Riflessioni su Mario Tronti

Mario Tronti è scomparso poche settimane fa. La maggior parte delle persone non sa chi sia stato e la importanza che ha avuto nel dibattito politico del paese. Tuttavia la sua scomparsa è stata seguita da una serie di articoli su riviste e giornali e da dibattiti pubblici, che ne hanno ricordato la figura intellettuale dentro al tormentato lungo novecento europeo. Su queste pagine ne hanno scritto Mauro Calise e il nostro Franco Livorsi, su altre riviste è stato ricordato da Mattia Gambilonghi e da tanti altri. Vorrei tuttavia, soffermarmi su due aspetti dell’opera del nostro, che ritengo utili per il momento attuale, pur rischiando di deformare o strumentalizzare un percorso intellettuale così complesso come quello, appunto, di Mario Tronti. Direi allora questo in estrema sintesi: vi è stato il Tronti del primo periodo, ovvero l’intellettuale operaista che a partire dalla fine degli anni cinquanta e dai Quaderni Rossi di Raniero Panzieri, delinea lo sviluppo di un nuovo marxismo in cui centrale è il rapporto fra classe operaia e capitale, e la questione del partito viene derubricato a fattore secondario; poi vi è il Tronti ‘politico’, o dell’autonomia del politico per meglio dire, che a partire da un saggio del 1975, quasi ribalta la sua visione generale, e pone sotto la lente di ingrandimento la ‘La Grande politica’, anche quella conservatrice di Carl Schmitt e altri, ‘Grande politica’ che il movimento operaio aveva trascurato determinando un ritardo mai colmato verso l’avversario di classe, che così sarà in grado di vincere una battaglia decisiva per l’egemonia sociale.

Infine, negli ultimi anni, vi sono le riflessioni che riguardano il terreno della religione e della trascendenza che hanno fatto scrivere ad alcuni di un ‘misticismo trontiano’. Il Tronti di ‘Operai e capitale’ e ‘dell’Autonomia del Politico’, delineano una critica interna al movimento operaio della intera esperienza del comunismo novecentesco, e una disamina dei limiti della cultura leninista che hanno determinato la  eterogenesi dei fini del comunismo: da strumento di emancipazione, emancipazione della classe, il partito dei rivoluzionari di professione, diventa fonte di oppressione e di blocco dello sviluppo sociale.

Una contraddizione, dunque, irrisolvibile e che causa il crollo dell’intero sistema sociale a partire dalla disgregazione del partito – stato. Questa riflessione sulla crisi del leninismo, pur se forse mai esplicita in Tronti, ma tratteggiata implicitamente dallo strutturarsi stesso del suo percorso intellettuale, mi pare la critica più penetrante dei limiti, come poc’anzi sopra scrivevo, dei limiti della elaborazione leniniana del rapporto ‘partito – classe’. E noi che giungiamo dopo la fine e la crisi definitiva del comunismo del novecento, dovremmo ripartire dalla consapevolezza dei motivi profondi che hanno determinato la scomparsa di questo e delle ragioni che ne hanno altresì caratterizzato i punti di forza e di verità, per poter, dal momento attuale, sapere quali sono gli elementi su cui ricostruire un percorso per la sinistra e il movimento operaio dell’oggi.

Diversamente, il Tronti ‘mistico e religioso’ degli ultimi tempi, ci indica un altro tema per i nostri giorni, ovvero, la questione grande dell’etica, delle motivazioni ultime dell’agire politico, per essere all’altezza della sfida che movimenti religiosi, nazionalisti e in ultima istanza premoderni, pongono di fronte a coloro che intendono restare sul terreno della laicità. La questione deve essere posta all’altezza dell’etica, o se volete della morale, intesa in senso quasi etimologico, ovvero di tutto ciò che riguarda l’uomo. Il crollo della speranza comunista, il meccanismo perverso della guerra atomica, lo sterminio nei Lager nazisti, la crisi nello sviluppo che a partire dagli anni settanta del Novecento riportano in auge il tema della iniqua distribuzione delle risorse, una cultura del consumismo che non riempe di senso il vivere sociale ma amplia l’alienazione in questa, hanno certamente posto in dubbio la speranza nello sviluppo e nel progresso, in una parola nella modernità. Tutto ciò dà spazio al ritorno di un certo gretto pensiero religioso, ad un clima nichilista ad un tempo e premoderno e antiscientifico per altri, che alimenta un  bisogno nelle masse di un ordine quasi sacro e comunque immutabile, in cui credere alla propria libertà individuale assoluta oppure alla identità di gruppo e di etnia. E’ chiaro che dentro questa intemperie culturale le destre avanzano fortemente. Allora, declino in tal senso il tema trontiano del rapporto fra politica e religione, fra politica e trascendente: è necessario che la politica di chi ancora crede nel progetto moderno, nella politica come esercizio laico dentro la storia, si doti di una forte impostazione e ispirazione morale, etica. E’ a questo livello che si può porre la sfida al ritorno del Sacro in politica, diversamente saremo battuti, credo, se le sorti del vivere civile nelle nostre democrazie le affideremo alle vuote mani della tecnica, sempre più invasiva e determinante dell’umano, quanto vuota di ispirazione e di senso rispetto alla direzione che si deve percorrere. Ricordando ciò che Max Weber diceva acutamente sul disincanto dei moderni rispetto alle promesse del progresso, ciò che è il motivo per il quale la modernità non ha mantenuto queste promesse, è il fatto che la razionalità dei contemporanei è scissa in due parti: illato tecnico e il lato della ragione morale. Quanto il lato tecnico si è evoluto e ha fatto passi da gigante, con ‘gli stivali delle sette leghe’ per dirla con Hegel, tanto il lato morale della ragione umana è rimasto allo stato di mera perorazione e di utopia proclamata per dare speranza di un mondo migliore dentro ha una realtà dominata dalla tecnica e senza controllo rispetto alla congruenza dei fini. Ecco il lavoro della politica laica; agire per ricomporre il moderno al livello di discorso morale sui fini della azione umana e dell’uso della potenza tecnica. Può essere un tema della riflessione della sinistra e per far rinascere questa dentro la nostra crisi di civiltà? Chi scrive è convinto che si riparta da qui, sapendo integrare le prospettive e ricordando gli inciampi dei grandi del pensiero del nostro passato, che una eredità ce l’hanno lasciata perché poi si sia noi in grado di raccoglierla.

Alessandria 29-12-2023
Filippo Orlando

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