Quando Weber e Schumpeter litigarono al bar

Un famoso banchiere svizzero nelle sue memorie ha descritto con divizia di particolari una furiosa discussione, che portò alla definitiva rottura due fra massimi protagonisti della storia culturale europea dopo anni di amicizia e collaborazione scientifica: Max Weber e Alois Schumpeter. Rottura avvenuta al Caffè Landtmann in Vienna nel 1919. Weber allora insegnava all’Università di Vienna e pensava di lasciare il suo posto proprio a Schumpeter, giovane prodigio della cultura viennese. In quell’ accalorato dibattito sulla rivoluzione bolscevica l’”oggettivo” Max Weber, maestro del giudizio avalutativo nelle scienze sociali, e il suo antagonista, teorico del comportamento soggettivo dell’imprenditore come motore del capitalismo, si scambiarono i ruoli.

Weber , “ che non prendeva nulla alla leggera “, espresse in modo chiaro la sua profonda preoccupazione per le sorti dell’Europa minacciata dalla barbarie della rivoluzione leninista. Nel suo intervento esprimeva un’angoscia profonda e non nascondeva il suo intimo turbamento per il futuro. Schumpeter “ che non prendeva nulla sul serio” sorridendo ironicamente invece espresse il suo interesse e curiosità per gli esiti della rivoluzione. Secondo il suo parere avrebbe consentito di verificare in corpore vili , come se fosse un esperimento scientifico, la fondatezza effettiva della prospettiva del superamento del capitalismo. Come è noto lo storico e acceso dibattito fra i socialisti , Bauer, Renner, Hilferding e Bucharin, e i componenti della cosiddetta scuola austriaca, Bohm-Bawerek, Mises, il giovane Von Hayek, era avvenuto in tutte le sedi pubbliche e private, ma in particolare nell’esclusivo Privateseminar di Bohm. Il cinico Schumpeter, secondo gli amici “ un mostro”, intendeva quindi assistere alla verifica della teoria con un esempio probante, senza preoccuparsi minimamente degli eventuali costi umani, Alla scandalizzata replica di Weber: il “laboratorio” sarebbe stato “ricolmo di cadaveri” , la gelida risposta, “ E’ lo stesso in qualunque aula di anatomia”, pose fino alla discussione e Weber se ne andò furioso e amareggiato, talmente sconvolto che dimenticò il cappello. Il commento di un sorridente Schumpeter fu ancora più , se possibile, diabolico: “ come si fa a comportarsi così in un caffè ?”. Quel che contava per lui era sempre lo stile.

L’episodio ci è stato raccontato nelle sue memorie da Felix Somary uno dei più importanti banchieri del mondo, conosciuto in tutto l’ambiente finanziario come The Raven of Zurich per le sue eccezionali capacità di previsione ( tra le altre, l’entrata in guerra degli Stati Uniti nella Grande Guerra, la crisi del 1929 e la necessità dell’Italia di dotarsi di una merchant bank per gestire l’IRI, poi, ad opera di Mattioli, si chiamerà Mediobanca ). La vicenda serve a noi per raccomandare a tutti la lettura di un recente volume di Yanek Wassermann – I rivoluzionari marginalisti – sulla storia della scuola economica austriaca nei diversi passaggi teorici, biografici e politici, prima a Vienna e poi negli Stati Uniti; una storia che attraversa quattro generazioni e che avuto un ruolo fondamentale nella formazione culturale e politica del liberismo e delle aree conservatrici.

Oltre all’ovvio interesse scientifico del libro però c’è un elemento di primaria importanza che rimane valido ancora nei nostri tempi, un criterio di formazione della verità che non si deve sottovalutare. Nella città di Vienna, in questi anni dorati fin-de-siècle si trovano, discutono, si accapigliano negli stessi caffè, case, librerie, università e luoghi di villeggiatura Musil, Freud, Schumpeter, Wittgenstein, Karl Kraus, Canetti, il fondatore del positivismo logico Otto Neurath, Menger, Otto Bauer, Klimt e decine di altri intellettuali e artisti, centinaia di militanti politici dei vari partiti, migliaia di lettori, esuli, loser ( come Hitler ) e migranti. La caratteristica centrale di tale straordinario clima e ambiente, che darà vita a molte delle attitudini culturali ancora oggi in pieno sviluppo, è la libera, continua e appassionata discussione e polemica in luoghi che ne accettassero questa pre-condizione, in parte è lo stesso fenomeno dei caffè di Parigi nel secondo dopoguerra.

Esattamente quel che manca a noi oggi.

Cesare Manganelli

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