Claudio Simonelli, riformista illuminato e alessandrino verace

Su invito del mio amico Renzo Penna, socialista e sindacalista di lungo corso oltre che attuale presidente della nostra associazione “Città Futura”, vorrei dire anch’io alcune cose su Claudio Simonelli, ad integrazione di quelle acute, profonde e umanamente toccanti scritte su di lui qualche giorno fa, su “Città Futura on-line”, da un suo collaboratore, compagno e amico di una vita, Gianluca Veronesi, di noi più giovane (o comunque meno vecchio).

La mia frequentazione di Simonelli è stata molto saltuaria, ma lo conoscevo da quasi sessant’anni, esattamente dal 1962. In quell’anno ero stato per sei mesi funzionario del PSI nonché segretario della cosiddetta Federazione Giovanile Socialista della provincia di Alessandria, anche se non vedevo l’ora di fondare il PSIUP. Ne sentii pure parlare parecchio, sin da allora, da miei amici un poco più anziani e suoi coetanei, però del genere di sinistra socialista che di lì a poco avrebbero fondato il PSIUP e che, dentro il PSI, vedevano nel possibile arrivo di quel giovane e brillante avvocato, che andava a rafforzare la “destra socialista”, quasi un’invasione di campo indesiderata. A dir la verità non la pensava così Giorgio Canestri, forse perché per alcuni anni era stato, con Beppe Ricuperati (ora storico emerito dell’Università di Torino), socialista autonomista prima di diventare esponente e poi leader, tra il 1961 e il 1962, della Sinistra socialista legata a Lelio Basso; ma altri non avevano dubbi in proposito. Anche quando nel 1965 Canestri si trovò ad essere il solo consigliere eletto dal PSIUP nel Comune di Alessandria, pur incarnando l’estrema opposizione, aveva, tra noi, parole di apprezzamento per i giovani come Simonelli e il Luciano Vandone di allora, che erano comunque forze di innovazione non da poco, rispetto a una vecchia sinistra socialcomunista che lui aveva sempre criticato.

Molti anni dopo, nel decennio in cui io fui in Comune, dal 1975 al 1985 – prima come assessore alla cultura e più tardi come capogruppo del PCI – i contatti con Simonelli non mancarono. Inoltre io e Simonelli avevamo un grande amico in comune, con cui lui si vedeva in innumerevoli fine settimana, anche perché questo mio carissimo amico scomparso, Luciano Stella, aveva sposato Anna Brezzi, cugina e vera amica di Simonelli. Talora ci vedemmo insieme. Mia figlia Paola, inoltre, era stata compagna di ginnasio di una figlia di Simonelli, Beatrice, che è da una vita amica sia sua che di miei nipoti figli di una sorella di mia moglie, e cara a tutti noi, tanto più in questo triste frangente (per lei, per sua sorella Cecilia e per la moglie del loro papà). Sono stato anche collega, all’Università di Milano, di Michele Salvati e di sua moglie Mariuccia, che erano stati suoi amici carissimi negli anni in cui Simonelli aveva frequentato l’Università a Pavia. Da buon alessandrino, Claudio Simonelli parlava poco di sé, ma mettendo insieme tutte le cose che tramite tutti questi contatti sono venuto a sapere negli ultimi cinquantotto anni – ahimè, tanti ne sono passati da quando a ventun anni lo conobbi – sono in grado di dire anche alcune cose che mi pare siano state sinora in ombra sulla stampa, e di esprimere pure alcune convinzioni sul personaggio che mi sono fatto guardando un poco in controluce, magari sbagliando, le cose che so nel corso degli anni.

