“Verso il Kurdistan” un patrimonio locale poco considerato

In provincia di Alessandria abbiamo un grande privilegio e, probabilmente, non ce ne accorgiamo. … Come di molte altre belle cose che abbiamo sotto il naso , ma non consideriamo appieno per quanto valgono. L’associazione “Verso il Kurdistan” è una di queste. Da più di vent’anni si interessa della questione kurda, di fratellanza fra i popoli, di rispetto per ogni tipo persona e cultura, perchè il colore della pelle, le scelte religiose, il modo di vestirsi, non devono essere motivo di divisione ma di inclusione e curiosità reciproca. Nel nome della tolleranza. Ecco, l’associazione “Verso il Kurdistan” è questo e molto altro. Riesce ad organizzare annualmente più di un viaggio solidale nelle aree mediorientali più difficili e tartassate dalla guerra, riesce a portare solidarietà concreta e a realizzare progetti , anche ambiziosi. Ad Alessandria si trova in Via Mazzini 118. 

E ora la parola ai protagonisti. Appena ritornati da uno dei molti “viaggi solidali”

Viaggio solidale nel Kurdistan Basur (15 marzo – 23 marzo 2019) da Hewler fino al Campo di Makhmur, alla partecipazione ai grandi festeggiamenti del Newroz a Makhmur e a Qandil, alla visita agli scioperanti della fame, agli incontri con la società civile in lotta.

Arriviamo al Campo di Makhmur mentre albeggia. All’ultimo posto di blocco, l’attesa è snervante, oltre due ore.

In tarda mattinata, incontriamo Fadile Tok, nell’area dedicata ai martiri. Porta una mascherina azzurra sulla bocca, è da 56 giorni in sciopero della fame, è determinata a continuare ad oltranza. Altri compagni presenti, anch’ essi con la mascherina, stanno, invece, sostenendo lo sciopero della fame a rotazione. Si alimentano solo con acqua, zucchero e vitamina B.

Fadile Tok è un’attivista kurda che, da parecchi anni, lavora per le organizzazioni delle donne.

“Non so da dove venite – ci dice – ma non importa, questa visita mi fa molto piacere. Tante persone sono in sciopero della fame, certo, è una scelta estrema, una protesta che viene fatta con il nostro corpo. Noi sappiamo che moriremo perché la Turchia non accetterà mai nessuna mediazione sulla fine dell’isolamento del nostro leader, Ocalan, e neppure vorrà trovare una soluzione della questione kurda”.

Leyla Guven è al 129° giorno di sciopero della fame (ndr – era il 16 marzo), in carcere ci sono 300 persone in sciopero della fame da 90 giorni; a Strasburgo, in Gran Bretagna e in Olanda sono in sciopero della fame da 89 giorni. Il Comitato Europeo contro la Tortura (CTP) non dice nulla: il suo ruolo sarebbe quello di andare a controllare quello che succede nelle carceri, ma su Imrali è calato un colpevole silenzio.
Anche i famigliari dei detenuti stanno cominciando a fare lo sciopero della fame ad oltranza, come i loro parenti dietro le sbarre.

“Noi siamo dispiaciuti per l’Europa – prosegue – per quell’Europa democratica e solidale che contava sui diritti delle persone. Invece, oggi, a livello europeo non abbiamo visto né sentito nulla. Ecco, noi vogliamo che voi siate la nostra voce”.

L’incontro si conclude con un abbraccio emozionante e doloroso.

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Nel pomeriggio, siamo saliti verso i pascoli per vedere la vallata bombardata dai droni turchi circa un mese e mezzo fa. Una ripida salita, su una strada dissestata e accidentata che sovrastava il Campo, ai lati greggi di pecore e capre – come non se n’erano mai viste a Makhmur – brucavano, in messo alle pietre e ai sassi, la prima erba primaverile, accanto a casupole basse ed ovili. Più tardi, ci è stato spiegato che il Campo ha ottenuto l’autorizzazione al pascolo sui terreni limitrofi, per questo c’erano così tanti greggi ed ovili.

