Chi voterà per il partito artificiale

Quando, nella primavera del Duemila, pubblicai Il Partito personale, il fenomeno aveva già conquistato l’Italia, ad opera di Berlusconi. Nondimeno, gli altri leader politici continuavano a fare spallucce, considerando il Cavaliere una meteora e aspettando di riprendersi il potere con i vecchi partiti oligarchici. Ma ero stato facile profeta. Oggi, ci sono solo partiti personali, perfino il Pd – col solito ritardo – si è adeguato. La ragione è semplice. Vince chi controlla la sfera comunicativa. E le tecnologie comunicative favoriscono la personalizzazione. Sarebbe il caso, allora, di domandarsi come sarà – e chi gestirà – il Partito artificiale. Visto che esistono pochi dubbi sul fatto che la AI generativa sta rapidamente diventando la tecnologia dominante.

Qualche indicazione interessante emerge dall’anello debole della riproduzione sociale, l’emarginazione giovanile. Un anello che i politici continuano a trascurare, e che potrebbe diventare il laboratorio di nuove forme di dissenso – e consenso. Ieri, su queste colonne, Scotto di Luzio tracciava il quadro drammatico del rapido svuotamento delle città piccole e medie del Mezzogiorno delle risorse umane più preziose, per l’emigrazione negli atenei del centro-nord di quote crescenti di studenti. Il motivo è noto: la ricerca di una formazione migliore e di sbocchi lavorativi adeguati. E, soprattutto, di un contesto civile che si nutra di – e alimenti – entrambi. Su questo ecosistema giovanile in evoluzione l’AI generativa impatterà in modo massiccio, per almeno tre dimensioni.

La prima è l’occupazione. I dati già mostrano impietosamente quali e quante funzioni stiano venendo rimpiazzate dagli algoritmi GPT. Si tratta, per lo più, di posizioni che oggi vengono definite consulenziali. Un termine che poco o niente ha a che vedere con le prestazioni ben retribuite dei professionisti di venti anni fa, ma fotografa un arcipelago di partite iva e contrattini a tempo determinato che svolgono mansioni di supporto organizzativo e amministrativo per grandi e piccole società. Proprio quelle funzioni che la General Purpose Technology è in grado di sostituire a costi estremamente più contenuti.

La seconda è la formazione. Il modo obbligato per sfuggire alla tenaglia della disoccupazione intellettuale è di elevare il proprio grado di qualificazione. Ma i migliori atenei sono già saturi, i costi degli alloggi esorbitanti, la stretta meritocratica spesso insostenibile. La digitalizzazione offre una alternativa praticabile e di qualità, come mostrano i programmi offerti online da università internazionali prestigiose. Ma manca del tutto un intervento – e coordinamento – pubblico. L’unica – limitatissima – azione Pnrr prevista per la Digital education è ferma al palo, lasciando praterie allo sviluppo impetuoso delle telematiche. Che rischiano di diventare i protagonisti della formazione online oggi, e di quella GPT domani.

E qui troviamo la terza dimensione nella partita tra AI e giovani, la scolarizzazione secondaria, quella in cui vengono acquisite le coordinate fondamentali della cittadinanza attiva. Le 80mila assunzioni di insegnanti previste per questo autunno e il piano del ministro Valditara per cercare di contenere le principali criticità – dalla carenza di strutture alla piaga dell’abbandono – mostrano quanto sia ardua la sfida su questo fronte. Ma questi sforzi risulteranno vani se non vengono messi a sistema con il nuovo linguaggio educativo dell’intelligenza artificiale. Se cinquant’anni fa le calcolatrici hanno cambiato il nostro rapporto coi numeri, e da vent’anni enciclopedie e dizionari sono stati fagocitati da Google, oggi GPT sta modificando il nostro modo di ragionare. Ed è impensabile entrare in classe a insegnare senza padroneggiare questo nuovo parametro mentale.

Certo, è difficile immaginare che i politici che oggi litigano su come non sbagliare caldaia e rimetterci i soldi europei riescano ad allungare lo sguardo. E capire che gli elettori di domani saranno figli dell’intelligenza artificiale, e voteranno per chi saprà interpretarla. Ma, tra Berlusconi e Casaleggio, abbiamo illustri precedenti, in Italia, di pionieri dei tecnopartiti. Il prossimo potrebbe essere l’ideatore del primo Partito artificiale.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 5 giugno 2023).

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