Intanto quando nel 1965 divenne socialista militante (frequentante i suoi compagni dal 1963), aveva esattamente trent’anni. Per gente di quella generazione, che era già anteriore alla mia (essendo io nato sei anni dopo di lui), trent’anni erano tanti. Oggi un trentenne è considerato un ragazzo, ma allora, tanto più se uno era di viva intelligenza, forte carattere e con un po’ di ambizione, uno a trent’anni era già uno con un buon decennio di vita impegnata alle spalle. In verità nella sua vita c’era uno svolgimento culturale e politico di sinistra coerente, con molte idee da cui forse non si scostò mai troppo neanche in seguito, di tipo radicale, maturate già all’Università. Aveva studiato Giurisprudenza a Pavia e lì era già radicale nell’ambito dell’UGI, l’Unione Goliardica Italiana, che negli anni Cinquanta era l’organizzazione degli studenti universitari di sinistra. Questo mi è stato raccontato da Michele Salvati, importante economista e tuttora editorialista del “Corriere della sera”, che io ho conosciuto bene perché da incaricato aveva insegnato a Scienze Politiche a Torino quando io lì ero assistente ordinario di “Storia delle dottrine politiche” e tanti anni dopo era stato mio collega, come ordinario, alla Facoltà di Scienze Politiche di Milano. Salvati, durante l’Università, era stato “seguace”, come la sua futura moglie, la sociologa Mariuccia Salvati, lei pure mia collega – come una volta mi disse lui – di Claudio Simonelli, il quale fu persino testimone di nozze dei due. Ma di quel suo ruolo di primo piano nell’UGI, come radicale, si ricordava anche Gian Mario Bravo, quasi suo coetaneo. Quando nel 1980, continuando una battaglia da me iniziata nel 1972, mentre Andrea Foco era Assessore all’Istruzione e io, da allora al 1985, capogruppo del PCI nel Comune di Alessandria, formammo una Commissione Università che io stesso, per incarico dell’assessore, scelsi, optando per membri molto capaci (esperti e autorevoli “sul campo”), presidi di Facoltà e membri del Senato Accademico, come appunto Bravo, o come Franco Ferraresi, o come il preside della Facoltà di Scienze matematiche fisiche naturali Borrello, e altri, fu Bravo, prima ancora che tutto iniziasse, a suggerirmi di andare con lui da Simonelli. Questi, allora, in Regione era assessore alla programmazione e, se ricordo bene, vicepresidente. Ci assicurò l’appoggio al progetto allora di bi-università incentrata su Alessandria e Novara, e lo garantì davvero. Quando i due si rividero Simonelli, col tocco sempre benevolmente ironico che lo caratterizzava, si complimentò per il buon aspetto di Gian Mario, che rivedeva dopo oltre vent’anni. Erano vecchie conoscenze: uno operante a Pavia e l’altro a Torino, appunto nell’UGI. Quindi quell’esperienza da radicale nell’UGI, come già Pannella, era stata importante.

Nel 1962 Simonelli era un entusiasta delle possibilità di riforma, o programmazione democratica, del tempo, con approccio identico a quello “neocapitalistico da sinistra” sostenuto, in molte centinaia di articoli, prima dal “Mondo” di Mario Pannunzio e poi, e soprattutto, da Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca, che oltre a condurre su ciò per anni una martellante campagna di stampa sull’”Espresso”, allora scrissero pure, su ciò, importanti libri. Mentre la sinistra socialista marxista del tempo, dal 1964 del PSIUP, vedeva nel neocapitalismo “programmato”, che non sottovalutava affatto (ma semmai sopravvalutava), soprattutto processi d’integrazione e alienazione della classe operaia “nel sistema”, Simonelli aveva in ciò piena fede. Ricordo che una volta in Corso Roma mi chiese – certo nel 1963 perché il PSIUP non c’era ancora, o forse nel 1962 – quali riforme importanti non avrebbero potuto essere fatte allora, “a meno che non si chieda la nazionalizzazione della FIAT”. Io, con l’ingenuità dei miei ventidue anni, chiesi: “E perché no?”. Simonelli allora era il numero uno di un suo piccolo gruppo di amici radicali che si riunivano in una saletta del Bar Vittoria, proprio all’inizio di Corso Roma. Vi bazzicava pure l’inquieto e creativo Guido Manzone.

Simonelli fu scoperto come possibile ottimo acquisto per il riformismo socialista alessandrino tra il 1962 e il 1963 dal vero leader della corrente autonomista del PSI di Alessandria, protagonista della rottura con i comunisti e dal 28 dicembre 1964 sindaco della prima giunta di centrosinistra, nel senso di DC e PSI (più PSDI e PRI) della città: l’abile e pragmatico professor Amaele Abbiati, allora alquanto detestato nell’estrema sinistra comunista e socialista, ma decisamente in gamba sia come politico che come amministratore. Il giovane avvocato Simonelli da un lato, e il giovane docente universitario democristiano Vandone, furono molto importanti in quella Giunta. Nel 1970 Simonelli, poi, diventò consigliere regionale, nella nascente Regione Piemonte, e poi assessore alla programmazione per molti anni, sia in giunte di centrosinistra che di sinistra. Il governo socialista ha avuto luci e pure ombre ben note, e guai giudiziari, di cui, se crederanno, potranno pure occuparsi gli storici del futuro. Valse a livello di tutto il Bel Paese.