Si trattava di un’area, quella dov’era avvenuto l’attacco, vasta e rocciosa, con numerose buche sparse provocate dalle bombe che non hanno risparmiato le misere casupole e neppure gli ovili; una casa aveva il tetto sfondato e al centro della cucina un buco profondo circa otto metri dov’era finita una bomba ancora inesplosa.

Il risultato finale di quell’attacco contro i “terroristi” è stato di quattro civili uccisi, due bimbe di 10 e di 12 anni e di due madri, una di 35 e l’altra di 50 anni, insieme a capre e pecore sventrate.

La giornata si conclude alla Caffetteria delle donne, un locale ampio, tappezzato di kilim alle pareti, con accoglienti poltrone, davanti a due vassoi colmi di dolci e un originale caffè preparato con frutti di pistacchio selvatici, una pianta che cresce in montagna in luoghi asciutti. Ci dicono di aver provato a coltivarla, ma, ahimè, senza risultato.
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Il mattino seguente è il 17 marzo, giornata deputata all’acquisto del generatore elettrico per l’ospedale di Makhmur, in modo da rendere l’ospedale autonomo e funzionante 24 ore su 24 senza dover essere soggetti alle frequenti interruzione di corrente elettrica.

Prima di partire, si fa colazione tutti insieme, in un grande tavolo all’aperto, posto sotto una tettoia di fronte alle stanze degli ospiti, tutti insieme, kurdi ed italiani, davanti ad abbondanti tazze di cay, olive nere, marmellate, formaggi alle erbette, pane.

Parlate diverse, storie che si intrecciano, sorrisi da volti scavati che dimostrano un’età che non hanno..

Il giardino antistante, non è un vero e proprio giardino. Accanto all’esile erba di un praticello in divenire, spuntano piccoli cipressi, ulivi, oleandri, piante di fico, di limoni, allori, arachidi, alcune tamerici, piccole palme: orto e giardino insieme.

Ad Hewler, ci rechiamo subito nella zona artigianale per l’acquisto del generatore. Com’è nella tradizione dei paesi arabi, la trattativa è lunga e complessa, con interlocutori intercambiabili e frequenti pause per il cay.

Dopo ore, finalmente si conclude: costo del generatore 16.500 dollari, compresa l’installazione, e, con i soldi risparmiati, ovvero 1.500 dollari, acquisto di un compressore per la ricarica delle bombole di ossigeno dell’ospedale del Campo che ne era sprovvisto.
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La sede dell’HDP (Partito della democrazia dei popoli) di Hewler si trova in un’accogliente palazzina circondata da un bel giardinetto con la gente seduta fuori a sorseggiare l’immancabile cay (il tè).

Nella sede, si trova un ragazzo di 26 anni, Nazir Yagiz in sciopero della fame dal 117 giorni (ndr – 17 marzo 2019). Ha iniziato lo sciopero della fame tredici giorni dopo Leyla Guven, con le stesse motivazioni, ed è determinato ad andare fino alla fine.

Lo incontriamo. E’ steso sul letto, scarno in volto, con un po’ di barba, non parla, ci saluta con le dita divaricate a V e poi regala a Lucia, per ricordo, una kefia kurda che stava posata sul comodino accanto al letto.

Esprimiamo poche parole di solidarietà e di vicinanza, qualcuno si commuove e pensa all’immane sacrificio di questo popolo straordinario dimenticato da tutti.

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La nuova struttura dell’ospedale di Makhmur comprende: un pronto soccorso, due ambulatori, una camera di degenza con quattro posti letto per le emergenze, una sala parto e incubatrice (da ottobre dello scorso anno, sono già nati 11 bambini), un centro per i raggi x, un laboratorio analisi, un reparto fisioterapico e un centro per ragazzi down. Sono impegnati nella struttura quattro medici volontari del Campo che ricevono un contributo di sussistenza, ma che non possono operare in quanto non sono in possesso della cittadinanza irachena e dunque impossibilitati a specializzarsi.

