Nel Gennaio del 2019 sono stato operato per un tumore all’intestino, diagnosticato da alcuni mesi.
Ricoverato nell’ospedale civile di Siena, devo dire che tutto ha funzionato per il verso giusto all’inizio.
Accoglienza, spiegazione da parte del chirurgo e infine ricovero pre-operatorio: tutto sembrava svolgersi nel migliore dei modi.
E’ stato effettuato l’intervento, durato alcune ore, infine mi sono risvegliato in condizioni abbastanza soddisfacenti.
Alcuni giorni dopo un trio di medici, fra i quali il primario, il chirurgo che mi aveva operato e un altro medico hanno espresso soddisfazione per l’intervento e comunicato che la ricanalizzazione sarebbe stata possibile dopo circa 40 giorni, giorno più giorno meno.
Mi sono rincuorato e ho iniziato ad attendere pazientemente la chiamata per l’intervento.
Arrivato al primo Aprile, mi sono rivolto allo sportello 27, addetto alla programmazione degli interventi: la risposta è stata nebulosa, senza avere nessuna data.
Allo stesso sportello mi sono presentato il primo Maggio, con lo stesso esito, poi il primo Giugno e anche il primo Luglio.
Tutto rimaneva avvolto nel mistero, finché a fine Luglio, dopo aver sollecitato l’intervento del chirurgo che mi aveva operato, sono venuto a sapere che finalmente si poteva programmare ed effettuare l’intervento.
Così, il 30 Luglio, ho potuto ricanalizzare la ferita, richiudere la stomia e eliminare il sacchetto, che mi aveva accompagnato per tanti mesi.
Ma perché tanto ritardo? Sono venuto a saperlo a metà Luglio da un dottore, a cui casualmente avevo chiesto conto del lungo periodo di attesa.
Semplicemente le giornate in cui erano disponibili le sale operatorie si erano ridotte, e precisamente da due giornate a una soltanto durante la settimana, probabilmente a causa delle vacanze estive.
Sinceramente questa spiegazione mi è sembrata un po’ stiracchiata, anche perché avevo saputo da varie fonti che interventi simili, sia in Italia che in paesi europei, quali la Svizzera, comportavano una programmazione totale di circa 4 mesi, cioè due mesi fra il primo intervento e la ricanalizzazione, e poi altri due mesi per un recupero quasi totale, sempre nel caso che non ci fossero state complicazioni.
A questo punto mi sembra che i 4 mesi di ritardo rispetto ad una programmazione ragionata e giustificata siano effettivamente dovuti a un fenomeno di dis-organizzazione, che purtroppo riguarda molta sanità italiana.
Da un lato, questo ritardo di vari mesi, senza nessuna apparente giustificazione, ti fa pensare ad una struttura che non dà risposte, come il Tribunale ne Il Processo di Kafka, qualcosa che dietro un’apparenza di razionalità nasconde in realtà una Moira, una forza fatale contro cui nulla si può.
E, se da un lato sembrerebbe che i pazienti siano trattati come dei sudditi (Untertan), bisognerebbe ricordare ai dirigenti dell’ospedale civile di Siena che dalla Rivoluzione Francese in poi i loro pazienti sono dei Cittadini, non dei sudditi.
Inoltre, cari dirigenti, chi mi ripagherà dei 4 mesi persi per la mia attività, che è appunto un’attività autonoma, per cui ogni giorno perso sono guadagni perduti?
Ciò detto, vorrei fosse chiaro che il mio appunto e la mia critica costruttiva non sono rivolti ai chirurghi, agli infermieri, agli inservienti, ma all’organizzazione, che può essere una brutta parola in italiano, ma non sicuramente sull’asse Svizzera-Svezia, dove è amata ed apprezzata.
Anno: 1982 – città: Lione, Francia
Lavorando in quel periodo in Francia, avevo sentito parlare lungamente di un professore dell’Università di Lione, luminare in oftalmologia e oculistica, che era particolarmente apprezzato in tutta la Francia.
Visto che soffrivo – e soffro – di una miopia accentuata, ho deciso di farmi visitare per avere un parere autorevole sulla mia malattia.
Dopo circa 2 mesi e mezzo, ho ricevuto una telefonata in cui mi veniva fissato l’appuntamento per una visita nello studio del rinomato professore, di là a qualche settimana.
Con mio stupore mi veniva detto di trovarmi in tale studio alle ore 3.30 del mattino, quindi praticamente di notte e mi si chiedeva di essere particolarmente puntuale.
Molto incuriosito, sono arrivato puntualmente nello studio, ho visto una serie di persone in attesa, molte delle quali arrivavano da tutte le parti della Francia.
Entrato finalmente alla presenza del luminare, il Prof. Aslan, il vecchio e distinto signore mi sottopose a una visita accuratissima, dopo aver letto con attenzione i precedenti referti scritti in italiano.
In quei 45 minuti mi furono chiesti casi di miopia in famiglia, malattie parentali e tutta una serie di domande pertinenti al mio disturbo.
Devo dire con onestà che né prima né dopo sono stato mai sottoposto a una visita oftalmica così accurata e professionale.
Dopo 45 minuti sono uscito dal colloquio con la raccomandazione di farmi vivo dopo 2 anni e di seguire una dieta compatibile con il disturbo.
Nel frattempo, la sala d’attesa si era ulteriormente affollata e ciò mi fece comprendere quanto fosse apprezzato quel professore.
Ecco, questa visita mi è sempre sembrata un buon esempio di rispetto del paziente, serietà deontologica, qualità professionale e soprattutto volontà quasi missionaria, anche se non voglio fare paragoni con la vita di un Dottor Albert Schweitzer a Lambaréné.
Non sarebbe male prendere esempio da un personaggio così.
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