Un punto chiave su cui invece ritengo necessario soffermarmi è il fortissimo legame che Claudio Simonelli ebbe sempre con la corrente di Bettino Craxi, proprio in quanto punta di diamante di quella che allora si chiamava “destra socialista”. Non solo Simonelli non aveva avuto niente a che fare con la sinistra socialista marxista poi “psiupparda”, da Lelio Basso a Vittorio Foa, e aveva sì molto apprezzato il Riccardo Lombardi della nazionalizzazione dell’energia elettrica e della programmazione economica, ma niente affatto quello dell’alternativa di sinistra, ma era stato pure abbastanza lontano dall’ideologia dei vecchi socialisti alla Nenni e De Martino, pur autonomisti. Per contro il craxismo gli calzava a pennello, proprio in quanto invece di risolvere il riformismo democratico in riformismo socialista, risolveva il riformismo socialista in quello democratico, anticipando fortemente Tony Blair (ma anche Matteo Renzi). Su tali basi, unite a un certo risentimento verso quanto c’era stato di forcaiolo nella sinistra giustizialista, non fu sempre sordo alla sirena di Berlusconi. Ma nell’insieme della sua vita non mi pare il punto chiave. Invece credo sia da sottolineare molto quel che Simonelli ebbe a dire, sul “Piccolo”, alla morte di Craxi: che Craxi aveva avuto “ragione su tutto”. Direi che quello sia stato il suo pensiero profondo. Simonelli fu soprattutto un craxiano, prima durante e dopo l’egemonia del famoso Bettino.

A questo punto, sia in base a quanto detto sin qui che in base all’impressione che mi dava in tutto quello che diceva e faceva, debbo dire che Simonelli a me ricordava l’uomo dell’Illuminismo (anche se colpevolmente io ho sempre preferito l’uomo del Romanticismo, e lo rivendico). Era uno spirito intelligente, razionale, ironico e disincantato, che sicuramente sarebbe piaciuto a Voltaire. La sua ironia però era sempre bonaria, alimentata dal disincanto e non dall’aggressività come in altri. Ma era pure un neoilluminista “riformista” (un “riformista illuminato”), naturalmente non dell’età dell’Assolutismo come i vari Voltaire o Beccaria, ma dell’età della nostra democrazia repubblicana: era uno che voleva migliorare in modo il meno astratto possibile le cose con simpatia spontanea per la povera gente, ma senza mitizzarla mai. Del neoilluminista un tantino voltairriano aveva appunto il disincanto, la profonda consapevolezza della fragilità delle opinioni e intenzioni umane, e anzi della condizione umana, ma senza alcuna deplorazione: sempre pensando, piuttosto, che la fragilità sia nell’uomo, che deve ricercare un pizzico di gioia di vivere non appena possa afferrarla, senza lasciarsela scappare perché poi si muore. Il fallibilismo lo teneva lontano da ogni assolutizzazione (persino dall’assolutizzazione del laicismo). Non ho mai parlato con lui di tali cose, ma non mi stupisco che i suoi funerali si siano svolti in Duomo, perché nel dubbio tra il nulla e l’eternità, con disincanto, si sarà detto che era meglio, anche per non disperarsi troppo (il che non fa bene alla salute), pensare a un “oltre”, per quanto incerto, piuttosto che negarlo. In tutto ciò io trovo che fosse pure molto alessandrino: nella miscela tra scetticismo, disincanto, ironia e al tempo stesso apertura al prossimo. Non a caso era stato compagno di liceo e amico di Umberto Eco, tanto che quando Il nome della rosa fu pubblicato, fu proprio lui a presentarlo, con Eco stesso, alla Sala Ferrero del Teatro. Anche Simonelli, come Eco, era uno così, se l’ho ben compreso: nel suo caso con le luci (o lumi) sia dell’illuminismo, sia del riformismo, sia dell’”alessandrinismo”, in tutti gli svolgimenti possibili e immaginabili.

di Franco Livorsi

1 Commento

  1. Caro Livorsi, Ti ringrazio per avermi dato con il tuo ampio saggio l’occasione di ricordare con amicizia ed anche profondo affetto Claudio Simonelli, del quale ho appreso con inevitabile malinconia e rammarico la morte. E’ stato uno degli incontri formativi della giovinezza, anche se non sempre in pieno accordo.Ricordo la sua lucidità ironica e la passione politica, che ho sempre ammirato nel mio tratto di vita alessandrino. L’ho poi rivisto qualche volta a Torino,ma il tempo e scelte diverse,la mia soprattutto di studioso, non hanno cancellato un debito di ammirazione per una lucidità disincantata, che tu hai colto nelle sue pieghe forse più profonde.

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