E’ uno strano paese il nostro. Non conosce il dolore.

Non entro volentieri ma solo per disperazione nelle questioni che esulano dalla mia modesta attività da tavolino. Sento il mondo come un campo di forze avverse, senza controllo e senza limiti,dove non c’è posto per l’opinione di una persona solitaria, quale io mi sento, e se c’è solo per un attimo. Subito dopo si può venire schiacciati. Oppure resi invisibili. Qualsiasi gesto non ha forza. Allora, se dico: intervenire per disperazione, che cosa intendo?. Intendo intervenire perchè una vecchia convinzione morale , e un senso innato di solidarietà con la vita, m’hanno imposto di farlo.”

Anna Maria Ortese iniziò nell’estate del 1997 una campagna stampa contro la pena di morte commutata, allora, dal tribunale statunitense a Joseph O’ Dell per omicidio di primo grado con aggravanti, in un processo molto discusso.

L’America – continua la Ortese – è uno strano paese. Non conosce il dolore. Forse perchè è molto forte, ma anche perchè non esce dall’infanzia. ….…La sua anima semplice si è chiusa in casa. Nello zoo di vetro”.

Di questo ( e molto altro) ne abbiamo nuovamente avuto conferma pochi giorni fa, dinanzi all’esecuzione di Kenneth Smith, avvenuta tramite azoto puro, che avrebbe causato al cinquantenne dell’Alabama una agonia atroce, durata più di venti minuti.

Non so se posso dirmi cristiana, ma temo di credere in Cristo”, scrisse sempre la Ortese in una confessione che soltanto in apparenza può sembrare paradossale.

Questa donna ha fondato sull’etica della misericordia tutta la sua vita e tutta la sua opera. Non c’è un solo luogo dei suoi scritti che non urli alla pietà del mondo, non una sola riga che non gridi al cambiamento, al mutuo soccorso, alla solidarietà, al perdono.

Oggi, 3 febbraio, si onora il giorno della nascita di Simon Weil, donna di mistica estrema, una delle molte donne, come la più luminosamente carnale Etty Hillesum, che ci parlano di perdono.

In un mondo come è oggi divenuto il nostro è ancora possibile mettere in vita le loro parole, frutto di esperienze vissute e vive nella loro carne e nel loro spirito?

“Il perdono esiste là dove vive l’imperdonabile “scrive Derridà e oggi l’ imperdonabile lascia tracce di sangue su tutte le nostre mani. Non ci possiamo tirare fuori da nulla. Ma lo vediamo?

L’infantilismo che già indicava la Ortese è oggi talmente evidente da rendere chi lo vede disperato. La stessa disperazione della Ortese fatta da una vecchia convinzione morale e un senso innato di solidarietà con la vita: un banchetto a cui siamo tutti invitati.

Una fiumana di gente si affolla intorno a noi, esseri umani sconfitti, disperati e traditi.

Occhi grandi da animali feriti, visi ossuti e corpi macilenti, madri e neonati come tante Madonne col Bambino, stipano sterili racconti televisivi; continue ripetizioni di immagini hanno inebetito ogni coscienza e, anche se, come scrive James Hillman : “ l’inconscio è il mondo là fuori”, noi evitiamo ogni contatto sia col nostro dentro che col nostro fuori.

Che il perdono sia così inaccettabile proprio perchè non sappiamo più dove collocarne l’essenza?

Chi siamo noi? Cosa sentiamo, viviamo, amiamo? Chi perdona chi?

Solo la schiera sempre più disumana dei poteri imperanti, che anestetizza anime e pensieri, ha l’incoscienza di chiederlo a chi è talmente dentro al vuoto, che il dolore offre come redenzione, da non lasciare il tempo per poterlo contattare, e dire no alla bestialità della domanda e all’irresponsabilità di chi la pone. E così quel vuoto salvifico rimane inascoltato.

Un’altra pietra è posta sopra il possibile incontro con la nudità integra della Vita.

Il perdono ha una logica dissennata, è un incontro che disarma e rende vulnerabile, una nota musicale sconosciuta che entra e sveglia il cuore e scioglie le viscere, è un imprevedibile e un sovversivo ardore, è lo scandalo di cui Gesù è sano portatore.

Il perdono è, come la musica: movimento di idee archetipiche, e devi imparare a conoscerne il ritmo, a non stonare, a misurarne profondità e altezze, devi saperlo attrarre come un torero fa col toro e nello stesso tempo sapere che sarà lui a ficcare la spada dentro di te.

“Sono venuto a portare la spada “. Una ferita che ogni volta smetterà di sanguinare se saremo capaci di umiltà e silenzio.

“Nulla è mai per sempre, ma essere stato una volta, inevitabile sembra”, scrive Rilke.

La novità del Discorso della Montagna ( che da più di 2000 anni ci interroga ) è talmente lussureggiante e fiammeggiante da farcela tenere sempre in esilio. La lasciamo sul sagrato della nostra sacralità più profonda, quella che ci accomuna a pietre e alberi e animali e ci fa dono alla Vita, da cui nasciamo ogni volta pronti al salto nel suo Mistero.

di Patrizia Gioia

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*