppa retorica “resiliente”

L’immancabile riferimento alla “resilienza” ha sostituito il latinorum nelle chiacchiere vuote e oltraggiose dei politici europei. Almeno Biden che è figlio di un venditore d’auto parla in modo semplice e diretto al popolo americano. Non è un’aquila, evita di dire cose che lui per primo trova complicate o artefatte e non capirebbe. Su Kamala Harris, fra parentesi, non ci sentiamo di essere così ottimisti, allo stato attuale sembra figlia delle stesse sofisticazioni ideologiche che tanto attraggono la “sinistra” contemporanea integrata nell’ideologia neoliberale.

La resilienza, si diceva, applicata in campo sociale ed economico, è infatti l’ultima invenzione del capitalismo. Un raggiro ideologico. Se soccombi è colpa tua che non sei resiliente. L’Europa propone un piano per diventare ancora più neoliberali, guarisci se sei resiliente (recovery, resilience, plan) cioè se sei disponibile a fare di buon grado le “riforme”. Allora ai più adatti, i più entusiasti nella selezione naturale erogheremo di buon grado le ambite risorse.

Negli USA e in Giappone non hanno fatto un “recovery plan”. Cioè non hanno inventato una corsa a ostacoli per accedere alle risorse. Un morto non può correre i 110 metri a ostacoli, disciplina bellissima ma per cui ci vuole molta tecnica e allenamento. Prima uno si deve ristabilire. Con pragmatismo keynesiano hanno quindi iniettato risorse liquide nel sistema economico per salvare il malato. La UE che è sempre più realista del re, mette la gara a premi prima del salvataggio del paziente. Il paziente moribondo o già morto, per la doppia crisi del 2008 e poi della pandemia da Covid-19, dovrebbe partecipare con entusiasmo alla gara a chi fa i più bei progetti. E così mettono la digitalizzazione, che sta sempre bene in vetrina, prima della messa in sicurezza del territorio da alluvioni, inondazioni e terremoti per cui ci vorrebbe un New Deal (di cui non si parla nemmeno più perché adesso c’è un nuovo gioco in città e si gioca solo a quello) con la possibilità di mobilitare tutta la popolazione sprofondata nel dramma della disoccupazione di massa. I parlamenti nazionali si accapigliano invece sul Recovery (perché certo sono in ballo grandi commesse per i soliti noti e le clientele spingono) e, per dimostrarsi virtuoso, il nostro governo da bravo scolaretto si inventa con la stessa logica il cashback e la lotteria degli scontrini. E poi i governi nazionali comprensibilmente ricattati dalla retorica della macchina europea stanno al gioco del momento, e questo è comprensibile, ma non hanno nessun piano B più serio e radicale sui cui parallelamente lavorare. La struttura europea non si cambia dall’interno, non si può cambiare nemmeno andandosene via, si può cambiare solo lottando dall’interno e dall’esterno in una prospettiva internazionalista. In politica mentre paro un colpo, devo anche essere pronto a sferrare una risposta, e i nostri governi, parlamenti e partiti non lo sono.

Quello della resilienza è un concetto preso dalla scienza dei materiali (è un “integrale” e rappresenta il lavoro della forza elastica per piccole deformazioni, cioè l’area sottesa alla deformazione elastica nel diagramma sforzi-deformazioni) e poi è stato utilizzato anche nell’ecologia e nelle scienze ambientali, e piaccia o meno è stato in questi ambiti, almeno, ben definito e circoscritto. E’ fin troppo facile contestare che noi non siamo elastici, poiché umani e fatti di carne e sangue, e se subiamo un’ingiuria fisica o morale possiamo ristabilirci, ma non ritorniamo uguali prima, fisicamente e psicologicamente, come un provino di caucciù sottoposto a compressione o a torsione. Al massimo siamo plastici – quindi duttili cioè tenaci, “resistenti” come i partigiani e non “resilienti” (ma mi immagino che tra un po’ diranno che i partigiani erano resilienti, essendo agghiacciante lo diranno di sicuro) – e oltre un certo limite ci snerviamo, ci rompiamo. Tolto dal suo ambito delle scienze fisiche e ingegneristiche, dove poteva restare benissimo senza nuocere alcuno, e spostato per una stucchevole volontà ideologica nel sociale, esattamente come il concetto di selezione naturale di Darwin, assume un significato ambiguo. Ma Darwin e ancora più il suo amico-rivale Wallace, attenti osservatori del mondo naturale, erano cauti o contrari ad applicare le leggi e i postulati della scienze naturali nel campo delle relazioni umane e delle scienze sociali ed economiche. Vale sempre la pena di ricordare che la via dell’inferno è lastricata delle migliori intenzioni. E soprattutto che i mielosi propositi “resilienti” non salveranno la politica dalla sua inutilità e dalla sua subordinazione al dominio totalitario del mercato.

Auguriamoci dunque per il 2021, che sarà un anno ugualmente complicato del 2020, più Resistenza e meno “resilienza”, aiutando noi stessi a recuperare quella dimensione politica e conflittuale scacciata dal dispotismo antidemocratico del mercato non regolato, senza cui non c’è reale progresso per la specie uomo.

Filippo Boatti – 30 dicembre 2020

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