Un Occidente alla deriva?

Non è possibile mettere in discussione il fatto che Occidente, Europa, Modernità siano intrecciati in una sola cosa. E’ assodato che la civiltà occidentale sia nata in Europa e su questo non vi sono dispute fondate. L’Occidente-Europa ha segnato la storia universale. Perfino a livello divulgativo (si veda, per esempio, il recente volume di successo di Aldo Cazzullo, “Quando eravamo i padroni del mondo) si sostiene che l’impero romano è l’architrave della nostra civiltà. Paul Valery afferma che, se non proprio tutto, quasi tutto “è venuto dall’Europa e tutto è partito da lei”, e Umberto Cerroni, in un volume ormai di vecchia data riguardante “Le radici culturali dell’Europa”, scrive che “l’Europa è stata un perno essenziale della storia del genere umano, il luogo centrale dell’attività politica’ culturale e scientifica dell’intero pianeta”. C’è da restare davvero meravigliati nel constatare come un piccolo continente (il più piccolo), senza confini certi, abbia potuto fare tutto questo. Il grande storico Fernand Braudel, non senza un qualche stupore, rileva: “Su una carta geografica del mondo l’Europa quasi non si vede. Tutt’al più può sembrare un promontorio dell’Asia, una sporgenza, un angolo, ma che esprime una propria forte attrazione”.

Non pochi però oggi sostengono che questa civiltà e questa cultura siano non solo in declino, ma a rischio di scomparsa, e vanno affermandosi movimenti di insulso primitivismo culturale come il “cancel culture” e “decolonizing classics”. Anche uno studioso autorevole come Franco Cardini, col suo recente volume “ La deriva dell’Occidente” (Laterza), non nasconde un certo pessimismo sul futuro dell’Occidente e dell’Europa e sembra anche lui colpito da quello che già nel secolo scorso Ivan Gall denominava eurococco, un “bacillo” che di frequente infetta l’Europa.

La prova principale del declino egli la vede nel ritorno da protagonista del “Padre Polemos” (come titola un paragrafo del libro), cioè non solo di conflitti locali ma di vere e proprie guerre. E non pensa solo a quella recente tra Russia e Ucraina(quando ha scritto il libro naturalmente non poteva immaginare lo scoppio dell’attuale conflitto israelo-palestinese), ma anche a quella poco considerata della “maledetta primavera del 1999, con i bombardamenti della NATO su Belgrado e sulla Serbia con tanto di ‘bombe a grappolo’, uranio impoverito e stragi di civili innocenti”. Tutto ciò , per Cardini, deve essere considerato proprio la prova ulteriore della persistente volontà di potenza che accompagna l’Occidente-Europa almeno a partire dal XVI-XVII secolo, quando con le nuove scoperte geografiche e le nuove invenzioni scientifiche (vedi il paragrafo “Vele e cannoni”) l’Europa diventa padrona del “resto del mondo” non governandolo, ma assoggettandolo con lo “sfruttamento della forza-lavoro e delle ricchezze del suolo e del sottosuolo all’ombra del nome di Dio e della volontà divina”. La sua cultura, il suo sistema di valori, pertanto, altro non sarebbero stati che un ulteriore strumento di dominio. La sua stessa “Carta” dei diritti universali dell’uomo è considerata “un’espressione di quella volontà di potenza”. E a una volontà di potenza sono piegati anche i principi, propri della modernità, dell’uguaglianza e della libertà. Insomma: l’Europa-Occidente ha elargito -apparentemente- come una “grande benefattrice” la libertà, il progresso, la ragione, la scienza solo per “assolversi serenamente” da “tutte le violenze, i furti, gli orrori, le menzogne e le infamie di cui si è resa responsabile nella sua conquista del mondo”.

E’ evidente che per Cardini abbiamo una cultura sostanzialmente impotente, senza capacità di incidere positivamente nella pratica, senza un ruolo autonomo specifico, copertura e, addirittura, complice della incivile pratica occidentale. Secondo lui, lo “spirito dell’Occidente” è “profondamente ‘mefistofelico’, quindi tragico e contraddittorio, animato da forti valori etici e da una illimitata Volontà di Potenza”. La vera natura di questo “spirito” risiede, dunque, “nell’obiettiva contraddizione tra una forte vocazione umanitaria e una non meno forte volontà d’assoggettamento e di modificazione del mondo, della natura, della storia”. E incalza: “Al fondo di questa contraddizione tra supposte o addirittura esibite intenzioni e realtà pratica sta probabilmente l’autentico dramma della schizofrenia di quella che definiamo civiltà occidentale: la sua Weltanschauung fondata sulla dignità e la libertà della persona umana, sulla tolleranza, sui diritti dell’uomo, sulla ricerca della felicità, e la sua prassi politica radicata in ultima analisi su una dura e illimitata Volontà di Potenza”.

Benchè sia assolutamente vero che l’Occidente soffre di una lacerante contraddizione fra la sua cultura e la sua politica, bisogna aggiungere subito che è però difficile accettare senza molte riserve di sostanza il ragionamento complessivo di Cardini. Da un lato, è un fatto indubbio che l’intera storia dell’Europa è caratterizzata da una politica spesso miserabile e violenta, che ha contrapposto nel corso di un lungo tempo di volta in volta il mondo romano al mondo germanico, la Francia all’Inghilterra, la Germania alla Francia, la Spagna all’Inghilterra, l’Italia al mondo austro-tedesco, ecc. Ma, dall’altro lato, bisogna anche chiedersi come mai poi ciò non ha impedito che fiorisse una cultura d’alto livello -il più alto nella storia dell’umanità- e che la vera connotazione dell’Europa stia non tanto nei suoi numerosi contrasto e conflitti, nelle sue guerre crudeli, quanto proprio nella sua dimensione culturale. Chiedersi come mai una politica disumana per aver partorito la mostruosità dell’olocausto è stata possibile in una Europa capace di produrre “la civiltà classica, il cristianesimo, le grandi letterature nazionali, la grande filosofia e la grande arte, la scienza, la musica”(U. Cerroni). Dobbiamo insomma saper cogliere la complessità di una storia capace per un verso (con Dante, Michelangelo, Leonardo, Galilei, con gli inglesi Shakespeare e Newton, con i francesi Molire e Celine, con i tedeschi Kant e Einstein, con gli spagnoli Cervantes e Picasso, con l’austriaco Mozart, con altri grandi intellettuali e artisti provenienti da ogni paese europeo) di darsi orizzonti culturali comuni e, per un altro, colma di separazioni e di disastri politici.

In ogni caso, dobbiamo certamente fare nostro, se non l’obbligo, almeno l’auspicio, formulato dallo stesso Cardini a conclusione del suo lavoro, di continuare a credere nell’Europa: “L’Europa di san Benedetto, delle cattedrali, delle università. L’Europa libera e unità. La nostra dolce, carissima Europa”.

Egidio Zacheo

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