Un Chien Andalou (1929) – Luis Buñuel

Un Chien Andalou è un riferimento a Federico Garcia Lorca, lo scrittore che da amico di Luis Buñuel e Salvador Dalì diventa vittima delle loro accuse. Lorca aveva origini andaluse e il “cane” sarebbe un epiteto di disprezzo del poeta.

Il film ritrae il regista che si appresta a compiere un atto “blasfemo”, il taglio dell’occhio di una donna, mentre guarda la Luna, che viene vista come specchio dell’occhio. Il cinema deve avere un nuovo linguaggio, una rottura con il cinema muto di quei tempi. Viene da collegare a questo violento taglio dell’occhio l’aspetto della castrazione, tema caro a Dalì, che sempre nel 1929 realizza due opere quali Gioco Lugubre ed Il Grande Masturbatore. L’occhio è simbolo di rottura con un mondo falso, che non vuole riconoscere l’inconscio: la visione del taglio dell’occhio deve creare disagio, oltre che una presa di coscienza, un passaggio al mondo dell’interiorità. La Luna, spezzata dalla nuvola, è metafora di un cinema nuovo, che deve “aprire gli occhi”, per dare la possibilità alla verità autentica di emergere.

La fine della verginità è il rito di passaggio dal mondo dell’innocenza a quello del “delitto”, in cui si impara a conoscere la vita attraverso la morte, violenta presa di coscienza dell’individuo. Quale può essere atto più blasfemo se non l’annientare la divina luce riflessa del Sole, simbolo del Bene? La Luna ha un “lato oscuro” che deve essere scoperto: l’occhio, similmente, deve essere superato. Tale passaggio è fatto di castrazione e blasfemia, un rito per entrare in un’altra dimensione.

La concezione del tempo, slegata dalla logica, vagamente ciclica, ha lo scopo di creare dei protagonisti quasi eterei. Forse una suggestione onirica, comunque la scansione del film suggerisce proprio un cammino per assurdo, come fossimo in un sogno. I protagonisti si trovano in scene dove emerge l’assurdo e il surreale e dove l’elemento che troviamo sovente è una scatola, che diviene l’elemento collante del film.

In questo turbinio di immagini emerge una sequenza fondamentale: un uomo, che vuole violentare una donna, si carica sulle spalle due corde, un giogo, con cui tira a sé due pianoforti, due preti e due asini morti. L’immagine evidenzia il peso della condizione borghese del personaggio, che dietro al tentativo di stupro nasconde il peso delle convenzioni che influiscono sul suo essere: il pianoforte è simbolo della sovrastruttura culturale dell’individuo, pressato dal clero, quindi dalla presunta etica cattolica, e dal classismo, inteso come prevaricazione sul proletariato e sul contado, rappresentati dagli asini morti. L’uomo borghese è un essere perverso, vittima delle consuetudini e delle idee clerico-borghesi, che si impone dei gioghi, delle limitazioni, anche in ambito sessuale, e che nega l’umanità degli sfruttati, che possono solo vivere e morire come bestie da soma: notiamo l’influenza di Marx su Buñuel.

All’aspetto onirico va aggiunto un aspetto sociale, ovvero la critica alla condizione dell’individuo, un borghese, come nel capolavoro di Robert Louis Stevenson Lo Strano Caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde: l’uomo è un replica di se stesso, il suo doppio (vedi la scena in cui l’uomo uccide il suo sosia), vittima delle passioni e del peccato, che l’uomo stesso si crea da solo. Il borghese Jekyll è “sosia” di Hyde, il maligno, il pervertito, ed è vittima della Chiesa e dello Stato borghese.

In questo mondo dell’assurdo, l’uomo risulta come un “animale”. La donna però non è affatto migliore di lui: infatti, a primavera, il tempo dell’amore, troviamo uomo e donna sepolti, morti, nella sabbia, nell’ipocrisia delle loro aspettative. Il presunto sogno, che vede i due “superare” il passato, rappresentato dalla scatola, ma destinati a marcire come gli asini, è un nuovo modo di vedere il cinema, una nuova ricerca che ha lo scopo di scardinare le verità della nostra società ipocrita, per svelare quelle intime che l’uomo spesso rifiuta o non è in grado di riconoscere.

Marco Penzo

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