Incontriamo il direttore sanitario, Dr. Mehmet Unver: “Arrivano molte persone da fuori – ci dice – addirittura da Kirkuk e da Hawler, segno che la struttura funziona bene. E’ importante il contributo che ci avete dato con l’acquisto del generatore elettrico e del compressore per le bombole di ossigeno che ci permette di essere più operativi. Ora, abbiamo l’urgente necessità di un’ambulanza attrezzata, perché quando trasportiamo i malati o i feriti ad Hawler c’è il rischio che muoiano per strada com’è già avvenuto: le strade sono sconnesse, ci sono parecchi posti di blocco, almeno sei, e, per il trasporto, ci serviamo dell’auto e di altri mezzi di fortuna. L’unica ambulanza che avevamo ci è stata rubata da Daesh quando ha occupato il campo per un solo giorno”.

Molti malati del Campo vengono curati a casa. Ogni quartiere ha costituito un gruppo di lavoro per seguire i malati a domicilio del proprio quartiere. C’è l’obiettivo di ingrandire il reparto fisioterapico attrezzandolo con una piscina di acqua calda.

Il Centro per i ragazzi down è un’eccellenza unica in zona, non esiste un centro di questo tipo né ad Hewler, né a Mosul, né a Kirkuk.

Un altro tipo d’intervento che la struttura dell’ospedale ha predisposto è quello dell’intervento nelle scuole – dove studiano 3.500 bambini – per fare educazione alimentare.

Le cure e i medicinali vengono forniti gratuitamente alle famiglie che non possono pagare, altrimenti chi può contribuisce. E questo vale anche per chi viene dall’esterno, indipendentemente dal fatto che siano kurdi, arabi, yazidi, cristiani..

La delegazione italiana ha preso atto dei notevoli progressi fatti, si è impegnata a raccogliere i soldi per l’ambulanza (35 mila euro!) nel più breve tempo possibile, coinvolgendo anche altre associazioni, e, nel contempo, è tornata a sollecitare il completamento dell’ospedale rimasto a metà in modo da riunificare tutti i servizi sanitari in un’unica struttura.

Arzu Ilhan, co-sindaca di Makhmur ha iniziato il suo intervento spiegandoci il tipo di organizzazione democratica del Campo, dove centrale è l’Assemblea popolare che comprende anche i rappresentanti della municipalità: tutto si decide lì. Ovvero, decide gli interventi da farsi per le strade, per l’acqua, per l’illuminazione, le fognature.

In ogni quartiere, c’è, poi, un’assemblea che elegge il rappresentante per l’assemblea popolare, che deve portare i problemi di quel quartiere.
Ogni settimana, si riuniscono le nove persone della municipalità per mettere in atto le decisioni assunte dall’assemblea popolare; una volta al mese, viene fatta una relazione all’assemblea popolare e all’assemblea delle donne su quanto realizzato. Ogni due mesi, deve essere predisposta una relazione scritta all’assemblea popolare in merito al bilancio della municipalità.

Periodicamente, i rappresentanti dell’assemblea popolare organizzano riunioni in ogni quartiere per discutere con la popolazione sulle cose risolte o meno.

Oggi, il Campo di Makhmur è stato riconosciuto come municipalità, e, per questo, riceve un piccolo contributo dallo Stato centrale. L’Onu, invece, non c’è più a Makhmur, dal 2014 non è più stato realizzato alcun progetto con l’aiuto dell’Onu.

La popolazione del Campo è aumentata, si sono formati nuovi quartieri, ma non si riescono a fare nuovi progetti per mancanza di fondi. C’è il problema delle fogne scoperte che, soprattutto d’estate, sono maleodoranti e inquinanti.

La corrente elettrica arriva con intermittenza, al massimo per dodici ore al giorno.

Un grosso problema è quello dell’acqua: la rete idrica è stata realizzata in base alla popolazione presente nel Campo nel 2010 – 9 mila abitanti – ora la popolazione è di 14 mila. L’acqua potabile scarseggia e non è di buona qualità.

“Per adesso – ci dice la co-sindaca – abbiamo messo nelle scuole i depuratori per la potabilizzazione dell’acqua, per il resto vedremo. Oggi, il 90% della popolazione di Makhmur ha problemi ai reni e ai denti a seguito dell’acqua non potabile”.

Delegazione Italiana nel Kurdistan Basur
Marzo 2019

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