«Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’occasione irripetibile». Rileggendo la rassegna stampa degli ultimi mesi è stata questa la frase più ricorrente nelle dichiarazioni rilasciate a commento delle ingenti risorse economiche (209 miliardi di euro) che avrà a disposizione l’Italia grazie al programma Next Generation EU (NGEU). Le parole del gruppo di lavoro di Legambiente nazionale che ha curato l’ennesimo “suggerimento” al Governo di turno per uscire dall’emergenza (anche questa “di turno”) sono pietre, anzi macigni. Si parte con il green washing, la mania di sciacquarsi bocca e coscienza con buone intenzioni ecologiche: “In tanti lo hanno ribadito: ministri, parlamentari, governatori, amministratori locali, imprenditori, sindacalisti, etc. Ognuno, con le sue motivazioni, ha cercato di indicare una strada al Paese per farlo uscire dalla pandemia diverso da come ci era entrato. Ne è venuto fuori un dibattito sicuramente ricco ma carente nella restituzione di un’idea, una visione dell’Italia che sarà nel 2030, tranne la consapevolezza di un paese da “ricostruire”, anche grazie alle risorse messe in campo per risollevare l’economia europea dopo lo shock sanitario causato dal Sars-Cov-2. “ Riprendendo alcuni passaggi chiave, crediamo anche noi che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sia un’occasione irripetibile, ma –cercando di andare oltre gli slogan.
Nell’ultimo anno, anche se molti se ne sono accorti, Legambiente ha elaborato interessanti proposte per rendere l’Italia un Paese più pulito, vivibile, giusto e innovativo, utilizzando le opportunità e gli strumenti che l’Europa ci ha messo a disposizione. Idee che sono state raccolte in dossier, rapporti, emendamenti e che sono diventate oggetto di un dibattito pubblico, per discuterne insieme ad associazioni, sindacati, imprese. Con la consapevolezza che “ partecipazione e condivisione siano indispensabili per non perdere l’occasione storica del NGEU”. Per la verità avevano iniziato ancor prima che la nostra società precipitasse, in maniera repentina e traumatica, nell’era Covid-19. Lo hanno fatto alla fine del 2019 quando la nuova Commissione presieduta da Ursula Von der Leyen si è presentata rilanciando il protagonismo europeo sui temi climatici, con il Green Deal e i 1.000 miliardi di euro, da investire in 10 anni, per decarbonizzare l’economia del Vecchio Continente entro il 2050.
Sulla scia di questa rinnovata azione europea nel gennaio 2020, qualche settimana prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria e del lockdown nazionale, fu infatti presentato un rapporto sulle 170 opere prioritarie per rendere possibile il Green Deal italiano. Un impegno che è proseguito, puntualmente in occasione dell’approvazione di tutti i decreti legge approvati dal governo Conte2 durante il 2020 per affrontare le emergenze causate dalla pandemia. Man mano che il contagio da Covid-19 si diffondeva e la decretazione d’urgenza dell’esecutivo prendeva sempre più corpo, è emersa, in tutta la sua drammaticità per le conseguenze che ne derivano, “la mancanza di visione da parte del governo nazionale sulla direzione da scegliere per far ripartire l’Italia, una volta lasciata alle spalle questa terribile situazione sanitaria”. Considerazioni riportate letteralmente dall’ultimo documento di proposta a firma Legambiente. Lo stesso si può dire dell’opposizione in Parlamento, di quasi tutte le Giunte regionali, di Confindustria e del Sindacato. Una concezione dell’agire politico vecchia e superata dagli stessi eventi locali ed europei. Andando così a ripetere gli errori storici e i ritardi cronici dell’Italia sulle politiche ambientali e climatiche: basti pensare agli obiettivi più ambiziosi della nuova legge europea sul clima che punta a ridurre di almeno il 55% le emissioni climalteranti entro il 2030, al 37% delle risorse economiche del NGEU destinate a investimenti sulla transizione ecologica, al programma Farm to Fork e alla Strategia europea sulla biodiversità per i prossimi 10 anni per produrre cibo pulito, mettere in sicurezza gli ecosistemi e il capitale naturale. Che vanno ad aggiungersi allo smembramento dell’industria dell’automobile, motore del “miracolo italiano”, alla disossatura sistema industriale italiano diventato sempre più residuale a vantaggio di colossi cinesi, giapponesi, indiani, americani e russi. Quanto emerso finora ha, purtroppo, disatteso molte delle nostre aspettative: il percorso di definizione del PNRR da parte del governo italiano negli ultimi mesi è stato a dir poco confuso e, soprattutto, per nulla partecipato. Rischiamo di sprecare questa occasione unica, inverata in ben 209 miliardi da impiegare in modo adeguato, che solo la migliore inventiva e imprenditorialità italiana potrebbe cogliere. Ma i ritardi sono molti e le figure taumaturgiche di Draghi, di Letta, di Bonaccini sembrano poterci fare ben poco. C’è chi crede nella loro funzione salvifica ma….a vedere i primi passi del cosiddetto Ministero della Transizione Ecologica c’è poco da stare tranquilli.
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